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Il contenuto della scheda deriva integralmente dal lavoro della Dott.sa CARMELA BISCAGLIA -
Ringrazio la Dott.sa Biscaglia per il materiale fornito e il supporto avuto nella stesura della scheda, lavoro sempre difficile quando si è costretti a “tagliare” .
I numerosi saggi della dottoressa sono consultabili sul sito : https://independent.academia.edu/CBiscaglia
La ''Concessio pro hospitale sancti Joannis de Cruce cum instrumentum assignationis dicti hospitalis ad favorem canonicorum sub anno 1373" attesta fin dal Medioevo l'esistenza a Tricarico di uno di quegli ospitia o xenodochia al servizio di pellegrini e crociati, poi anche di ammalati, disposti lungo le vie di transito verso l'Oriente e la Terra Santa e per lo più gestiti da ordini cavallereschi.
Sul finire del XVI secolo abbiamo notizia nella stessa cittadina di un ospitale presso la chiesa di S. Maria dei Martiri , di un hospitium de Marchetta in prossimità del monastero di S. Francesco e di un altro ospedale, ormai diruto nel 1588, forse identificabile col precedente per la sua vicinanza allo stesso convento e alla chiesa dei SS. Sebastiano e Giacomo. Acquista, quindi, importanza il sacro ospitale, denominato poi di S. Giovanni della Croce per un legame col passato, annesso alla confraternita di S. Maria del Lettorio con Bolla di Paolo III del 1543.
Questo sacro ospitale, preposto all'assistenza dei poveri e degli infermi della città, nei periodi di gravi pestilenze sarebbe stato affiancato dai lazzaretti, come i due istituiti dal vescovo Pier Luigi Carafa jr., l'uno nel convento dei Cappuccini e l'altro fuori dell'abitato, dotati di vettovaglie e medicamenti, per isolare gli ammalati durante la grande peste che avrebbe colpito anche Tricarico nel 1657
In sintonia con quanto avveniva un po' dovunque nel Meridione ad opera di alcuni ordini religiosi, tra fine '500 ed inizio '600, sotto la spinta della pressione demografica e della recrudescenza delle epidemie , questa istituzione risulta in fase di riorganizzazione ed ampliamento, all'atto della visita pastorale del Santonio. La sua struttura edilizia ha locali ampi e a più piani, con pavimenti, grandi finestre e loggiati, camino con cappa magna ed un alloggio per gli hospitaleri, i coniugi Francesco de Laurenzana e Domenica de Albano, deputati alla cura degli ospiti indigenti ed infermi. Il vescovo, per rendere più efficiente ed estesa l'assistenza, invita la confraternita a fornire le lecteriae ligneae cum pagliaricciis, già dotati di lenzuola di lino e coperte di lana dette ''schiavine", anche di materassi di lana e di impegnare più denaro in medicinali. L'ospedale, infatti, non dispone di un aromatario e gli infermi provvedono da soli all'acquisto delle medicine così come del vitto, poiché di rado il governatore lo rifornisce comprandone dall'aromatario esistente in città.
Nei confronti di questo ospizio l'Università tricaricese devolveva annualmente 6 ducati come "ordinaria limosina ed antica per li letti de' poveri".
Si comprende, dunque, come questa istituzione ospedaliera del sud Italia continui a mantenere il suo primitivo medioevale carattere legato ad una concezione assistenziale di vecchio stampo caritativo. Riconoscendo, infatti, nei "pauperes" e negli "infirmi", cioè nell'umanità sofferente ed afflitta la controfigura del Cristo vivente, offre loro disinteressatamente quell'accoglienza e quell'assistenza, quell'hospitalitas insomma, che la sorregga nell'affrontare le crisi economiche e fisiche della sopravvivenza. L'importanza, inoltre, attribuita anche nell'ospedale tricaricese, alla partecipazione a messe e benedizioni da parte dei malati, — esiste infatti in questa struttura un ''altare ex lapidibus et calce" — quale mezzo insostituibile per il recupero della salute, testimonia il permanere di una concezione religiosa della medicina e della malattia, in epoche in cui quest'ultima era una norma di natura ed una presenza fisiologica.
Se già nel 1778-
L'antico ospedale aveva cessato la sua attività e, come testimonia il vescovo Angelo Michele Onorati sul finire dell'Ottocento, non se ne trovano altri neppure nei rimanenti centri della diocesi.