VILLANOVA SULL’ARDA Ospedale Fondazione Giuseppe Verdi - Ospedali d'Italia

Vai ai contenuti

Menu principale:

VILLANOVA SULL’ARDA Ospedale Fondazione Giuseppe Verdi

Ospedali Nord est > Regione Emilia Romagna > Provincia Piacenza


Ringrazio l'autrice Chiara Ferrari  per aver concesso l'autorizzazione alla pubblicazione del contenuto di questa scheda derivata da:
Chiara Ferrari, L’ospedale Verdi a Villanova sull’Arda: documenti sull’evoluzione del sistema assistenziale italiano, "E-Review", 1, 2013. DOI: 10.12977/ereview19  , "postata" sul sito :


http://e-review.it/ferrari-ospedale-verdi-villanova-sull-arda”


L’impegno sociale e umanitario di Giuseppe Verdi nel Piacentino si concretizzò anche nella realizzazione dell’ospedale di Villanova. La struttura sanitaria fu infatti costruita solo ed esclusivamente grazie all’impegno finanziario del Maestro. Venne inaugurata nel 1888 con l’ingresso nella struttura ospedaliera dei primi dodici degenti, tanti ne poteva contenere allora. Prima della costruzione dell’ospedale gli abitanti della borgata in riva all’Arda erano costretti a percorrere una quarantina di chilometri per farsi curare a Piacenza. La realizzazione dell’ospedale fu per il Maestro l’avverarsi di un sogno. Verdi ne ispirò lo statuto e resse direttamente le sorti del nosocomio attraverso una commissione da lui eletta, che ebbe il compito di amministrarlo fino al 1901.
L’ospedale era al servizio dei poveri del Comune e ad esso Verdi vi si dedicò, insieme alla Strepponi, occupandosi personalmente anche degli arredi e delle attrezzature sanitarie. Un coinvolgimento a tutto campo per il Maestro più che mai attivo in quegli anni.
La sollecitudine con cui Verdi si occupò dell’ospedale emerge dall’attenzione con cui egli curò la stesura degli articoli dello statuto. Il “conservatore” dei beni doveva badare che gli ammalati venissero accuditi e curati al meglio, affinché non rimanessero ricoverati più del dovuto; prestare assistenza al personale di servizio, controllare i dipendenti, seguire con scrupolo l’andamento dei fondi rustici che alimentavano il finanziamento dell’istituto sanitario.  Presidente del Consiglio d’amministrazione dell’ospedale era il sindaco di Villanova, Giacomo Persico, con il quale Verdi ebbe rapporti di stima sia sotto il profilo umano che professionale. Dall’epistolario ricorrente tra i due emerge l’impegno costante per la povera gente di Villanova.
L’ospedale Verdi di Villanova sull’Arda, nella provincia piacentina, voluto e finanziato dal maestro Giuseppe Verdi, rappresenta un interessante caso di filantropia sociale, che merita attenzione, oltre che sul versante dell’edilizia ospedaliera, anche in riferimento all’evoluzione del sistema assistenzialistico italiano tra fine Ottocento e inizio Novecento. Verdi, esponente di quella borghesia italiana che, dopo l’unità nazionale, sentiva necessario intervenire sul sociale cercando di risolvere concretamente i problemi che colpivano le campagne e le province del paese, nel 1878 iniziò a pensare alla possibilità di realizzare un ospedale per i poveri, che potesse curare gli ammalati e infortunati indigenti della campagna di Villanova, troppo lontani dalla città e dall’ospedale civile di Piacenza.
I poveri ammalati di questo comunello – scriveva Verdi al senatore Piroli nel 1882 – non hanno altro ospedale che quello di Piacenza, città distante 34 o 36 chilometri: e questi poveretti la maggior parte, muoiono per strada. Un giorno, parlando col Sindaco di queste miserie, dissi che avrei pensato io a costruire qualche locale, un ricovero, qualche cosa infine per essere utile a questi infelici.
È in questo momento storico, dopo l’unificazione del paese, che cominciò a verificarsi in maniera sempre più decisiva il passaggio delle iniziative assistenziali dalla Chiesa allo Stato. Questo passaggio, previsto dalla legge 753 del 1862, si concretizzerà con la legge 6972 del 17 luglio 1890, che statalizzava le opere pie, denominate da questo momento “Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza”.
Lo Stato cioè non interveniva ancora direttamente nella gestione dell’assistenza, ma sottoponeva a controllo pubblico gli enti erogatori, cui conferiva anche veste pubblica.
In questo percorso evolutivo l’ospedale Verdi, inaugurato nel novembre 1888, è testimonianza di una fase intermedia in cui era il singolo benefattore a impegnarsi nel ruolo di propositore e sostenitore della causa dei più deboli. È bene precisare, però, che l’intento del filantropo non era meramente solidaristico, ma aveva anche lo scopo di alleviare le problematiche di ordine sociale e di attenuare il malcontento nelle campagne, tra i lavoratori che stavano cominciando a organizzare scioperi e sommosse proprio nei terreni di facoltosi possidenti, quale in quegli anni era Giuseppe Verdi, residente a Sant’Agata dal 1851 e proprietario di vastissimi appezzamenti. Preservare, quindi, lo stato delle cose e mantenere stabili gli equilibri sociali tra ricchi e poveri, tra proprietari e braccianti. Evitare che fame e miseria potessero scatenare rivolte contadine ingestibili, o che il diffondersi delle idee socialiste alimentasse disordini e rivoluzioni violente. «Cosa faranno i nostri uomini di Stato? Coglionerie sopra coglionerie!», scriveva Verdi già nel 1867 in una lettera a Opprandino Arrivabene, mostrando tutta la sua sfiducia in una classe politica considerata incapace di risolvere i reali problemi del paese. Sfiducia che diventò avversione dopo l’avvento della Sinistra storica al governo.
Dall’analisi delle diverse tipologie di documenti conservati negli archivi comunali di Villanova e di Piacenza, all’Istituto Nazionale di Studi Verdiani a Parma o presso lo stesso ospedale è possibile trarre informazioni preziose sulla vita sociale della località piacentina, sulla vita interna alla struttura di cura e sulla figura di Giuseppe Verdi.
Alcune delibere comunali presenti negli archivi del Comune di Villanova consentono di ricostruire la vita sociale negli anni appena precedenti e contemporanei alla costruzione dell’edificio. Da questi emerge la condizione di povertà e di precarietà che contraddistingueva una larga fetta di popolazione, praticamente allo stato di indigenza, obbligata a emigrare in terre lontane per scampare alla miseria e per trovare lavoro.
Lo stesso Verdi, ormai più che insofferente di fronte alla situazione politico sociale dell’Italia e della sua terra in particolare, cercava di porvi rimedio offrendo lavoro agli operai nelle riparazioni delle sue “fabbriche”:
Si evince dai documenti, inoltre, che era l’amministrazione comunale a sostenere le spese di trasporto degli ammalati del posto, costretti a raggiungere l’ospedale di Piacenza per potersi curare. Ma i verbali offrono anche l’occasione di verificare le diverse attività di beneficenza di cui il Maestro, insieme a Giuseppina Strepponi, si rese protagonista sul territorio: dalle offerte per i poveri, alle borse di studio a vantaggio di giovani meritevoli, fino all’impegno per la costruzione e il mantenimento sia dell’asilo di Cortemaggiore che dell’ospedale di Villanova.
I certificati relativi alla costituzione dell’ospedale confermavano l’aspetto di innovazione dell’istituto: la relazione tecnica dell’ingegnere Marco Frignani, responsabile della costruzione dell’edificio, descriveva dettagliatamente le strutture, i materiali, i locali ampi e ben arieggiati per evitare l’eccessiva prossimità tra i malati. I vari Statuti e Regolamenti interni custoditi nell’archivio dell’ospedale, invece, definivano gli scopi, l’utenza, i costi annuali o gli stipendi versati alle suore, le modaltà di gestione dell’istituto e i diversi ruoli del personale interno: il medico, le suore, il Presidente (ruolo ricoperto, quest’ultimo, dal Sindaco di Villanova).
Fu Verdi stesso, in qualità di fondatore, a compilare lo Statuto e a reggere le sorti dell’ospedale attraverso una commissione da lui presieduta. Fu sempre il Maestro a optare per le suore invece di infermiere laiche per la cura dei malati. È presumibile che costassero meno, ma anche che in un paese di provincia delle religiose sarebbero state accolte più serenamente dovendosi occupare anche di malati di sesso maschile.
                                                    Statuto e Regolamento interno
Lo Statuto e le successive modifiche chiarivano che l’ospedale aveva un’utenza privilegiata: i poveri che soffrivano di malattie curabili. Due posti soltanto erano riservati ai malati di malattie infettive da trattare in appositi locali separati. Di quegli anni è la diffusione del colera, della scarlattina, del vaiolo. Era necessario evitare la promiscuità e fare in modo che i malati potessero ristabilirsi ed essere dimessi presto, evitando che stazionassero in ospedale per troppo tempo. Non si voleva in alcun modo che l’istituto ricadesse nella tipologia del vecchio cronicario per malati inguaribili, ma che spesso finiva per accogliere anche poveri senza famiglia né dimora, col rischio di contagi, nuove malattie e disordini sociali. I poveri, invece, dovevano essere curati, accuditi e reintegrati al più presto nel tessuto sociale.
È da sottolineare che lo Statuto e il Regolamento interno nel corso degli anni subirono modifiche e integrazioni proprio per regolamentare i ruoli e le aree di intervento di medici e suore. Nell’ambito della gestione interna, infatti, soprattutto per quanto concerne la cura degli ammalati, più volte si verificarono delle divergenze tra le religiose e i medici, laici o comunque ispirati ai nuovi principi della scienza medica. Anche questi conflitti, documentati in diversi istituti d’Italia, testimoniavano di un’evoluzione della funzione ospedaliera: l’ospedale era non più solo luogo di accoglienza e carità, ma soprattutto luogo di cura, per la quale si rendevano necessarie figure professionali riconosciute come i medici condotti che, in seguito alla legge Crispi-Pagliani del 1888, si videro certificare il titolo di studio quale unica e imprescindibile possibilità di svolgere la professione medica. Furono tre i medici che si susseguirono a Villanova e due gli ordini di religiose. Il regolamento venne modificato più volte perché si stabilissero con precisione ruoli e competenze nella gestione degli ammalati.
Dopo la morte di Verdi, poi, l’ospedale subì evoluzioni e cambiamenti, come testimoniato dai diversi Statuti datati 1908 e 1943, fino a diventare ente pubblico a seguito della riforma sanitaria attuata negli anni Settanta.
Oggi l’edificio storico dell’ospedale Verdi è affiancato da un moderno complesso, sede di un centro di recupero e rieducazione funzionale tra i migliori in Italia. Recentemente è stato completato di una palestra e una piscina per la riabilitazione in acqua. Si può certamente dire che il mandato originario sia stato mantenuto, poiché la cura e la riabilitazione degli ammalati sono rimaste le missioni principali di questo centro.
Qui gli ammalati, soggetti attivi, sono protagonisti nel progetto di recupero e reinserimento, come doveva essere in passato.
                                                    Le lettere: diari dall’ospedale
I documenti più suggestivi e ricchi di informazioni sono le lettere attraverso cui si può ricostruire la vita interna dell’ospedale. Ci sono la corrispondenza tra Verdi e Boriani, e poi tra Verdi e Persico, entrambi sindaci di Villanova e presidenti dell’ospedale, che raccontano proprio delle difficoltà di gestione della struttura.
Preziosissime sono le lettere scritte dalle suore dell’Ordine delle piccole figlie di Gesù di Parma e la corrispondenza tra la Superiora suor Maria Broli e monsignor Agostino Chieppi, fondatore dell’ordine delle suore Chieppine, incaricate di svolgere attività di assistenza ai malati. Resteranno a Villanova fino al 1896, quando saranno sostituite dalle suore Figlie della carità di San Vincenzo de’ Paoli di Torino, in servizio fino al 1973. Anche sulle ragioni di questo cambio è facile ipotizzare una situazione conflittuale venutasi a creare all’interno dell’istituto, sempre a proposito della gestione e organizzazione del servizio. Le lettere svelano, tra le altre cose, quali fossero i compiti che le suore dovevano svolgere in ospedale: gestire la cucina, dedicarsi agli acquisti e alla preparazione dei pasti, occuparsi della lavanderia, della pulizia della biancheria e degli abiti dei convalescenti, oltre che prestare assistenza al personale medico nella cura dei malati. La Superiora aveva poi mansioni di responsabilità come tenere un registro e occuparsi dell’amministrazione. Un prete aveva il compito della cura spirituale dei malati e poteva recarsi in ospedale per svolgere tale mansione. Dalle lettere si coglie che questa presenza, a tratti, venne vissuta come troppo invasiva, tanto da determinare liti e conflitti.
Interessanti sono anche le informazioni che si ricavano sui medici condotti : la nomina, per esempio, avveniva per concorso, ma sappiamo che soprattutto in un caso fu Verdi stesso a intervenire nella scelta definitiva dopo essersi ben informato sul nuovo medico che era risultato vincitore della prova. Un medico giovane, abituato magari alla città, bisognava essere certi che si sarebbe adattato bene alla vita di un paese di provincia, forse anche a una paga inferiore rispetto a quella di un ospedale cittadino, e che non avesse idee troppo rivoluzionarie o socialiste tali da fomentare disordini e conflitti.


 
Dal passato al futuro... un viaggio nel tempo dei templi della salute
Torna ai contenuti | Torna al menu