VOLTA MANTOVANA Ospedale civile ora Gruppo Mantova Salus - Ospedali d'Italia

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Tratto integralmente dal testo di Mezzadrelli Cesarino – Volta Mantovana: Pellagra e Assistenza nella seconda metà del XIX Secolo – 1983 pagg. 41-49 (Autore non trovato)


“”La fondazione di una Casa di Ricovero – Ospedale era  una necessità avvertita e diffusa da tempo, tanto da spingere alcuni cittadini a lasciare in eredità, a questo scopo, una parte dei propri beni.  Una proposta ben precisa venne da don Angelo Bertasi che, pur essendo parroco da pochi anni, si propose per “fondare” una casa di ricovero anche in via privata. C'era la possibilità di ottenere dal Comune, in uso o in affitto, una casa di sua proprietà da destinare a stabile dell'Ospedale-Ricovero, evitando così al parroco l'acquisto di alcuni locali, come egli originariamente era disposto a fare. Il parroco come primo responsabile intendeva riservarsi « piena libertà di azione sulla scelta, il trattamento e regolamento disciplinare del personale di servizio ».  La proposta però non trovò una buona accoglienza: il sindaco dichiarò che l'Amministrazione non avrebbe potuto dare il proprio fattivo contributo non solo perché essa stessa intendeva procedere alla realizzazione dell'istituzione progettata quando lo avessero permesso le finanze del Comune ma anche perché le condizioni poste dal parroco sembravano inaccettabili, specialmente là dove si parlava della direzione del personale della casa di Ricovero-Ospedale.  Il parroco comunque aveva ritirato la propria proposta e il Consiglio Comunale con delibera del 10-7-1894 nominò una commissione di cinque membri con il compito di raccogliere i mezzi e predisporre un progetto di statuto e regolamento per l'istituendo ospedale-ricovero. Tra i membri fu eletto, con il massimo dei voti, anche don Bertasi: non era solo un dovuto riconoscimento alla tenacia con cui aveva sollevato e sollecitato il problema ma anche la costatazione che, dovendo far ricorso alla beneficenza,  non vi era altri più adatto per sollecitare la generosità e ispirare fiducia in tutti. Il Comune poi concesse un fabbricato di sua proprietà « affinchè sia convertito in una Casa di Ricovero per poveri ammalati ed inabili al lavoro ».  La commissione comunale procedette a varie riunioni per definire i modi più opportuni di procedere nella raccolta dei fondi e nella realizzazione di una forma anche ridotta e precaria di ricovero e assistenza medica. Subito si scontrarono due opinioni: quella del parroco che puntava al funzionamento della Casa di Ricovero e Cura sotto la gestione diretta della commissione, con personale qualificato per la cura degli ammalati, fidando nella carità dei cittadini che, vedendo i buoni risultati, sarebbero stati spinti a maggior generosità. L'avv. Boselli invece voleva assegnare la responsabilità maggiore nella gestione alla Congregazione di Carità non essendoci mezzi adeguati per una gestione autonoma; egli poi non riteneva indispensabile la presenza di personale infermieristico per la cura degli ammalati.  Alla fine venne accolto il parere dell'avv. Boselli per cui il comitato promotore consegnò e mise a disposizione della Congregazione di Carità alcuni locali al piano superiore della Casa ed i cinque letti che ivi si trovano con preghiera di usarne durante l'anno 1895, per la cura degli ammalati, invece che a domicilio ed a proprie spese [...].
Si diede quindi avvio concretamente al ricovero di ammalati e cronici: essi venivano ospitati nella casa messa a disposizione dal  Comune e cioè, come più volte affermato, nell'ex casa commissariale. Le attrezzature erano ridotte all'essenziale: pochi erano i letti disponibili, scarsi i mobili e la biancheria, ottenuti dalle donazioni fatte dalla cittadinanza.  Il servizio medico era svolto dai medici condotti del Comune mentre solo dopo un certo periodo  venne introdotta una infermiera direttrice. La gestione rimase affidata alla Congregazione di Carità fino alla fine del 1899 quando per difficoltà economiche ed anche per contrasti sui modi di gestione l'Amministrazione comunale decise di nominare una nuova commissione di 5 membri dando a questa l'incarico, sempre in via provvisoria e di esperimento, di amministrare la gestione della tanto desiderata Pia Casa e di studiare soprattutto i mezzi per dare all'istituzione suddetta possibilmente un carattere più duraturo e  confacente ai bisogni ». Fra i membri eletti nella seduta del 6-12-1899 vi era ancora il parroco don Bertasi che divenne il presidente della nuova commissione.  Le precedenti commissioni, nominate allo scopo di reperire i fondi e studiare i mezzi per l'erezione in Ente morale della casa di cura non avevano raggiunto grossi risultati e si erano entrambe dimesse: la prima il 6-11-1895, la seconda il 31-1-1896; nè meglio aveva fatto la Giunta municipale che aveva assunto i loro compiti fino al 1899. L'attività, nei limiti modesti già ricordati, continuerà comunque ininterrottamente per tutti quegli anni, con ricoveri di ammalati e inabili non solo di Volta ma anche dei paesi vicini; nel 1897 si registrarono 2.931 giornate di degenza per 46 paganti e 76 assistiti gratuitamente mentre nel 1898 ve ne furono 2.670 con 28 paganti e 76 assistiti.  Continuavano anche le donazioni e le offerte di vari benefattori, essenziali per giungere ad avere un patrimonio adatto a garantire l'erezione della Pia Casa in ente morale, superando le caratteristiche di istituzione privata. Per raggiungere un simile scopo era necessario pervenire ad una chiarificazione sulle finalità dell'istituzione che al momento accoglieva malati, inabili al lavoro, cronici e svolgeva quindi le funzioni sia di ospedale che di casa di riposo o ricovero. È quanto giustamente fece presente nell'adunanza della Commissione comunale il 24-9-1903 il regio Commissario del Comune di Volta: « Quanto allo scopo osserva che presentemente non è ben chiaro o per lo meno è troppo complesso. Nella Pia Casa ci sono fino ad ora malati di ambo i sessi, tanto cronici quanto semplicemente affetti da malattie acute; ci sono pure ricoverate persone in stato di sanità ed inabili al lavoro. Non si sa dunque se la Pia Casa sia uno Spedale di Cronici, uno Spedale per cura di malattie acute, oppure un ricovero di mendicità od un Ricovero di inabili al lavoro». Tale complessità era la conseguenza del modo in cui l'istituzione era sorta: se infatti le intenzioni dei benefattori espresse nei loro testamenti erano di istituire un ospedale, le necessità della beneficenza più volte riscontrate dalla Congregazione di Carità avevano indotto ad offrire aiuto ed assistenza a molte altre persone bisognose: ammalati cronici, inabili, pellagrosi che diversamente erano abbandonati a se stessi.  Il Commissario regio, dopo aver constatato le volontà dei benefattori e gli intendimenti del Comune propose che la Pia Casa avesse per scopo la cura ed il mantenimento dei molti malati poveri affetti da malattie acute e non croniche, nativi di Volta Mantovana o qui dimoranti da oltre cinque anni». Così precisati gli scopi, la Pia Casa si definiva di fatto come un ospedale che avrebbe avuto uno statuto che contenesse e precisasse in termini adeguati oltre alle finalità prima indicate anche i vari momenti della gestione e le competenze corrispondenti.
L'amministrazione si intendeva venisse affidata ad una commissione di cinque membri, uno eletto dal Consiglio Comunale, uno dalla Congregazione di Carità e tre dalla assemblea degli oblatori che venivano in tal modo interessati direttamente e diventavano, di fatto, i responsabili della nuova opera.  Ma nessuno si sentiva di recedere dall'impostazione ormai data, anzi nell'assemblea generale degli oblatori del 6-11-1903 venne accettata la proposta dell'oblatore Menegari di denominare la pia istituzione Spedale Civile di Volta Mantovana e non più Pia Casa di Cura. E lo statuto organico approvato nella stessa assemblea formalizzava quanto ormai deciso più volte: l'art. 2° infatti cosi diceva: « Lo Spedale Civile ha per scopo la cura ed il mantenimento dei poveri d'ambo i sessi affetti da malattia acuta, nati nel comune di Volta Mantovana o quivi residenti da almeno cinque anni continui compiuti [...]». L'art. 26 stabiliva che alla cura degli ammalati avrebbero provveduto i due medici chirurghi condotti.  Dopo queste chiarificazioni il 19-11-1903 venne inoltrata la domanda per l'erezione in Ente Morale dell'ospedale e per l'approvazione dello statuto deliberato: il regio Commissario comunale Brogiani diede parere favorevole con delibera del 21 dello stesso mese. Dopo varie pratiche si giunse allo scopo: « con R.D. 23 Febbraio 1905 venne costituito in Ente Morale l'Ospedale Civile di Volta Mantovana con patrimonio costituito da capitali fino a quel tempo gestiti dalla Congregazione di Carità del luogo col vincolo di spettanza all'erigendo Ospedale ».  Nel 1906 i letti disponibili erano 12, dei quali 6 destinati alla cura degli ammalati poveri. “”



 
Dal passato al futuro... un viaggio nel tempo dei templi della salute
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