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IGLESIAS Ospedale Fratelli Crobu

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Il contenuto della scheda è tratto integralmente dal testo: Scuola Civica di storia – Anno 2008 – curato dall’Amministrazione Comunale di Iglesias

Come nelle altre schede mi sono limitato a riportarne solamente alcune parti.
Oltre ai riferimenti storici ho ritenuto importante riportare anche i momenti di vita ospedaliera di una istituzione che, sicuramente, ha aperto la strada dei preventori italiani. Pertanto, come in molte altre schede, vi invito a leggere il testo ricco di spunti e aneddoti di vita ospedaliera quotidiana.

Il 27 ottobre 1958 s'inaugurava ufficialmente ad Iglesias, il preventorio antitubercolare intitolato ai Fratelli Mario e Massimiliano Crobu'.
I giornali dell'epoca (L'Unione Sarda e La Nuova Sardegna) riportano alcune notizie che ci permettono, anche se in minima parte, di ricostruire il primo momento di vita dell'ospedale pediatrico. Anzitutto l'inaugurazione del preventorio INPS ricadeva, non casualmente, proprio nella settimana in cui a Cagliari sI svolgeva il XIV Congresso Italiano di Tisiologia (26 28 ottobre 1958); era la prima volta che quest'incontro aveva luogo fuori Roma ed in tal modo si rendeva merito alla Sardegna dei grandi sforzi compiuti nel campo della prevenzione antitubercolare nel secondo dopo guerra.
Alle prime luci dell'alba di quel 27 ottobre da piazza del Carmine in Cagliari i congressisti partivano alla volta di Iglesias, sia per effettuare una prima visita alla miniera di Monteponi e al Centro Traumatologico che per presenziare verso le 10,30 all'inaugurazione del nuovo istituto regionale. L'Unione Sarda ricorda che la delegazione era giunta sul luogo con auto di rappresentanza e due autobus, facendosi strada lungo le due ali della folla incuriosita che animava il centro cittadino al passaggio di così tanti luminari e di importanti cariche istituzionali. Alla cerimonia inaugurale erano presenti anche le autorità civili, militari e religiose locali.
A poter beneficiare della nuova opera assistenziale erano, in primo luogo, a seguito dell'assicurazione antitubercolare obbligatoria versata all'INPS, proprio i figli di quei minatori che vivevano nella più grande città industriale della Sardegna.
La nuova struttura sanitaria rappresentava anche un'opportunità economica per il territorio: oltre 200 i posti di lavoro previsti nella pianta organica e poi creati per garantire il funzionamento autonomo dell'istituto; a trovare un impiego sicuro erano soprattutto le donne, allora meno avvantaggiate dall'offerta del mercato. Negli anni la famigerata efficienza del Crobu sarebbe stata cosi dovuta ai tanti professionisti coinvolti nella sua gestione nei campi amministrativo, medico, religioso, ausiliario (inservienti e assistenti disciplinari) e tecnico (autisti, caldaisti, camerieri, cuochi, dispensieri, elettricisti, falegnami, giardinieri, guardiani, idraulici, imbianchini, lavandai, magazzinieri, meccanici, muratori, sarti, ecc.). Infine l'operatività della casa di cura avrebbe creato nel tempo un indotto notevole a vantaggio del commercio locale anche se, logicamente, i benefici principali sarebbero stati in campo sanitario e sociale: quasi 9.000 degenze collegate all'assistenza antitubercolare nei soli primi 30 anni di attività della struttura.
Prima dell'istituto iglesiente esisteva solamente un piccolo padiglione pediatrico annesso al sanatorio di Cagliari: si trattava di una struttura anzitutto malsana, poiché ricoperta in eternit, ed in secondo luogo insufficiente alle richieste di ricovero, al punto che i piccoli pazienti sardi affetti da TBC erano spesso costretti a cercare ospitalità in analoghe strutture sanitarie del continente.
L'inaugurazione della nuova casa di cura permetteva così di rispondere meglio alle esigenze dell'utenza e di procedere alla demolizione del sopra citato padiglione.
Nel 1953 l'onorevole Angelo Corsi annunciava l'intenzione dell'INPS di realizzare ad Iglesias un preventorio vigilato per l'infanzia, in breve tempo si stanziavano anche 75 milioni di lire per la sua edificazione. Il terreno invece veniva gentilmente donato dai Rodriguez, una benestante famiglia del luogo, a condizione che la nuova opera fosse poi intestata ai fratelli Mario Massimiliano Crobu, morti in battaglia durante la I guerra mondiale e legati da personali vincoli affettivi alla medesima famiglia.
L'INPS avrebbe poi giustificato l'adozione del nosocomio quale omaggio alle giovani vite sarde sacrificate per la patria: "simboli della serietà e delle virtù della loro gente nati anch'essi per la miniera.
Il sito sul quale si decideva di edificare la casa di cura ben si prestava alle esigenze della stessa: buone condizioni climatiche per i piccoli degenti dovute all'altitudine media del luogo, ottima posizione a riparo dai venti, presenza di una via di comunicazione adeguata, vicinanza ad un grande centro abitato, facile reperibilità delle risorse idriche per l'attigua presenza del lago Corsis, al contrario l'acclività del terreno avrebbe imposto ingenti lavori di sbancamento e terrazzamento durante i quali sarebbe venuta alla luce una tomba romana di cui ancora si conservano tre anelli e due sesterzi del Tardo Impero, relativi ai principali di Alessandro Severo (222-235 d. C.) e Traiano Decio I (249-251 d. C.).Per il progetto architettonico il problema maggiore era comunque rappresentato dal fatto che mancava un'architettura ospedaliera alla quale poter fare riferimento; i preventori vigilati conosciuti nascevano infatti per adattamento di precedenti strutture: era dunque la prima volta che I'INPS promuoveva in Italia la realizzazione ex novo di un'opera destinata all'assistenza pediatrica antitubercolare.
Così, in alternativa, gli ingegneri avevano stabilito a priori i seguenti principi di massima ai quali ispirarsi nella progettazione: Studio dei dispositivi circolatori all'interno del compendio; Studio dei dispositivi di degenza allo scopo di favorire sia la funzionalità degli spazi che la continua sorveglianza dei pazienti ricoverati; necessità di creare gli alloggi per il personale collegiato (suora e medici), una sezione scolastica, servizi diagnostico curativi, reparti contumaciale e di primo isolamento.
Il punto di maggiore impegno progettuale era sicuramente il primo: alla fine si riusciva comunque a creare un articolato sistema di comunicazione interna con vie di transito separate per gli esterni fornitori, familiari dei ricoverati e personale ospedaliero non collegiato, quest'ultimo tenuto ad utilizzare i locali di bonifica prima di recarsi sul posto di lavoro, con netta separazione dai reparti di degenza generica dei settori contumaciale ed isolamento (quest’ultimo autonomo nelle sue funzioni e fisicamente collegato alla struttura principale tramite un sottopassaggio) ed infine con la possibilità di blocco e chiusura del reparto all'insorgere di malattie infettive, potendo questo gestirsi autonomamente poiché dotato dei servizi minimi necessari.
In sintesi il preventorio iglesiente, che nasceva sul finire degli anni Cinquanta, era costituito da un insieme di fabbricati (la portineria all'ingresso del compendio, l'autorimessa, il padiglione d'isolamento, il cosiddetto monoblocco, la casa del cappellano, la cabina elettrica, l'inceneritore, il depuratore, il serbatoio dell'acqua, i servizi igienici esterni con annesso rifugio parapioggia) occupanti complessivamente 70.000 metri cubi e con una capacità ricettiva di 319 posti letto (con ulteriori 72 posti disponibili nei reparti contumaciale, isolamento ed infermeria).
L'edificio principale, cioè l'imponente monoblocco a forma di U svasata ai lati, era organizzato internamente in base alla sua articolazione planimetrica: il corpo di fabbrica orientale era concepito per accogliere gli uffici amministrativi, i reparti scolastici e, all'ultimo piano, il reparto lattanti e divezzi con 22 boxes per culle; il corpo di fabbrica occidentale invece doveva ospitare l'accettazione, il reparto contumaciale (dotato di spazi e servizi indipendenti rispetto ai settori di degenza generica), il servizio diagnosi e cure, l'ufficio del direttore sanitario, gli alloggi per i medici di turno e le suore.
Il corpo di fabbrica meridionale infine, essendo la parte più vasta del monoblocco sia in larghezza che in altezza, poteva accogliere la maggior parte dei servizi tecnico logistici e gli ambienti comunitari del preventorio (refezione, ricreazione e preghiera), oltre ai i reparti di degenza normale.
Attenta era stata anche la scelta dei materiali: acusticamente assorbenti per i pavimenti e solai, fisicamente resistenti (in considerazione della vivace indole dei bambini) nel caso dei sanitari e degli arredi lillipuziani, questi ultimi in struttura metallica e laminati plastici. I colori prescelti per le pareti e gli arredi erano caldi e accesi conformemente allo spirito spensierato dell'infanzia. Ulteriori note di colore conferivano agli spazi comuni gli allegri mosaici raffiguranti soggetti fiabeschi o del folclore locale.
Per esigenze elioterapiche, infine, la casa di cura era immersa in un vasto parco completamente pavimentato (affinché i bambini non si sporcassero) e impiantato su un precedente oliveto rinfoltito con l'innesto di conifere e piante ornamentali.
Il soggiorno dei bambini nell'istituto cominciava con un primo periodo di isolamento per cure preventive nel reparto di contumacia che mediamente durava 20 giorni. Al momento dell'accoglienza avveniva una prima visita medica, l'anamnesi, l'eventuale accettazione con la compilazione del foglio di ricovero a cui seguiva, prima del congedo dai familiari, la consegna dei propri effetti personali a questi ultimi e la vestizione della divisa del preventorio differenziata per fasce d'età: per i bambini di età compresa tra i tre ei sei anni era una tuta (se maschietti) e un abito a vestaglia (se femminucce); per i bambini di età compresa tra i sette e i quattordici anni erano un pantalone corto con giacca (se maschietti) e un abito scamiciato (se femminucce). I tessuti avevano tinte vivaci ed ogni altro indumento veniva fornito al piccolo degente: dalle calzature all'intimo, dal grembiule per la scuola agli indumenti pesanti come il bellissimo montgomery per le passeggiate invernali al parco. La divisa da una parte omologava i bambini e li inquadrava all'interno di una rigida classificazione per età e genere ma dall'altra li rendeva facilmente riconoscibili al personale di vigilanza.
Così, attraverso questi primi brevi passaggi, cominciava il soggiorno di ogni fanciullo nella casa di cura, soggiorno che (considerato il lungo decorso della malattia e delle sue cure) sarebbe durato un po' per tutti tra i dodici e i ventiquattro mesi. I minori ricoverati provenivano da tutta l'isola; alcuni di loro erano originari delle montagne ed avevano già sperimentato sulla propria pelle la responsabilità di un gregge per questi giovani, abituati all'autonomia e alla vita all'aria aperta, la degenza al preventorio appariva stretta, almeno inizialmente.
Al periodo contumaciale seguiva il trasferimento ai reparti di degenza generica; qui venivano affidati alle cure delle suore e delle assistenti disciplinari (poi definite assistenti d'infanzia); queste ultime, come suggerisce il termine che le designava, avevano il compito di vigilare sull'incolumità dei piccoli ricoverati, di dare loro una disciplina e di assisterli in tutti i momenti principali della quotidianità (dalla pulizia personale alla somministrazione dei pasti).
In realtà tale categoria professionale svolgeva un grande ruolo educativo con i bambini: più corretto è semmai parlare di assistenza materna poiché come sostitutive alle madri esse si preoccupavano, nel corso della lunga degenza, di impartire loro una formazione morale, un'educazione alimentare e un'attitudine all'autonomia.
Non solo, erano le assistenti ad occuparsi dell'intrattenimento dei degenti e rappresentavano, similarmente ad una madre, il loro punto di riferimento sia "normativo" che talvolta affettivo.
All'arrivo in reparto i fanciulli erano inseriti, in base al sesso e all'età, in squadriglie: dopo i lattanti e il nido (che raccoglieva i bambini di età compresa tra i tre e i cinque anni), si avevano i carotini e le carotine (di età compresa tra i cinque e i sei anni), poi gli azzurri e le azzurre (tra i sei e i sette anni), i gialli e le gialle (tra gli otto e i dieci anni) ed infine i rossi e le rosse (dagli undici ai quattordici anni).
L'adattamento alla nuova vita era facilitato dalla convivenza felice con altri coetanei e dal gioco; infatti le norme generali interne della casa di cura volute dal direttore sanitario regolamentavano la giornata dei minori ricoverati secondo precisi ritmi ed orari stabiliti per i servizi, le cure mediche, i pasti, il riposo e prevedevano ampi momenti di ricreazione la mattina, il pomeriggio e nel dopo cena.
Nel giardino della casa di cura, diviso anch'esso in settori per facilitare la vigilanza sulle singole squadriglie, i bambini potevano respirare aria salubre, giocare in cerchio e con la palla, fare tornei di calcio e basket (soprattutto i maschietti) o i classici giochi dell'infanzia quali il salto alla corda, nascondino e bandierine. La natura circostante con le sue foglie, i fiori e i frutti stimolava la creatività dell'infanzia suggerendo nuovi giochi e un modo ludico per accostarsi ad essa. In caso d'improvviso maltempo offriva un riparo sicuro dalla pioggia un rifugio con annessi servizi igienici collocato al centro del parco. Nella parte alta dello stesso, infine, erano installate altalene e giostrine.
Al chiuso, invece, i fanciulli trascorrevano le ore di ricreazione nei vasti e luminosi soggiorni imparando nuove canzoni, ascoltando musica dai giradischi e giocando liberamente con bambole peluche (se femminucce) o con macchinine, costruzioni e biliardino (se maschietti), talvolta si guardava la televisione. A loro disposizione v’erano pure tricicli (per i più piccoli), giochi di società e una ricca biblioteca per giovani.
Frequentemente i piccoli ricoverati erano coinvolti in attività più strutturate, come l'organizzazione di recite per il Natale ed il Carnevale sotto la direzione delle suore o la realizzazione di lavoretti artigianali quali ad esempio il traforo (se maschietti) o lavori a maglia, di ricamo ad uncinetto e al telaio (se femminucce); quasi sempre le attività di abilità manuale erano finalizzate a determinate occasioni ed esigenze comunitarie.
Per i bambini dai sei ai tredici anni parte delle ore di ricreazione erano inoltre dedicate allo studio.
Esisteva infatti al Crobu sia la scuola elementare che quella media, in realtà quest'ultima spesso limitata alla classe prima; le elementari avevano invece due sezioni (maschile e femminile) per un totale di 10 classi.
Il tempo dedicato allo studio era comunque limitato a sole due ore giornaliere sia per questioni logistico organizzative che per rispetto del riposo necessario ai bambini in terapia.
La domenica era invece una giornata diversa dalla solita routine, un tempo di festa: la mattina si seguiva la Santa Messa in cappella, animata da un coro di fanciulli preparati dalle suore, mentre la sera si andava in sala spettacoli (o teatro) per guardare un nuovo film. Per i due sessi dei degenti le proiezioni cinematografiche erano effettuate separatamente, una alle 16.00 e l'altra alle 19.00. La direzione amministrativa curava la programmazione trimestrale sulla base delle preferenze degli spettatori che si orientavano verso i film western e i cartoni animati. Anche il menù del pranzo era diverso dal solito: come in famiglia le lasagne erano il classico piatto della festa ed il pasto si concludeva con un dolce (bignè o rotolo)"
Ma ciò che rendeva la domenica al preventorio una giornata davvero speciale era la possibilità di riabbracciare i propri familiari.
Le visite erano concesse la mattina, dopo la Santa Messa, negli spazi dei soggiorni ed ogni 15 giorni, alternandosi le domeniche i genitori dei maschietti con quelli delle femminucce. Il rapporto con le famiglie dava origine a situazioni controverse, soprattutto nei fanciulli più piccoli: talora il distacco era percepito, vista la tenera età, come permanente e si traduceva in un'impazienza che nel tempo è sfociata, anche fra i più grandicelli, in qualche tentativo di fuga; talaltra la separazione era invece facilitata dall'inconsapevolezza sull'effettiva lontananza (fisica e temporale) da casa.
Infatti, spesso i parenti risiedevano nelle località più settentrionali dell'isola e per ricongiungersi ai propri figli si sottoponevano a lunghi viaggi (in considerazione anche dei mezzi e della viabilità di una volta) che, in alcuni casi, costringevano a pernottare in città nel giorno precedente la visita. Quando però giungeva quel
momento i bambini recuperavano le attenzioni mancate, ricevevano dolci e regali dai propri congiunti che, all'ora del pranzo, salutavano nuovamente con un po' di motivata commozione.
Durante il periodo della terapia i degenti non si allontanavano mai dalla struttura, nemmeno in occasione delle festività principali; ciò nonostante, anche in ospedale essi attendevano con ansia queste ricorrenze, forse per l'atmosfera che il personale ospedaliero riusciva a creare intorno a loro, attraverso gli addobbi e i preparativi nei quali essi stessi erano parzialmente coinvolti.
Alla vigilia delle festività natalizie il preventorio provvedeva ad acquistare per ogni bambino ricoverato un giocattolo appropriato alla sua età; i regali venivano poi portati nel giorno dell'Epifania dalle stesse assistenti disciplinari travestile da befane. Per il Carnevale, invece, si organizzava una festa in maschera con musica, giochi e pentolaccia a premi; l'istituto sosteneva a proprie spese l'acquisto di costumi per i fanciulli che, a conclusione della ricorrenza, erano conservati nei guardaroba per essere riutilizzati l'anno successivo. Anche in queste occasioni, come durante  tutte le domeniche dell'anno, la direzione amministrativa affrontava spese maggiori per il miglioramento del vitto: così per Natale si acquistavano frutta secca, caramelle e panettoni, per Carnevale si facevano preparare dai cuochi zeppole e fritture dolci, infine per Pasqua si ordinavano colombe ed un uovo di cioccolato per ogni fanciullo.
La ricorrenza a cui si dava però maggiore risalto, almeno nel corso degli anni Sessanta, era la cerimonia per la Prima Comunione dei minori ricoverati, atta a sostenere in primo luogo il prestigio dell'istituto agli occhi di un nutrito ed autorevole pubblico esterno: all'ufficio di detto Sacramento presenziava spesso il presule iglesiente e partecipavano, oltre ai familiari dei piccoli comunicandi, le autorità politiche locali, l'ispettore compartimentale INPS per la Sardegna, i funzionari dell'ispettorato e della sede provinciale INPS di Cagliari.
In secondo luogo, frequentemente la ricorrenza ricadeva nel mese di ottobre e coincidendo con l'anniversario di fondazione del preventorio diveniva occasione di maggiori festeggiamenti.
Ingenti somme erano perciò impegnate per oneri di rappresentanza quali servizi fotografici forniture di gladioli garofani bianchi e tessuti in raso per l'abbellimento sia dell'altare che dei locali di ricreazione e refezione vettovaglie per il rinfresco offerto ai convenuti , candele, pergamene ricordo, confetti e abiti per i bambini comunicandi.
Il cappellano preparava per la parte catechetica i bambini a ricevere sia il sacramento della 1a Comunione che della Cresima e, talvolta, officiava qualche battesimo fra i lattanti, oltre alla Santa Messa domenicale venivano infine celebrate tutte le funzioni principali dell'anno liturgico (novena, vigilie, via crucis e processione per il Corpus Domini negli spazi del parco) e dall'insieme di questi atti si promuoveva la crescita spirituale dei minori ricoverati.
Cosi crescendo in salute e nello spirito il tempo di degenza trascorreva utilmente e alla fine della terapia giungeva anche l'ora delle dimissioni, tanto attese soprattutto dai più grandi. Eppure quel momento spesso disorientava e dava origine a sentimenti contrastanti: da una parte c'era la gioia di tornare a casa e di riacquistare la libertà di una volta, dall'altra il dispiacere di lasciare le amicizie contratte che ormai rappresentavano una seconda famiglia. Per i piccoli lattanti giungeva forse l'ora di vivere per la prima volta a casa propria.
Comunque siano poi andate le cose, sicuramente il preventorio avrà offerto ai suoi piccoli pazienti più che una buona salute, un'esperienza di maturità culturale, di emancipazione familiare e di convivenza sociale con coetanei di realtà molto differenti fra loro.
Nel tempo, con il miglioramento sia delle condizioni economico sociali che sanitarie, l'incidenza della tubercolosi andava riducendosi progressivamente e nei casi trattati s'iniziava a sperimentare la terapia ambulatoriale. Sin dal 1975, anche in conseguenza della legge Mariotti e di una politica sanitaria sempre più orientata al decentramento locale e all'avvicinamento del paziente al luogo di residenza, il Crobu subiva a livello istituzionale una trasformazione importante pur conservando la sua funzione originaria: da preventorio vigilato INPS ad ente ospedaliero provinciale. Ancora nel corso degli anni '80 la lunga degenza collegata all'assistenza antitubercolare continuava sopravvivere benché ridimensionata nel nuovo reparto di pneumologia, mentre già tra il 1979 e il 1981 il presidio iglesiente si evolveva a tutti gli effetti in ospedale pediatrico aperto ad altre specialità con l'istituzione dei seguenti servizi: pediatria, chirurgia pediatrica, anestesia e rianimazione, otorinolaringoiatria, neuropsichiatria infantile, centro trasfusionale.
Nel 1981 l'esperienza pluridecennale di assistenza all'infanzia confluiva nell'istituzione della prima ludoteca ospedaliera d'Italia: in campo pediatrico il gioco veniva cosi riconosciuto ufficialmente come un bisogno primario del bambino, rispondente alla sua parte sana, e come un mezzo per rielaborare positivamente la percezione dell'ospedale e della propria malattia. Questo spazio era in origine nato in funzione dei bambini talassemici ricoverati in regime di day hospital nei giorni delle trasfusioni, successivamente il servizio veniva esteso anche agli altri piccoli degenti, in particolare a quelli della pediatria. Si trattava di una sperimentazione importante che, in virtù della sua novità, ai primordi non incontrava né il sostegno della stampa né talvolta la collaborazione delle stesse famiglie.
Nella ludoteca trovavano concretezza tutte le forme possibili di gioco: il gioco libero (grazie alla presenza di materassi, videogame, giochi di logica e di società, scivoli, biliardini, tricicli), il gioco strutturato dal ludoterapista, l'attività di rilassamento, l'abilità manuale e teatrale, l'organizzazione di feste soprattutto in occasione dell'Epifania e del Carnevale. Lo spazio della ludoteca favoriva una positiva interazione tra malati cronici e non, tra medici e piccoli pazienti predisponendo meglio questi ultimi alla somministrazione delle cure. Il ludoterapista svolgeva inoltre un'importante attività sia di animazione in corsia che di prestito dei giocattoli in favore dei bambini allettati. La ludoteca appagava cosi i fanciulli e li aiutava a vivere in modo costruttivo il periodo del ricovero.
A seguito poi della legge regionale n. 23 del 1983, anch'essa avveniristica per quei tempi in campo nazionale, la casa di cura iglesiente era stata la prima nell'isola a consentire il pernottamento delle madri dei piccoli pazienti, disponendo degli spazi necessari per la loro ospitalità.
Cosi pur ridimensionato sulla carta ad un ruolo provinciale il presidio Fratelli Crobu, unico ospedale esclusivamente pediatrico della Sardegna, avrebbe continuato ad avere per molti anni ancora un bacino d'utenza regionale, sia in virtù della sua apertura alle famiglie dei degenti che per l'alta specializzazione e professionalità del suo personale
Sin dalla sua vicenda architettonica il preventorio iglesiente rappresenta un caposaldo nel campo dell'archeologia ospedaliera; del periodo di fondazione sopravvivono inoltre un buon numero di attrezzature sanitarie, elettromedicali e macchinari oggi di notevole interesse nel campo del patrimonio industriale; a tale proposito si segnalano gli arredi del laboratorio scientifico, l'antica e ancora funzionante centrale termica con tre caldaie progettate nel 1956 dall'officina Umberto Girola di Milano e la lavanderia annessa al padiglione di isolamento, con macchinari del 1957  della ditta Biffani di Roma, depositaria del brevetto Duplex.
È altrettanto cospicuo il patrimonio librario/documentale che qui si conserva, rappresentato dall'antica biblioteca dei medici, fornita di trattati e riviste scientifiche oggi di notevole interesse storico, e da un archivio storico apprezzabile sul piano sia quantitativo che qualitativo, testimonianza di una realtà non più esistente ovvero quella dei preventori antitubercolari.
Ad ultimo, il presidio Fratelli Crobu riserva sorprese anche sul piano prettamente artistico: sussistono ancora in loco sia i busti in bronzo dei fratelli Mario Massimiliano Crobu, realizzati dallo scultore sardo Gavino Tillocca, che i già menzionati mosaici commissionati ad un'artista di fama nazionale quale Carlo Ludovico Bompiani”.
Questi in numero di 19, allietavano con la loro presenza gli ambienti comuni; i temi in essi rappresentati sono i più vari: l'abecedario (nel soggiorno del nido), le fiabe (nel refettorio), il costume locale (nel parlatorio), il carnevale (nella sala spettacoli) e soggetti sacri (in cappella).
L'arte musiva al Crobu trova pero la sua massima espressione nella grande composizione in ceramica smaltata collocata nel prospetto esterno e raffigurante un gruppo di bambini colti in un momento di gioco. L'opera è forse il simbolo del presidio Fratelli Crobu: per le sue dimensioni e la posizione privilegiata era anche il primo elemento che i piccoli pazienti scorgevano al loro arrivo nell'istituto; a tutt'oggi essa ci ricorda che quel luogo, per ben mezzo secolo, è stato la dimora di tanti bambini.
A seguito della politica di razionalizzazione sanitaria, nel 2006, è stato chiuso.


 
Dal passato al futuro... un viaggio nel tempo dei templi della salute
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