SASSARI Ospedale Civile SS Annunziata già Santa Croce - Ospedali d'Italia

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SASSARI Ospedale Civile SS Annunziata già Santa Croce

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Tratto integralmente da: Notizie storiche dell’Ospedale civile di Carità di Sassari – Giacomo Murro-Sotgiu - 1912

Dal primo ed umile Spedale di Santa Croce al Templum Annuntiationis Beatae Mariae, all'Hospitale Leprosorum extra muros, ed a quello della SS. Annunziata; dalla chiamata dell'ordine dei Fate Bene-Fratelli al loro allontanamento; dal Sinodo diocesano per gli infanti esposti all'abolizione della Ruota; dal tempo, non troppo lontano, quando aveansi dodici letti ed una media di due o tre malati al giorno, fino ad oggi in cui  l’ospedale ha un movimento annuale di 1411 malati.
Dagli atti del Parlamento sardo congregatosi nella Capitale dell'Isola nell'anno 1544 si rileva che, nei primi anni del secolo XVI esisteva in Sassari un Ospedale destinato per la cura degli infermi poveri, denominato Spedale di Santa Croce. Il Sindaco di questa città, avendo esposto a quel congresso le misere condizioni in cui trovavasi la popolazione per le disavventure degli anni trascorsi, e principalmente per il sacco dato da Renzo Ursino da Ceri nel 1527, e per la terribile pestilenza sopraggiunta due anni dopo, nella quale perirono oltre 20000 abitanti, chiedeva, che venissero concessi mezzi di sostentamento allo Spedale di Santa Croce ed a quello dei Lebbrosi, i quali, per le cessate rendite, erano in pericolo di chiudersi.
Nell'Archivio municipale abbondano i documenti che attestano l'interessamento dei Consoli per quest'opera tanto utile, ingranditasi mano mano a misura che, in quei tempi di fervore religioso e generale spirito di carità, aumentavano le donazioni per soccorrere i malati indigenti.
Per antico statuto, gli affari riguardanti l'Ospedale deliberavansi dal Consiglio Maggiore (Consiglieri Eletti e Probi uomini). Esso dirigeva l'amministrazione dei beni e dei capitali; determinava l'impiego delle rendite, e nominava il personale addetto all'Istituto, che si componeva d'un Amministratore generale, dell'Economo o Procuratore del Maggiordomo, dei Medici e Chirurghi e del Cappellano.
Nel Memoriale che, secondo l'antica usanza, i Consoli uscenti di carica trasmettevano al nuovi eletti, era costantemente raccomandata, come cosa più delle altre importante, la protezione e conservazione dell'Ospedale, procurando nel miglior modo possibile di aumentarne le rendite, e rammentando il dovere che i Consiglieri avevano di fare ogni anno gl'inventari necessari, e prendere agli Amministratori ed agli Economi i conti della rispettiva gestione.
Ad accrescere i proventi dello Spedale il Municipio soleva attribuire una parte delle contravvenzioni ai regolamenti comunali a vantaggio del pio luogo. Infatti nell'Ordinamento dei pittori statuito nel 30 Luglio 1561 è vietato a chiunque non sia esaminato, di aprir bottega ed eseguire qualsiasi genere di pittura, sotto pena della multa di 50 ducati, la metà della quale è devoluta allo Spedale. Parimenti, nel 24 Marzo 1627, veniva deliberato che i contravventori al regolamento sul dazio d'introduzione delle merci, dovessero incorrere nella perdita delle mercanzie, e pagare una multa di L. 25, di cui un terzo andasse a benefizio dello Spedale di Santa Croce.Così pure nel regolamento di Polizia urbana e rurale emanato nel 1628 vengono stabilite alcune penalità, un terzo delle quali devolveasi a vantaggio dell'Ospedale.
La carica di Amministratore generale conferivasi a personaggi distinti per nobile prosapia e per eminenti qualità.  Spettava al Maggiordomo l'economato interno e la direzione del servizio domestico.
Scarse notizie si raccolgono intorno ai medici che in quell'età vennero chiamati ad attendere gli infermi ricoverati nello Spedale.
Al miglior andamento della pia opera non mancavano le sollecitudini del Prelati turritani e la solerte tutela dell'Autorità Viceregia, allo scopo di sorvegliare l'Amministrazione dei beni, affinchè interamente si devolvessero a benefizio dei poveri, e perchè progressivamente si applicassero quegli ordinamenti che si reputavano più conformi al fine caritatevole dell'Istituto.
Nel 1583 l'Arcivescovo di Sassari volle conoscere come fossero amministrate le lascite pie fatte in benefizio degli ammalati poveri, e ne chiese il rendiconto ai Consoli del Comune.
Il Vicerè Don Michele di Moncada, che nel 1585 visitava questa Città, era giunto a conoscenza, che a cagione delle trascorse calamità, molti censi eran quasi perduti per deficienza di esatte indicazioni intorno ai reali debitori, e ciò con grave danno della rendita ospedaliera.
Allo scopo di recuperare le incerte e contestate pensioni pro bono el utilitate hospitalis Sanctae Crucis presentis Civitate Sassaris, pubblicò un manifesto, ordinando, sotto determinate pene, che chiunque fosse in qualsiasi guisa debitore verso l'Ospedale di censi, livelli ecc. dovesse presentarsi al Reggente la R. Cancelleria, ove, coll'assistenza di un pubblico notaio e di due testimoni, facesse dichiarazione giurata, in nome di Dio sui Santi Vangeli, confessando non solo la ragione del debito, ma eziandio l'ammontare di esso, lo stabile gravato e l'epoca della scadenza.
I quali atti di riconoscimento ebbero principio nel 20 Novembre 1588 e terminarono nell'11 Febbraio 1589.
Il medesimo Vicerè ordinava che, colla scorta delle surriferite dichiarazioni, venisse compilato un Inventario generale di tutte le rendite possedute dallo Spedale.
Gli Stamenti sardi concedettero spesso delle sovvenzioni allo Spedale di Santa Croce, prelevandone le somme da quella parte del Donativo che i Parlamenti destinavano alle Opere Pie.
In varie epoche il Comune di Sassari ricorse alla cassa dell'Ospedale per sopperire agli enormi dispendi derivanti dalle trascorse disavventure e dalle continue guerre in cui erano impegnati i Sovrani Aragonesi e Spagnoli.  Tante erano le prestazioni fatte dallo spedale al Comune che, nell'anno 1640, la cassa civica era gravata di 15 pensioni censuarie.
Il Comune di Sassari, sempre intento a migliorare le sorti di un Istituto cosi benefico, fiducioso che i poveri infermi avrebbero potuto ritrarne maggior vantaggio di cure e più regolato servizio, delibera nel 1598, di chiamare il benemerito Ordine  dei Fate bene fratelli, per affidargli il governo dello Spedale.
Nell'anno 1606 giunsero in Sassari due Religiosi dell'Ordine suddetto, i quali presero il governo dell'Ospedale. Però, due anni dopo, i medesimi si allontanarono dalla città, congedati dagli stessi Consoli, o per non aver corrisposto all'aspettazione del Municipio, o perchè questo ricusava loro l'amministrazione dei beni appartenenti all'opera pia. Dopo l'allontanamento dei detti Frati, il Comune riprese di nuovo il governo dello Spedale.
Nell'anno 1606 celebravasi in Sassari un Sinodo diocesano, nel quale, fra le altre importanti materie che vi si discussero, non fu dimenticata quella relativa agli Spedali. Fu appunto in questo Concilio Provinciale, ritenuto fra i migliori che vanti la Chiesa sarda, che si ordinò agli Spedali di raccogliere gli infanti esposti e consegnarli alle nutrici per salvarne la loro vita.
E’ certo infatti, che sin dai primi anni del secolo XVII, l'Ospedale di Santa Croce accoglieva gli spurii abbandonati, per mezzo della Ruota, situata nella stessa Casa Ospitaliera, e provvedeva al loro sostentamento salariandone le nutrici. Fra le deliberazioni municipali degli anni 1627-1628 si riscontrano le domande di alcune nutrici che si obbligavano spontaneamente di adottare per proprio figlio il bambino loro affidato, e sostenerlo senz'alcun compenso da parte dell'Ospedale, a condizione che giunto all'età dell'adolescenza, non potesse ritirarsi dai genitori se non previo un adeguato compenso da stabilirsi da probi uomini esperti.
Ed i Consoli accoglievano di buon grado queste generose istanze, nella considerazione del vantaggio che ne deriverebbe all'Azienda dello Spedale.
In appresso si continuò il mantenimento degli esposti anche dagli Spedalieri, alche sullo scorcio del secolo XVIII questo servizio gravava il bilancio. La quale istituzione fu sostenuta coi fondi dello Spedale sino ai primi anni del presente secolo. Infatti nella Congrega tenutasi dalla Giunta dello Spedale addì 6 Giugno 1806, preso nella più seria considerazione lo stato deplorevole dei poveri esposti, si deliberò di sorvegliare attentamente le nutrici destinate ad allevarli, onde ne curassero meglio la salute e la vita, e non li lasciassero in totale abbandono. E siccome erano avvenuti abusi e frodi per parte delle balie, prescrivevasi che i neonati dovessero sempre portare i segni distintivi, ond'essere riconosciuti dal Deputato e dall'Economo pagatore.
Se non che cessava poco appresso l'obbligo dell'Ospedale al mantenimento degli esposti, è venne per legge addossato al Municipio, sebbene la Congregazione Ospitaliera continuasse, ancora per qualche tempo, ad avere la sorveglianza sui bambini e sulle rispettive nutrici.
Il Consiglio Maggiore comunale occupavasi del personale sanitario, provvedendo alla nomina di due chirurghi onde i poveri malati non avessero a mancare delle cure necessarie in caso di impedimento od assenza di un solo.
Stipulava una convenzione (Luglio 1626) col farmacista per la somministranza dei medicinali occorrenti allo Stabilimento; circondandola di tutte quelle cautele che potessero garantire l'Ospedale da possibili negligenze e frodi.
Dava autorizzazione al magazziniere della Frumentaria perchè anticipasse il grano necessario all'alimentazione degli infermi, affinchè l'Ospedale non fosse obbligato ad acquistare il pane giornalmente a prezzo maggiore.
Così pure dava opera all'assestamento di alcune liti in corso, ed alla definizione dei conti cui vari amministratori e collettori che si succedettero in quel periodo di tempo.
Nel 1639 i delinquenti che si rifugiavano nello Spedale eran talmente cresciuti di numero che il pubblico, e specialmente le donne, rifuggivano dal visitare i malati e compiervi i soliti atti di pietà è di religione, diminuendo in tal guisa le offerte che solevano apportare allo Stabilimento. Si che il Municipio venne nella determinazione di supplicare il Pontefice allora regnante perchè si degnasse riparare a si fatto abuso, riducendo la immunità in modo che i perseguitati dalla giustizia non potessero godere di questo dritto che per lo spazio di un giorno, trascorso il quale l'Autorità civile potesse reclamarli, e, se riluttanti, estrarli con la forza.
Il Municipio non aveva abbandonato l'idea di richiamare i Fate bene fratelli, onde affidar loro di nuovo il governo dello Spedale; nel Consiglio Maggiore tenutosi li 25 Luglio 1659, vennero lette ed accettate le Capitolazioni per la cessione dello Spedale di Santa Croce all'Ordine dei Frati di S. Giovanni di Dio.
Le disposizioni principali nelle medesime contenute erano le seguenti:
Il Municipio concedeva all'Ordine suddetto il governo perpetuo dello Spedale senz'alcuna sopraintendenza che potesse pregiudicare i Fate bene fratelli, consegnando loro tutti i mobili, suppellettili, arredi sacri, ecc.
come pure i censi, erediti, dritti, azioni, non che i beni tutti immobili di proprietà dello Spedale, con i relativi titoli ed obbligazioni, affinchè per mezzo delle rendite sopperisse al mantenimento dei frati e dei poveri infermi, comprese le spese per i medici, i medicinali e quanto altro potesse abbisognare per il vitto e cura degli ammalati. I Consoli riserbavansi solo il dritto d'intervenire, per mezzo del loro Capo, sempre quando avessero da investire capitali o rinnovar censi. Tutte le donazioni e legati pii fatti all'Ospedale sarebbero devoluti all'Ordine per impiegarli a benefizio di questo Spedale; rispettata sempre la volontà dei testatori.
Obbligavansi i Frati di ricevere gli infermi poveri che ne chiedessero il ricovero, secondo l'uso antico; e di governare lo stabilimento con zelo e carità, somministrando agli infermi quanto potesse esser loro necessario, giusta la prescrizione dei medici; senza che però i frati fossero obbligati a mantenere un numero di ammalati superiore a quello che comportassero le rendite; ed esclusa su ciò ogni ingerenza del Comune e di qualsivoglia altra autorità; competenti i soli medici ed i frati nella determinazione del numero degli infermi da sostentare. Si obbligavano parimenti di tenere nell'Ospedale cinque o sei confratelli e quanti ne abbisognassero per disciplinare tutti i servizi preferendo l'invio di frati spagnoli o sardi.
Per il componimento delle controversie che potessero insorgere sulla interpretazione di queste Capitolazioni, eleggevano delegato l'Arcivescovo turritano, subordinatamente all'approvazione del S. P. Urbano VIII.
Fermati in tal guisa i patti fondamentali, nel giorno 16 Luglio 1639, compivasi la consegna dell'Ospedale con una solenne funzione, come l'importanza dell'avvenimento richiedeva.
Fra il suono delle campane della vicina Cattedrale e lo sparo dei mortaletti, si elevarono gli applausi e le acclamazioni di giubilo della popolazione che assisteva a questa solennità.
Alla suprema direzione dello Spedale venne destinato lo spagnolo Fra Giusto Santa Maria, duca di Estrada, il quale promosse una pubblica contribuzione, coadiuvato dai Consiglieri e dai Nobili della città, il prodotto della quale impiegavasi nell'acquisto di letti in ferro per uso degl'infermi.
Le lusinghiere promesse che gli Spedalieri fecero ai Consoli nell'assumere il governo del pio luogo non tardarono a dileguarsi, e l'aspettativa della loro famulata carità mal rispondeva alla realtà dei fatti. Tanto che il Municipio ne mosse più volte doglianze, minacciando la loro espulsione.
Trascorsi appena 12 anni da che gli spedalieri eransi qui stabiliti, scoppiò quella terribile pestilenza dell'anno 1652 che al dire degli storici, mise a morte nella città oltre 20.000 abitanti, lasciandone superstiti poco più di 5000.
In questa luttuosa circostanza, i Fate bene fratelli attesero con zelo al loro ministero di carità, non solo assistendo i numerosi infermi, anche di civil condizione, che ricercavano scampo nell'ospedale, ma eziandio prestandosi a trasportare i cadaveri dalle case private al Cimitero, difettando in quei tremendi giorni le persone che, anche generosamente rimunerate, volessero assumersi questo periglioso ufficio.
Non tardarono perciò a rimaner vittime dell'esiziale contagio il P. Priore ed altri suoi confratelli, per cui dovettero richiamarsi altri frati a surrogare i caduti.
Negli anni seguenti l'Ospedale risentivasi vivamente della generale miseria, mancandogli le consuete rendite per la difficoltà delle cauzioni in tanta rovina d'intere famiglie.
Lo stesso Municipio manifestavasi impotente a pagare le dovute annualità; per cui l'Economo dell'ospedale, nel 1655, si rivolse, con apposito memoriale, al Vicerè, esponendogli le misere condizioni de los pobres malals, impossibilitats a captar de porta in porta, e chiedendo venisse obbligato il Comune a pagare i censi arretrati.
Trascorsero gli ultimi anni del secolo XVII e la prima metà del successivo, senza che sia avvenuta cosa alcuna meritevole di speciale menzione. Ma sebbene da oltre un secolo i frati di S. Giovanni di Dio tenessero l'amministrazione dello Spedale, e molti lasciti giungessero di quando in quando ad aumentarne i proventi, tuttavia era manifesto che i progressi della pia Opera non corrispondevano alle cresciute ricchezze.
Il numero dei letti che nel 1640 era di 12, s'era appena elevato a 14 nel 1759; la media giornaliera degli infermi era di 3 o 4, mentre i frati addetti al servizio erano cinque o sei.
Alla regolare tenuta dell'amministrazione non mancava la sorveglianza dei PP. visitatori i quali, ogni anno od ogni biennio, soleano ispezionare l'Istituto, allo scopo di verificare la contabilità dell'azienda, e l'andamento di tutti i servizi, non che di riconoscere e frenare gli abusi e sindacare l'intera gestione dei Priori. E se spesso di sola forma riuscivano queste periodiche visite, non fanno tuttavia difetto gli esempi di punizioni inflitte ai Superiori locali per constatate malversazioni nell'amministrazione delle rendite. Nel 1700, avendo il P. V. Gen. Angelico Ferraly potuto accertarsi che il Priore aveva fraudolentemente amministrato il patrimonio dei poveri, venne tosto rimosso dall'ufficio che immeritatamente occupava, e condannato alle pene comminate nelle Costituzioni dell'ordine di S. Giovanni di Dio, ed in quelle contenute nelle bolle di Papa Clemente VIII.
Ciò malgrado sentivasi vivamente il bisogno di apportare pronte riforme ad un'opera pia si vantaggiosa alla povertà sofferente.
Il Re Carlo Emanuele III emanò un regolamento in data 13 Febbraio 1768, con cui introduceva radicali mutamenti dell'amministrazione degli Spedali.
Avendo egli potuto conoscere che i Religiosi di S. Giovanni di Dio, chiamati da oltre un secolo alla direzione ed al servizio degli Spedali, non avevano corrisposto alla fiducia in essi riposta, poichè nel trascorso di tanti anni, anzi che progredire, gli Ospedali erano piuttosto venuti in decadenza, creò una Congregazione per mezzo della quale, mentre conservava l'antica ingerenza del Comune ed il Ministero dei Religiosi suddetti, facea concorrere le varie classi dei cittadini al miglior indirizzo d'una istituzione tanto utile alla società.
La Congregazione aveva la cura e l'ispezione superiore non meno al buon governo dell'ospedale che all'amministrazione e maneggio delle rendite e beni al medesimo spettanti, che per allora eran lasciati ai Religiosi coll'obbligo di regolarsi a seconda della direzione della Congregazione e di rendere alla medesima esatto conto della gestione.
Fu redatto un regolamento in cui eran tracciate con mirabile accortezza le principali norme d' amministrazione. Davansi disposizioni per la formazione degli inventari e dei bilanci, non che per la determinazione del numero dei letti da mantenere; non omettendo in pari tempo di raccomandare la pulizia dei locali, la separazione dei sessi fra gl'infermi, e degli infetti da contagio. Ordinava inoltre, il regolamento, di sopravvegliare alla salute, alla vita ed all'educazione degl'infanti esposti, affidandoli a nutrici sane e di buoni costumi. Allo scopo di aumentare le donazioni e le offerte, il regolamento prescriveva ai notai che, in occasione di ricevere testamenti, interrogassero ed esortassero i testatori a far qualche lascita allo Spedale.
Nel 1791, il P. Provinciale, rivolgevasi direttamente al Sovrano con memoriale e  altri documenti del tempo, rilevasi che nell'Ospedale i letti per gli ammalati poveri erano vent'otto: che la spezieria era ben fornita di medicinali; che i medici prescrivevano senza sugesione veruna come sogliono ordinare nelle comode case particolari, ed erano pienamente obbediti; che gli ammalati stessi richiedevano d'esservi ammessi, riconoscendone il buon trattamento, e finalmente che gli infermi non venivano congedati se non dopo il perfetto ristabilimento di salute e di forze.
In quest'epoca anche l'editizio ospitaliero si era ampliato e si era costrutta una stanza anatomica per le sezioni cadaveriche che eseguivano i Clinici. Verso la fine del secolo XVIII lo stato economico dello Spedale trovavasi in discrete condizioni, mediante le cure della Congregazione. Poteronsi allora estinguere alcune passività, restaurare molti fabbricati, provvedere di mobili la casa ospitaliera, ed aumentare l'annuo reddito di essa.  Oltre i vantaggi goduti dallo Spedale risulta che in quel tempo lo Stabilimento era immune dai dazi doganali tanto sui medicinali che su qualunque altra merce che si importasse dal Continente per uso del medesimo.
Il Vicerè avea pure disposto a favore dello Spedale della somma di scudi duecentocinquanta, pagata da alcuni prigionieri del villaggio di Oschiri per ottenere il condono d'alcuni mesi di carcere a cui eran stati condannati per commesso reato. L'Ospedale percepiva pure un diritto sulle propine pagate dagli studenti universitari. Godeva ancora delle somme che il Magistrato civico incassava a titolo di contravvenzioni ai regolamenti municipali sull'uso delle acque comunali. Parimenti alcuni Governatori della Città soleano rilasciare allo Spedale le multe per le contravvenzioni applicate dal Comando Militare. L'Ospedale inoltre era esente dal pagamento delle Decime annuali.
L'Istituto infine era immune da qualunque tributo regio o comunale ordinario. Solo in circostanze eccezionali richiedevasi il suo straordinario concorso ai pubblici gravami.
Col sorgere del secolo XIX Vittorio Emmanuele I lusingandosi che i frati di S. Giovanni di Dio avrebbero con maggior zelo amministrato il patrimonio dei poveri infermi affidò ad essi, di nuovo, l'amministrazione diretta dei beni e delle rendite degli Ospedali dell'isola. E mentre esautorava le Congregazioni, istituite da Carlo Emmanuele III, creava una R. Delegazione incaricata di sopraintendere ed invigilare la buona amministrazione dei beni ed annuale resa dei conti, e sorvegliare l'igiene e l'interno regolamento dello Spedale. Nel 1812 venne il Pro Visitatore che esaminato la gestione del Superiore locale, e constatati gravi disordini a danno del pio luogo, provvide tosto perchè il medesimo Superiore venisse rimosso ed allontanato da Sassari, obbligandolo in pari tempo alla rifusione delle somme appropriatesi. Ma quantunque negli anni seguenti più corretta procedesse l'amministrazione del patrimonio, le rendite erano appena sufficienti per coprire le spese annuali. Per cui non passò gran tempo che lo stesso Monarca richiamò in vigore l'abbandonata Costituzione della Congregazione, alla quale di nuovo conferiva il Governo del pio Istituto.
La Congregazione provvide alla pronta definizione delle liti in corso ed alla più spedita esazione dei crediti; promosse una questua fra i cittadini, implorò ed ottenne dal Re Carlo Felice un generoso sussidio; chiamò alla sorveglianza degli interni regolamenti ed alla buona tenuta dei malati i più distinti personaggi e le nobili dame della città, ed infine pose mente ad un più comodo mantenimento degli infermi, provvedendoli di buoni letti, di miglior vitto e di più accurata assistenza.
Nel 1823 la Congregazione, riconoscendo la necessità di dare maggior sviluppo alle Cliniche Universitarie, dava incarico  affinchè si procedesse alla divisione dei letti per la medicina e per la chirurgia nelle proporzioni consentite dal ristretto numero dei medesimi.
Il vetusto edifizio in cui da parecchi secoli risiedeva l'Ospedale, malgrado i diversi ampliamenti fatti ed i frequenti restauri, andava mano mano rovinando, ed il tempo segnava ormai il suo finale destino. D'altra parte la popolazione di Sassari, assottigliata nelle trascorse età per una serie innumerevole sventure, veniva grado aumentando per virtù di tempi più prosperi e tranquilli, ed il ricovero dei poveri infermi mostravasi insufficiente pei bisogni della città.
Alla Congregazione dello Spedale non sfuggì la necessità di procurare ai miseri un più sicuro e vasto asilo, il quale, situato in più appropriata località, non fosse fomite di malsania e di contagio per gli abitanti, nella temuta ipotesi di una invasione colerica da cui si era allora minacciati. Deliberatasi, per questi motivi, nel 4 Settembre 1837, la traslazione dell'Istituto, si pensò all'erezione di un più comodo fabbricato nel locale del già soppresso Convento dei Trinitari, poco innanzi giunto in proprietà dello Spedale.
Dopo maturi studi e non poche ricerche sulla scelta di un conveniente sito, si giunse nella unanime deliberazione di erigere il nuovo Spedale nelle Appendici, sovra un terreno di proprietà, in parte del Comune ed in parte della Mitra turritana, che venne gratuitamente concesso dai rispettivi possessori per si umanitario fine. S'implorò quindi dal Re Carlo Alberto il permesso d'innalzare il nuovo edifizio, proposto dalla Congregazione, gradito dalla cittadinanza, e richiesto soprattutto dalla imperiosa necessità di abbandonare il cadente  fabbricato.
La posa della prima pietra del nuovo Ospedale ebbe luogo nel giorno 8 Giugno 1843.
Nel mattino del 29 Settembre 1849 poscia che il nuovo locale era pronto per collocarvi gl'infermi, la Congregazione dispose per il trasporto dei medesimi.
In quest'anno medesimo l'Intendente generale preoccupavasi dello sviluppo ognora crescente che la lue celtica, rara per lo innanzi, andava allora acquistando. Facen perciò uffici con la Congregazione perchè volesse destinare apposita infermeria per il ricovero e la cura delle femmine infette che la Pubblica Sicurezza avrebbe fatto, a sue spese, ricoverare, nell'intento d'impedire la diffusione d'un morbo tanto esiziale. L'Amministrazione videsi costretta a destinare un distinto locale per accogliere le inferme, che vennero ricoverate per la prima volta nel Maggio 1852.
Il Re Carlo Alberto, allo scopo di meglio giovare alla prosperità ed all'incremento delle Opere Pie di civile beneficenza aveva istituito i Consigli di Carità cui affidava esclusivamente l'amministrazione economica e finanziaria degli Spedali.
La Congregazione seguì, ancora per qualche tempo, ad amministrare il Pio Luogo. E sebbene ai fatebenefratelli fosse rimasta una tenue parte nella gestione economica, tuttavia anche questa venne loro tolta. Però per benigni riguardi verso quest'Ordine, si permetteva che gli individui i quali si trovavano in quel tempo addetti all'Ospedale, dovessero esser preferiti ad ogni altro ed ammessi al servizio interno del medesimo, ma semplicemente per l'assistenza degli infermi e durante la loro vita. Essendosi l'ufficio dei fatebenefratelli ridotto a quello di umili infermieri, abbandonarono lo Stabilimento per ridursi a privata condizione. Sicchè nel Luglio 1851 cessava totalmente di prestar servizio all'Ospedale l'ordine di S. Giovanni di Dio, che per circa due secoli e mezzo governò in Sassari, con varie vicende, questo insigne Stabilimento di Beneficenza.
Promulgatasi la legge 1. Marzo 1850 e l'annesso regolamento approvato con R. Decreto 21 Dicembre dello stesso anno, il Re Vittorio Emanuele II nel 21 detto mese firmava il R. Decreto col quale veniva costituita la nuova Commissione composta di otto membri, a cui venne affidato il governo e l'amministrazione dello Spedale Civile di Carità.
La nuova Commissione dello Spedale insediata col sorgere dell'anno 1851, seguendo gli esempi tradizionali delle cessate Congregazioni, si studiò di regolare l'amministrazione in base alle norme più corrette tracciate dalle leggi in vigore. Essa procedette all'accertamento delle rendite, pose mente ad estinguere le passività contratte per la costruzione del nuovo fabbricato, ed a proseguire i lavori pel compimento del medesimo, onde somministrare più comodo ed ampio locale agli infermi. Si occupò eziandio di alcuni lasciti in quel tempo verificatisi.
La Commissione infine, riconosciuto insufficiente il servizio interno per l'attendenza degli ammalati, procurò di provvedere stabilmente a questo bisogno, chiamando le Suore di Carità. La Commissione, prevedendo che esso avrebbe arrecato grande benefizio allo Spedale, le prescelse per attendere e servire gl'infermi. In seguito alle trattative venne stipulata una convenzione con la quale si affidava la direzione ed il servizio interno dell'ospedale alle dette suore, le quali, in numero di cinque, incominciarono nel  Luglio 1855 il loro caritatevole ministero.
Qui terminano le poche notizie storiche che poteronsi raccogliere intorno allo Spedale. Quanto avvenne in tempi a noi più vicini non ha d'uopo d'esser qui registrato.



 
Dal passato al futuro... un viaggio nel tempo dei templi della salute
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