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NAO Ospedale San Francesco Saverio

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Tratto integralmente da: ROGERIUS-ANNO XIV-N. 1-Gennaio/Giugno 2011 - L'ospedale antimalarico di Nao e l'ospizio di Mileto: due opere assistenziali agli inizi del XX secolo in Calabria di Filippo Ramondino  (Pubblicato nel rispetto delle norme di copyright)

Il vescovo Morabito per la sua opera di ricostruzione, assistenza e promozione umana e cristiana, dopo il terremoto del 1905, ebbe la capacità e la fortuna di aprire relazioni e contatti con vari e importanti personaggi dell'epoca, che lo aiutarono notevolmente nel suo apostolato, basta solo ricordare i suoi contatti con la regina Margherita di Savoia. Egli seppe fare tesoro dei suggerimenti e delle sollecitazioni a fare "opere permanenti", che gli provenivano insieme agli aiuti e soccorsi per il terremoto.
Attesta il giovane dott. Carlo Taccone:
«Era una delle ultime sere di Ottobre del 1905 quando Monsignor Morabito, ritornando da una delle sue solite peregrinazioni in cerca di feriti da assistere e da confortare, dei malati e dei poveri da far curare e soccorrere, visitando l'infermeria della Croce Rossa ed il locale d'isolamento in S. Costantino Calabro, ci faceva notare, che, nonostante l'opera indefessa ed ammirevole di tanti sanitari, veri eroi del dovere e del sacrificio, molti ammalati confinati in povere capanne sparsi pei campi restavano senza cure, senza pane, senza tetto, senza vesti. [...] erano costretti a vivere in ambiente malsano su di un giaciglio accanto alle bestie domestiche. Eppure la massima parte di questi disgraziati erano e sono poveri contadini, vecchie donne, miseri operai logorati dal lavoro e dagli stenti [...] Furono questi casi pietosi, che si succedevano quotidianamente, e che non mancano ancora di rinnovare l'eco dolorosa di que' giorni funesti. che indussero Monsignor Morabito ad erigere un piccolo Ospedale presso la borgata di Nao».
Mons. Morabito acquistò un terreno a ridosso della strada nazionale e vi fece costruire un moderno ospedale, esposto a mezzogiorno, utilizzando prevalentemente il materiale e i fondi pervenuti in soccorso del terremoto. Lo dedicò e lo volle intitolare a San Francesco Saverio, di cui era devoto. L'edificio, pur realizzato in pochi mesi col sistema antisismico, si presentava elegante e simmetrico e rispondeva bene alle esigenze di un modesto ospedale di provincia. Si entrava nel pio luogo attraverso due scale di accesso in cemento e una gradinata che  portava al piano dove nei due corpi avanzati c'era, a destra, la direzione, a sinistra, la farmacia e la portineria. Dopo un atrio rettangolare pure in cemento si accedeva alle sale dei malati: a destra per le donne, a sinistra per gli uomini. Ogni salone aveva quattordici letti a molla con i rispettivi comodini. Nella parte posteriore dell'edificio vi erano: la cucina, la dispensa, l'appartamento delle suore e, al centro, la cappella. Furono aggiunte subito dopo, a destra dell'ospedale, altre due sale riservate per malati agiati, una lavanderia - deposito e una sala di osservazione e di isolamento. Prime cooperatrici furono le Suore della Carità di S. Giovanna Antida Thouret. Il servizio sanitario era affidato ad un medico chirurgo, capo direttore, e ad altri medici onorari, affiancati da tre suore e da due infermieri stabili e qualcuno occasionale. Per l'accettazione dei malati era necessario presentare una domanda scritta alla superiora o al vescovo, allegando il certificato di povertà rilasciato dal sindaco o dal parroco, oltre che il certificato medico. La vita interna dell'ospedale era disciplinata da un apposito regolamento. L'ospedale cominciò a funzionare dal 5 aprile 1906 e fu inaugurato il 12 aprile seguente. Nel mese di giugno, si legge nella cronaca diocesana, cominciava a dare «tanti buoni frutti di generosa pietà cristiana. Ecco una breve relazione dei primi due mesi:
Dei 16 infermi ricoverati nei mesi di aprile e maggio ed affetti dalle più disparate malattie mediche e chirurgiche, 10 sono usciti a tutt'oggi guariti, 2 migliorati e 4 si trovano ancora degenti all'ospedale, ma in via di guarigione.
Fin dall'inizio ci fu il trattamento dei malarici, questa cura e assistenza andò particolarmente a consolidarsi come impegno prioritario con l'apertura di un Sanatorio Antimalarico, a lato dello stesso ospedale. La geniale iniziativa di questa istituzione riscosse i più ampi consensi in campo regionale e nazionale, e attirò ammirazione in campo internazionale. Qualche anno dopo, lo stesso vescovo, in una lettera al direttore generale della Sanità Pubblica a Roma, scrisse con mal celata soddisfazione e una punta di ragionevole orgoglio:
«ll mio Sanatorio Antimalarico [...] fu il primo aperto in Italia, e quando nel 1909 il Governo Imperiale di Russia ne chiese notizie al nostro Governo fu dal Governo girata qui la domanda e fui io che detti all'Ambasciata di Russia le chieste spiegazioni».
Dopo il successivo terremoto del 28 dicembre 1908, la primitiva costruzione fu riattata per ricovero dei vecchi, e si costruì accanto un nuovo sanatorio. Nel 1910 vi si portò l'acqua potabile captata nella terra detta Vasia.
L'ospedale godeva dei particolari contributi del Ministero per le campagne antimalariche; delle offerte della Croce Rossa americana; della Croce Rossa italiana e francese, della analoga di Costantinopoli, e di uno speciale comitato di Milano. Furono accolti malarici di diversi paesi e da differenti zone in epoche varie, altri che si curavano in casa si fornivano presso la farmacia del sanatorio di tabloidi di chinino per curarsi o profilassare i familiari. Le forme malariche predominanti furono quasi tutte del gruppo delle estivo-autunnali (plasmodium falcipadium), periodi in cui la popolazione rurale in genere resta in campagna giorno e notte.
L'esperienza maturata in questa benefica e provvidenziale istituzione, voluta e seguita premurosamente dal Morabito, permetteva al dott. Taccone di affermare e proporre che:
Quando il Morabito nel 1918 lasciò il governo della diocesi, pensava che l'ospedale sanatorio di Nao avesse la vita assicurata soprattutto dai sussidi del governo. Invece la vita di quel benefico istituto era purtroppo segnata. Il vescovo, con testamento olografo, datato 29 agosto 1918, dopo aver dichiarato «di aver costruito in parte col proprio mio danaro, ed in parte col danaro della pubblica beneficenza, le seguenti opere: 1° Ospedale S. Francesco Saverio presso Nao Comune di Jonadi, [...]», precisava che le opere da lui costruite avevano l'esclusivo scopo di pubblica beneficenza e desiderava che questo servizio venisse portato avanti dai suo successori, ai quali lasciava in legato gli edifici con relativo arredo". Lo stesso desiderio espresse in una lunga lettera al papa in data 12 ottobre dello stesso anno 1918.
Un nuovo flagello intanto si era abbattuto sull'Italia e sul mondo: la prima guerra mondiale. I contributi e le offerte nazionali e internazionali andavano sempre più estinguendosi, l'ospedale cominciò a versare in disagiate condizioni, tanto da non permettere un dignitoso proseguimento del suo servizio. L'amministratore apostolico e il rettore del seminario proposero  a mons. Morabito di farne donazione al seminario diocesano con la seguente motivazione:
«Avevo costruito il Sanatorio, credendo di provvedere a un grave bisogno de luogo e di avere aderenti ed aiuti. Il mio scopo non è stato raggiunto. Perciò liberamente destino ad altro uso il locale, uso che credo più corrispondente al bene della diocesi. L'atto di donazione fu effettuato il 6 maggio 1919. Nello stesso atto era fatto obbligo che il fabbricato venisse adibito per la villeggiatura estiva dei chierici.
La trasformazione dell'ospedale-sanatorio, date le circostanze, in seminario estivo era ritenuto un atto munifico, di grande importanza per la diocesi, che cosi si metteva al pari con le principali d'Italia per quanto riguardava la villeggiatura dei chierici. La struttura di Nao fu utilizzata per questo scopo fino al 1923, anno in cui mons. Albera acquistò per le vacanze dei seminaristi la tonnara di S. Irene, sul mare di Briatico, luogo più idoneo per le vacanze estive. Intanto, il 19 novembre 1921, negli stessi ex locali del sanatorio, era stata inaugurata una Casa del Sacerdote, essa svolgeva la sua funzione di luogo di riposo e di ritiro spirituale per mezzo dei sacerdoti che si chiamavano "Oblati della S. Famiglia" i quali vivevano insieme, sotto la dipendenza del vescovo, e assumevano il compito di "missionari diocesani". La casa inoltre accoglieva tutti quei sacerdoti che, per età o per altri motivi, desideravano «appartarsi ad una vita più confacente alla loro condizione sacerdotale», essi contribuivano alle spese secondo le proprie possibilità finanziarie. Queste iniziative di vita comunitaria del clero, sostenute dal vescovo e dall'amministratore, consigliate già dal 1908 da Pio X, non ebbero lunga durata. Il fabbricato di Nao venne adibito successivamente per abitazione dei parroci del luogo, poi, danneggiato dai bombardamenti del 1943, fu abbandonato completamente fino all'attuale sua distruzione e vendita del suolo a privati.



 
Dal passato al futuro... un viaggio nel tempo dei templi della salute
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