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ZERVO' Sanatorio

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(1) https://www.ascenzairiggiu.com/il-sanatorio-antitubercolare-e-la-comunita-incontro-di-zervo/

(1) Terminata la lunga guerra che vide impegnata l’Italia su più fronti dal 1915 al 1918, i soldati reduci dovevano ancora guarire le loro ferite, quando dovettero dare conto ad un nuovo e grave problema epidemico insorto tra di loro: la tubercolosi. La malattia divenne subito un problema sociale a causa della popolazione indebolita, insieme alle difese immunitarie soggettive. Nel 1917 furono contati nei sanatori circa 433.000 soldati ammalati di tubercolosi, il 10% dei quali morì, per cui il 25 marzo dello stesso anno, venne istituita una legge apposita, la n. 481. Il governo, percepita l’emergenza, si attivò costruendo degli ospedali specializzati per accogliere e curare tutti gli affetti del “mal sottile”.
Sentita la necessita “i comuni di Scido, Santa Cristina, Tresilico, Oppido, Varapodio e Platì in concessione perpetua e gratuita i terreni per la costruzione del Sanatorio Antitubercolare della Calabria all’ONIG, ed una vastissima area alle falde del Monte Scorda, costituita da oltre 315 ettari di fitti boschi di faggi ed abeti, nonché l’uso delle acque dei torrentelli nelle vicinanze. Con i contributi di lascito vari, versamenti dei comitati di assistenza ai Militari, Ciechi, Storpi e Muti e con una cospicua elargizione degli emigranti italiani residenti in Argentina fu costruito il complesso edilizio del sanatorio di Zervò. La costruzione avviata il primo luglio 1925 senza studi preventivi adeguati e dopo un superficiale esame di cartografie a larghissima scala e senza dati certi sulle condizioni climatiche del luogo fu completata dopo tre anni e dieci mesi. Scarsa considerazione fu data al sistema viario esistente che sulla cartografia appariva agevole mentre in realtà non lo era”.
Ogni Reparto era munito di attrezzature all’avanguardia. I due Padiglioni destinati alla degenza erano identici, a due piani, e potevano ospitare fino a 170 ammalati. Le camere dei degenti erano a due letti con doppio lavabo ad acqua corrente calda e fredda; il pavimento era rivestito di linoleum e all’esterno c’erano spaziose verande. Ogni Padiglione disponeva di due sale di riunione, una camera da bagno con quattro vasche, un servizio medico-chirurgico con sale di medicazione ed operazione, gabinetti per indagini chimiche, batteriologiche e microscopiche, un gabinetto di radioscopia e radiologia, locali per disinfezione, cucina, guardaroba, magazzini, ecc.

(2) Da: Calabria misteriosa Anno II N°6 1979-  L’Opera Nazionale, su richiesta metteva a disposizione degli Enti di Beneficienza, dei Consorzi Provinciali Antitubercolari e dei malati di petto che ne facevano richiesta, camere a due posti letto, con retta giornaliera comprensiva di cure mediche, a 32 lire per gli enti pubblici e 40 lire per i privati, con deposito di un mese di anticipo. Il complesso, intitolato a Vittorio Emanuele III, fu inaugurato il 29 ottobre 1929  ma fu chiuso dopo circa tre anni a causa delle difficoltà sopravvenute per le rigide condizioni meteorologiche invernali del luogo, per i problemi logistici e l’elevato grado di mortalità riscontrato in quei pochi anni di attività.
Riuscì ad accogliere fino a 180 malati. Erano annesse un'azienda agricola ed una scuola per infermiere.
La giornata si svolgeva dalle 7,30 alle 21,30. I malati avevano a disposizione una ricca biblioteca (oltre 1000 volumi) un apparecchio radio, un cinematografo dono della Regina Elena, un grammofono ed un pianoforte. Spesso erano raggiunti da compagnie di filodrammatici che organizzavano spettacoli di prosa.
I servizi dell'istituto erano affidati alle suore della Misericordia di Verona, aiutate nei reparti degli ammalati da infermiere laiche e inservienti sotto-infermiere, nei servizi generali erano aiutate invece da personale maschile e femminile di minore qualificazione. La durata media della degenze era di 104 giorni. Il trattamento medico era quello in uso allora: era prescritto il soggiorno in veranda almeno 5 ore e 3/4 al giorno.
Chiuse tutte le strutture sanitarie, dopo anni di completo abbandono divennero libero accesso di vandali e animali.
Quando l’ONIG (Opera Nazionale Invalidi Guerra) abbandonò l’antitubercolosario, lo vendette all’INPS il quale, sul finire degli anni cinquanta del secolo scorso, ebbe l’esigenza di fare una “martellata” di faggi per un costo di 25 milioni. La cosa non stette bene al Comune di Scido che propose e ottenne il taglio dei faggi in favore dell’INPS in cambio della proprietà delle strutture dell’ex Sanatorio.  [di Antonio Violi, tratto da: L’alba della Piana del marzo 2011]
Dal 1996 al 2014, tali strutture sono state utilizzate in concessione da una delle Comunità Incontro di Don Pierino Gelmini accogliendo giovani e meno giovani che necessitavano di disintossicarsi dalla droga, ma anche condannati che dovevano scontare pene minori. Gli stessi ospiti svolgevano piccoli lavori artigianali, coltivano ortaggi e allevavano animali per le esigenze della comunità.
A seguito della morte di Don Gelmini (2014) la Comunità terminò la sua presenza a Zervò e il complesso edilizio fu restituito al Comune di Scido il quale, a seguito dell’emanazione di un bando pubblico,  dal 2 giugno 2015, ha concesso lo stesso, con contratto di comodato d’uso a titolo oneroso alla Cooperativa Sociale “Il Segno” di Oppido Mamertina.


 
Dal passato al futuro... un viaggio nel tempo dei templi della salute
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