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URBINO Ospedale civile Fraternità Santa Maria della Misericordia

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Ringrazio il Prof. Sisti Maurizio, ricercatore universitario, docente di Igiene presso la scuola di Farmacia e la scuola Scienze biologiche  del Dipartimento di Scienze Biomolecolari dell'Università di Urbino, per aver messo a disposizione il Suo lavoro “ Storia dell’istituzione ospedaliera e degli antichi ospedali nella città di Urbino “ disponibile all’URL

http://ojs.uniurb.it/index.php/studi-A/article/view/1859/1686.


Naturalmente mi sono limitato a riportare quanto secondo me utile per questo tipo di ricerca lasciando a Voi il piacere di leggere l’intero articolo.

Nella città di Urbino, i primi ospedali dedicati all’accoglienza, non solo di chi necessitava di cure, ma anche di poveri, pellegrini, vecchi, esposti e miserandi erano presenti ancor prima del IV secolo; la prima documentazione certa ci riferisce sull’esistenza di un ospedale presso la Chiesa di S. Bartolomeo (oggi S. Bartolo) fin dal 1200. Notizie in merito a un altro ospedale sono riportate in un documento dell’Archivio Capitolare dei monaci benedettini dell’ex-convento di San Silvestro in Iscleto, tratta dell’ospedale di S. Sergio che doveva esistere ancor prima del 1291 come si deduce da una pergamena.
In epoca successiva venne eretto l’ospedale di S. Maria della Misericordia ad opera della Fraternità di S. Maria della Misericordia (Fraternita degli Esposti) detta di Pian di Mercato. L’Opera Pia fu fondata nel 6 marzo del 1265 da cento cittadini che si associarono ed elessero dodici Rettori per promuovere l’assistenza dei fanciulli reietti. Il luogo scelto per l’edificazione del nuovo ospedale fu nel borgo di S. Lucia
L’origine di questo ospedale viene fatta cadere nell’anno 1333, così come viene riportato in un atto legale.
Presso la Piazza di Pian di Mercato esisteva già un ospedale sotto il titolo di S. Maria dell’Annunziata e di San Giovanni Battista. L’ospedale di S. Maria dell’Annunziata e di San Giovanni Battista erano stati eretti in virtù di un breve del 4 luglio 1402 di Papa Bonifacio IX che concedeva … a Bartolo di Tarduccio di Primicilio, ed a sua moglie Atonia figlia di Stefano di Ciccolo di Saulo, cittadini di Urbino la facoltà di fondare nella città di Urbino, o dotare uno Spedale pei Poveri con oratorio ed altare sotto il vocabolo di S. Maria dell’Annunziata e di San Giovanni Battista …
Nell’anno 1438 nell’esecuzione di un Breve di papa Eugenio IV in data 9 Giugnio  venne soppresso in perpetuo lo Spedale di S. Maria dell’Annunziata e di San Giovanni Battista e tutti i beni, case botteghe ect pagarono al nuovo Spedale, più sontuoso e fu proprio fatto fabbricare nel luogo di Santa Lucia dai Rettori di detta fraternità sotto il nome di Santa Maria della Misericordia.
È probabile che l’ospedale di Pian di Mercato continuò a svolgere la sua opera ancora per un anno, cioè fino al completamento del nuovo ospedale edificato nel borgo di S. Lucia.
L’edificio in cui aveva sede il nuovo ospedale di S. Maria della Misericordia che in origine aveva ospitato una comunità di terziarie francescane, sebbene fosse in prossimità della parrocchia di S. Sergio era di competenza di quella più vasta di S. Lucia che comprendeva anche il convento e la Chiesa della SS. Trinità, trasformata nel 1907 in filanda e infine demolita nel dopoguerra per far posto ad un edifi-cio scolastico.
Il complesso era stato notevolmente ampliato già conseguentemente alla riunione dell’ospedale di S. Maria dell’Annunziata e di San Giovanni Battista e successivamente in seguito a un breve del pontefice Callisto III del 16 dicembre 1455, venendo incontro alle richieste del conte Federico da Montefel-tro e a quella dei Rettori dell’ospedale di S. Maria della Misericordia che sollecitavano l’annessione anche dell’attiguo ospedale di S. Spirito.
Nello stesso breve si sollecitava il governo della città a provvedere alla realizzazione contiguamente a detto ospedale, allora il più importante di quelli esistenti in Urbino, della casa delle donne inferme e dei fanciulli esposti che però vennero istituiti solo in epoca successiva, nel 1622. Nel frattempo questi trovarono sistemazione nell’ex ospedale di S. Spirito. Dell’ospedale della Fraternita di S. Maria della Misericordia e dell’annesso Conservatorio femminile si fa cenno nell’Istruzione per il viaggio di Cle-mente XI, dove gli inviati del papa Origo e Lancisi, nella quarta mattina … visiteranno L’Ospedale degli infermi, e Monsignor Lancisi farà la carità di visitare gli ammalati interrogando l’Ospedaliere della maniera che si tiene per la loro cura, e correggendo quello che troverà da corregersi. Daranno una medaglia d’argento con l’indulgenza in articolo Mortis a ciascheduno Infermo, dandogliene a tale effetto dodici di quelle, che il Papa suole distribuire quando va a visitare gli Ospedali di Roma, che faranno più del bisogno….
L’ospedale della Fraternita di S. Maria della Misericordia  non era però l’unico, già nel 1441 si contavano sette ospedali all’interno della città e trentasei nel circondario, tra cui quello di: S. Giacomo della Villa di Castelboccione; S. Maria di Colbordolo; S. Giovanni di Coldelce; S. Lazzaro e S. Antonio di Fermignano; Santi Giacomo e Cristoforo dei Forquini; Bigani presso il Furlo; S. Antonio del castello di Montefabbri; S. Antonio di San Donato; Villa di Foresto di Schieti ecc. tanto per citarne alcuni.
Un altro ospedale (S. Lazzaro) si trovava dove ora sorge il monastero di clausura di S. Chiara fuori le mura.
Se ne ha notizia da un documento con cui il Papa Eugenio IV, su richiesta del conte Guidantonio da Montefeltro e della cittadinanza di Urbino, nel maggio del 1440, autorizzò la vendita di parte dei beni dell’ospedale di S. Spirito e di S. Lazzaro  affinché il ricavato fosse destinato per il restauro della fabbrica della basilica metropolitana (duomo). Per il ricovero e l’isolamento dei malati affetti da malattie contagiose, in modo particolare da quelli colpiti dalla peste, esisteva presso il borgo Mercatale il cosiddetto Lazzaretto. Esso sorgeva nel luogo denominato Sanità.  Il lazzaretto nel 1500 fu trasformato in Chiesa dedicata a S. Rocco.
Si ha notizia di un ospedale chiamato di Santa Maria della Bella nel quartiere di S. Polo già esistente nel 1565 presso l’omonima Chiesa, quando venne assegnato da Pio IV, sollecitato dal duca Guidubaldo II dell Rovere, alla comunità di suore che prese lo stesso nome, Convertite di Santa Maria della Bella.
Per molto tempo l’ospedale di S. Maria della Misericordia amministrato dalla Congregazione di Carità di Pian di Mercato, non l’unico ma certamente il più importante della città, ha avuto sede unitamente alla Casa delle Esposte in via Raffaello. Ovviamente non mancarono richieste da parte degli amministratori della Confraternita per i necessari interventi non solo economici a sostegno dell’Opera ma anche per gli ampliamenti dei locali dell’ospedale onde far fronte alla necessità dei ricoveri. Da una di queste richieste che Coriolano Staccoli, canonico della Venerabile Fraternità di Pian di Mercato di Ur-bino, indirizza al Gonfaloniere della città, apprendiamo, quale doveva essere la situazione dell’ospedale nell’anno 1817:

“In riscontro alla pregiata Sua dei 22 cadente, e portante l’estratto di una circolare della Sagra Confraternita relativamente all’ospedale, ci affrettiamo di darle la seguente evasione, pregandola in quest’incontro ad interessasi per un … a favore di un luogo Pio abbastanza diventato appunto per oggetto di ammalati.
Il Pio stabilimento della fraternità ha presso di se un piccolo ospedale annesso al Conservatorio delle esposte, dove, secondo le antiche consuetudini, non devono aver luogo, che li soli ammalati di febri non croniche, e quelli, che sono affetti da malattia chirurgica, escluso affatto il morbo Gallico ed il cronichismo, rapporto al quale due soli individuavi vengono annessi per consuetudine un’uomo cioè, ed una donna. Questo spedale non ha attualmente fondi appositi, e nemmeno un locale molto esteso. Rapporto ai primi, in origine non possedeva, che un piccolo fondo rustico, che in oggi non più esiste, e le cui rendite  curavano solamente otto, o dieci malati, quali straordinario di qualche epidemia erano aumentati fino al numero di 12 o 13, formandosi in tale congiuntura una raddoppiata fila di letti.
Trattandosi di uomini questi venivano collocati nella sala dell’Annunziata  avendovi luogo 12 letti.
Se vi erano donne inferme, queste erano poste in una sala superiore, che in oggi vi tiene 18 letti.
Dal momento però, che sopravennero nelle decorse epoche 10 truppe estere in Urbino, obbligò il governo d’allora di erigere uno ospedale militare, e si servì a tal uopo di un locale contiguo.  Al presente questo locale passa sotto la denominazione di Sala della Concezione, e contiene tutti quegli ammalati, che sono affetti di febbre, essendo innanzi la nuova fabbrica del nosotrofio, uno degli antichi dormitori delle Alunne posto in comunicazione per mezzo di una apertura di corsa [sic] nel muro divisorio. Ecco come fu aumentato l’ospedale della 3° sala unicamente per militari, per cui mensilmente il luogo Pio riceveva un competente indenizzo da quel governo a ristoro delle spese, che incontrava, e perché non uso a mantenere simili ammalati. In tal modo dilatato il locale dopo il felice ristabilimento del Pontificio Regime si è insensibilmente introdotto l’abuso di riceversi un numero d’infermi maggiore di quello che era in costume, abuso tanto più pernicioso pel Pio Istituto della Fraternita, in quanto che avendolo in si breve tempo aggravato in un modo superiore alle proprie forze, ed al piccolo fondo che possedeva, lo dissesta notabile e nel suo economico e lo conduce alla sua totale rovina, giacchè l’attuali influenze, ed eccesso di miserabilità non si contano giornalmente meno di 38 o 40 ammalati, che … la non tenue somma di 120 a 130 al mese, non compreso il consumo degli utensili né la somministrazione di medicinali, che pure costano denaro al luogo Pio. Ne sia una prova del fin qui rapporto il sapere che nell’anno decorso 1816 trecentoventisette sono stati gli ammalati accolti nell’Ospedale, di quali settantatrè sono morti. E dal primo del corrente anno a tutto il giorno presente duecentoventisei sono stati i trattativi, e quarantanove i morti.
E qui si osservi che la spesa di un morto non è meno di uno scudo per individuo. Un’affluenza ad dunque di ammalati così moltiplicata, un numero di morti così vistoso, una manutenzione di biancheria così indispensabile, ed abbiano dissestata l’economica azienda dell’intero Istituto non è difficile a comprenderlo. Basterà il sapere, che notabili riforme nel trattamento a gli stessi ammalati, benché sempre superiore a quello, che si pratica negli ospedali di Pesaro, Sinigallia, e Gubbio, diminuzione di vitto agli stessi cronici, riduzione di pensione alle istesse esposte degenti nel conservatorio, e che finalmente hanno tutto il diritto di essere alimentate, sono state le misure, a cui si sono veduti obbligati i Moderatori del luogo Pio, onde proseguire a ricevere per qualche altro tempo nel proprio ospedale tanti infelici più oppressi dal languore, e dalla spossatezza, che dagli stessi malori. E dappiochè al disopra si è fatto parola di imbiancheria non le dispiaccia, Sig. Gonfaloniere, di osservare la qui unita tabella riguardante la medesima, e per cui si rileva, a colpo d’occhio, che non vi sono lenzuoli da mutare, coperte da raddoppiare alla circostanza, stramazzi per provedere quelli che vi sono accolti.
Parlando poi delle sale da chirurgia potrà rilevarsi mancare assolutamente il modo, come aumentarne nel suo locale o tenerne una disgiunta dalle tre attualmente esistenti, ed indicate, per cura di quelli, che possono essere presi dal morbo contagioso, obbligando appunto di presenze la piccolezza del locale di tenere accomunati gli infetti, con gli altri che non lo sono. Finalmente si fa conoscere che per aversi lo stato ottimale degli infermi, quello della qualità della malattie, dei loro progressi, metodi curativi, e quant’altro viene ingiunto su tale emergenza, sarà indispensabile quando non si voglia collocare stabilmente sulla faccia del luogo, incaricare almeno apposita persona intelligente a disimpegno della prescritta periodica relazione, poiché tanto al Sig. protomedico, che al sig. primo chirurgo curanti nello spedale, comechè seriamente occupati nelle cure dei malati … in buon numero per la città, si rende impossibile di dare un esatto sfogo al settimanale prospetto ordinato. Riassumendo ad dunque le cose, e conoscendovi per prova quanto interessi alla Superiore Autorità il provvedere all’attuale stato di tanti infelici, aggravati da morti, e bisognosi del più sollecito aiuto, noi siamo nella più ferma osservanza, che non si mancherà di prestare al nostro ospedale tutti quei sollievi, che esige il suo stato, la non lieve opera, che giornalmente soffre per molti ammalati, e se finalmente non si vuole affatto veder chiuso uno stabilimento, che dovrebbe formare le comuni premure, perchè aperto per soccorrere i miserabili.
Ci diamo l’onore di attestarle la nostra distinta stima, e rispetto. “

Nel 1889 la disponibilità dei posti letto  era stata ridotta a soli 7 posti per gli ammalati indigenti e a 10 per quelli a carico del municipio di Urbino e degli altri comuni limitrofi.
Nel gennaio del 1904  si pensò di riadattare l’ex convento di S. Chiara a sede del nuovo ospedale. Il progetto per il nuovo ospedale subì forti critiche da più parti ma nonostante ciò i lavori iniziarono nel mese di gennaio ma nell’agosto del 1904 vennero bloccati in seguito a una relazione non favorevole dell’ing. Viviani, incaricato dall’Ufficio Regionale dei Monumenti delle Marche per un’ispezione. Sulla rivista “Il Marzocco” con un testo emblematico: “I Vandali della carità”, l’autore dell’articolo ironicamente si esprime in questo modo: “quale relazione ci può essere tra un convento medievale e un ospedale moderno? Tra la casa della penitenza e quella dell’igiene? Sono due case di salute, si dirà: ma la salute del corpo non è precisamente governata dalle stesse leggi che la Chiesa prescrive alla salute dell’anima. All’opposto spirito che informa i due edifici corrispondono sostanziali diversità nella disposizione e nell’architettura di essi: e se guastare un bel monastero antico per adattarlo ad usi moderni è un’offesa all’arte e alla bellezza, costringere un ospedale moderno nella camicia di Nesso d’un antico convento è offesa non minore alla scienza ed all’igiene”.
Non mancarono poi le critiche, a lavori quasi ultimati, provenienti anche dalla Giunta Provinciale Amministrativa di Pesaro in merito al progetto dell’impianto di riscaldamento ritenendo incapace la nuova Amministrazione, da poco insediata, di sostenerne le spese ribadendo che: “in una Città di appena cinquemila abitanti e che attraversa una crisi gravissima economica, non si ha diritto a pretendere che l’Ospedale contenente un numero limitato di letti, sia impiantato come un Istituto di grande importanza …”.
La struttura del nuovo ospedale, secondo il progetto comprendeva le seguenti sezioni: il gabinetto di elettroterapia, quello di microscopia, un ampio salone, due reparti di medicina e due di chirurgia, il reparto di disinfezione, il reparto di isolamento per le malattie infettive, la sala operatoria, la farmacia,  il brefotrofio, il ricovero di mendicità, la cucina, la lavanderia e gli uffici della Congregazione.
A distanza di un anno dall’ultimazione dei lavori, tuttavia, i malati non erano ancora stati trasferiti a causa del ritardo della messa in funzione dell’impianto di riscaldamento a vapore.
Nei primi mesi del 1906 finalmente il nuovo ospedale era in piena attività. Con l’emanazione di varie leggi riguardanti l’elargizione di mutui con interessi nulli, o particolarmente favorevoli, per i Comuni che intendevano realizzare opere per il miglioramento delle condizioni igieniche, si cominciò a pensare alla costruzione di un nuovo ospedale, anziché migliorare quello di S. Chiara. Nella nuova struttura che avrebbe dovuto sorgere al di fuori delle mura cittadine, per la quale era stata prevista una spesa di seicentomila lire avrebbe trovato posto anche un reparto per la patologia tubercolare, attraverso i criteri stabiliti dalla Legge 24 luglio 1919, n. 1382, malattia questa con una grande prevalenza a quei tempi.
I finanziamenti richiesti non giunsero e, fra varie vicissitudini, si pensò di chiedere almeno un intervento da parte dello Stato per il restauro e l’adeguamento di quello esistente, dopo circa trent’anni di attività, ma senza nulla di fatto. Nel 1939 la situazione era talmente degenerata che in conseguenza di una ispezione delle autorità sanitarie provinciali guidate dall’Ispettore Generale Medico, segnalavano alla Prefettura di Pesaro la necessità di un immediato intervento che, se non effettuato nei tem-pi previsti, avrebbe provocato il declassamento dell’ospedale. I primi anni ’40 videro l’Ente Comunale di Assistenza (ECA) che con la legge del 3 giugno 1937, n. 847, entrata in vigore dal 1° luglio 1937, contestualmente in ogni comune del Regno sostituì le precedenti Congregazioni di Carità, cercare di reperire i fondi necessari per la costruzione di un nuovo ospedale in località Giardino, luogo non meglio precisato, con una capacità recettiva di centoventi posti letto. Tutte le pratiche vennero bloccate in conseguenza degli eventi bellici e riprese nel 1946-1947, con un nuovo progetto per un ospedale con 280 posti letto, in località Padiglione, dove si trova quello attuale.
L’edificazione del nuovo ospedale era, tuttavia, divenuta possibile per effetto dell’emanazione del Decreto Luogotenenziale del 10 agosto 1945, con il quale si autorizzava la spesa di lire sei miliardi per l’esecuzione di opere pubbliche straordinarie urgenti a pagamento non differito anche di competenza di Enti locali. Finalmente nel 1948 ebbero inizio i lavori che purtroppo, ben presto, vennero interrotti a seguito dell’entrata in vigore della legge 3 agosto 1949, n. 58944 che modificava sfavorevolmente l’erogazione dei contributi per i comuni; la situazione era talmente critica che l’Amministrazione pensò di rimettere mano all’adeguamento del vecchio ospedale di S. Chiara. Tutto rimase fermo fino al 1961, quando dietro le insistenze della cittadinanza per il fatto che evidentemente si poterono ottenere alcuni finanziamenti, tuttavia, in misura molto minore rispetto a quelli richiesti, i lavori ripresero sebbene ridimensionati anche in relazione al numero di posti letto che scesero rispetto a quelli previsti di ben 163 unità.
Per sopraggiunte difficoltà seguì un’altra interruzione dal 1963 fino all’aprile del 1966, quindi i lavori vennero di nuovo ripresi per concludersi alla fine del 1972, portando la disponibilità dei posti letto ad un totale di trecento unità.
Il 14 gennaio del 1973 l’ospedale di Santa Maria della Misericordia venne finalmente inaugurato.


 
Dal passato al futuro... un viaggio nel tempo dei templi della salute
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