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Il contenuto della scheda è stato reperito nel sito della testata online "Arezzo notizie" pubblicato l'1/8/2020 a firma di Marco Botti
Ringrazio la redazione per la condivisione dei contenuti
https://www.arezzonotizie.it/social/lebbrosario-
Fondato dal Comune di Arezzo e documentato a partire dal 1278, era l’ospedale meglio attrezzato per accogliere gli affetti dalla terribile malattia cronica causata dal bacillo di Hansen, che colpisce il derma, la mucosa delle vie respiratorie e i nervi periferici. L’entrata di un infettato nel lazzaretto aveva un carattere di cerimonia funebre, in quanto per la società il lebbroso era un morto vivente da cui tenersi a debita distanza.
Quando la famiglia del malato non poteva permettersi le spese del ricovero, il Comune di Arezzo lo concedeva gratuitamente. I pazienti poveri di altri luoghi venivano invece sostenuti dal comune di residenza.
Dagli Statuti aretini del 1327 sappiamo che il podestà, nel secondo mese del suo governo, riceveva i rettori della Fraternita di Santa Maria della Misericordia (o dei Laici) per farsi dare due “buoni uomini”. Entro un mese dalla loro elezione, essi dovevano visitare, assieme ai rettori, i quattro ospedali sotto la tutela del Comune, ovvero quello di Santa Maria del Ponte (o Sopra i Ponti), di San Lazzaro, di San Lorentino e di Mosolliolo.
Gli incaricati constatavano la qualità dell’assistenza e della gestione del patrimonio, che riferivano al podestà e all’esecutivo dei Signori Otto, vecchio organismo che continuò a funzionare sotto la signoria dei Tarlati.
A partire dagli anni Trenta del Quattrocento il lebbrosario aretino fu interessato da un generale rifacimento. All’interno del complesso uomini e donne vivevano in settori separati. C’erano inoltre la casa dello spedaliere e un oratorio per le funzioni religiose.
Dal XVI secolo l’Ospedale di Santa Maria del Ponte visse una grave crisi finanziaria. Per incrementarne le entrate, il Comune tentò a più riprese di interrompere l’attività del lazzaretto, con l’intento di devolvergli il patrimonio.
Nell’aprile 1582 e nel giugno 1603 alcuni medici furono inviati a verificare le condizioni di salute dei ricoverati ma nei rapporti confermarono di aver riscontrato i segni della lebbra e non fu possibile chiudere. Lo stato di difficoltà del nosocomio principale si acuì nei primi decenni del XVII secolo. Il 3 dicembre 1623 l’accorpamento delle due strutture ospedaliere andò in porto e il San Lazzaro, ormai privo di lebbrosi, si trasformò in convalescenziario per i dimessi dagli altri ospedali, ma utile anche per isolare i malati durante le epidemie.
Nel Settecento si tentò di scongiurare l’alienazione dell’ex lebbrosario e del suo oratorio, considerati da tempo “inutili e di niuno uso”, ma il 29 ottobre 1784 il San Lazzaro fu acquistato dai Dini per 530 scudi. Lo stemma della famiglia, connotato da un albero di pino “sradicato al naturale”, è visibile sopra l’ingresso principale.
Nel 1850 l’edificio passò alla famiglia Gudini, tuttora proprietaria dell’immobile, e trasformato in centro per la lavorazione di cereali e sementi. L’attività fu portata avanti per generazioni fino a pochi decenni fa.
Nel 1870 l’oratorio dell’ex ospedale risultava intitolato alla Madonna del Buon Consiglio e Divina Maternità. Fino al 1998, in accordo coi Gudini, vi celebrava la messa il prete della vicina parrocchia di San Marco alla Sella.