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BOBBIO Ospedale Civile

Ospedali Nord est > Regione Emilia Romagna > Provincia Piacenza

Il contenuto della scheda è tratto integralmente da: Atti Primo Congresso Italiano di Storia Ospitaliera – Gino Macellari - Centro Studi di Storia Ospitaliera – Reggio Emilia 14-17 Giugno 1956  pagg. 419-425.

Nel VII sec. di Cristo, Giocondo, messo imperiale, incaricato da Agilulfo di trovare un luogo in cui i monaci irlandesi in diaspora evangelizzante potessero stabilirsi, aveva scoperto ed indicato un angolo di terra formato da un'insenatura del fiume Trebbia, alle ultime pendici orientali del monte Penice. Sulle rovine di un'antica chiesa, San Colombano, condottiero di quei monaci, vecchio per età e sofferente per mali crudeli, diede inizio alla costruzione del suo monastero a poco a poco contendendo la terra coltiva alla vegetazione selvaggia dei luoghi.
La storia degli ospizi di Bobbio, come del resto quella di tutte le cose appena grandi della città, ha origine dall'opera di S. Colombano. Ne sono testimonianza l'intendimento generale della vita monastica e certe precise regole del Penitenziale Colombano che richiamano agli stretti doveri umani verso i pellegrini ed i sofferenti. La successiva e più provata testimonianza risale all' 883, anno in cui è do-cumentato l'arrivo in Bobbio del nipote di Carlo Martello, Waala, eletto subito abate del Monastero ed istitutore della carica di "ospitalarius pauperum”. L'ospitalarius accoglieva i pellegrini e gli infermi poveri. Non si può quindi che dare il nome di xenodochio al luogo di ricovero situato in Bobbio fin da quei remotissimi tempi.
L'autonomia ed i benefici concessi alla casa "ospitale" speciale diploma dell'imperatore Ottone III, furono chiesti dall'insigne matematico ed astronomo Gerberto, a lungo vissuto a Bobbio e nominato papa dall'imperatore stesso col nome di Silvestro II. Anche i privilegi di Innocenzo II diedero nuova fiducia e mezzi materiali all'opera di carità funzionante in Bobbio.
Del XII secolo si ha maggior copia di documenti che ricordano gli istituti di beneficenza operanti in questa città a sollievo degli ammalati poveri. Si ha intanto certa notizia di quattro ospizi bobbiesi di cui due entro le mura  e due fuori di esse, e precisa documentazione dell'esistenza di tre altri ricoveri situati nel distretto bobbiese, precisamente sul cammino che allora conduceva  a Pavia ed a Milano, la strada che legava Bobbio al mondo. Di almeno due di essi si fa cenno in una bolla del Papa Lucio II, del 1144 in cui si dà atto della loro esistenza nell'agro bobbiese, a cura dei monaci di S. Colombano.
Cosi nella parrocchia di Santa Maria c'era l'ospizio di Valle scura, quello di Banzolo fra S. Maria e Mencònico, quindi sul crinale del Ponico, o Castropeiano sul territorio della parrocchia di Vaccarezza (oggi indicato come Castelpè). Come ricovero di pellegrini, sul sentiero che una volta scendeva diritto su Bobbio, è ancor oggi Ospedaletto. Il nome e la sistemazione di stanze e portici attestano abbastanza bene l'uso per cui questi furono costruiti. La cagione del grande numero di ospiti e ricoveri assistenziali allora esistenti in territorio bobbiese si pensa sia dovuta alla necessità di soccorrere tanti pellegrini e la popolazione che allora gravitava sulla città.
Delle due costruzioni appena ”extra moenia", quella di Santa Caterina, nelle vicinanze della testata destra del Ponte Vecchio, rimane solo nel ricordo non documentato, mentre quella di San Lazzaro, appena a monte della prima arcata, sotto l'antica Porta Agazia, è ricordata nell'Ordo Processionum del Clero bobbiese, che stabiliva una fermata con speciali orazioni "usque ad partem superiorem Hontis, non procul ubi antiquitus extabat Ecclesia et hospitale sub titulo Sancti Lazarii",  ospedale per contagiati in sede molto opportuna.
Questo ospedale fu rovinato, come dice letteralmente la memoria, "impetu ac furore fluminis Trebiae". Dopo il disastro il ricovero, con quel poco che gli rimaneva, deducibile da un inventario del notaio bobbiese Villori del 1472, fu aggregato a quello di Santa Maria delle Grazie, posto proprio nel centro della citta, della chiesa che conserva nella parlata volgare il nome di "Ospedale.
Della piena efficienza di questa opera pubblica abbiamo diretta conferma da un documento in autentica pergamena datato 1493, col quale il Rettore del tempo, "trovandosi in necessità con la moglie di non poter più resistere al peso che aveva di detta Ospitazione, rinuncia all'incarico nelle mani del Ve-scovo Lucchino Trotti,
Nella chiesetta, un'accolta di pietosi cittadini assisteva e curava con assidua fatica alternata al lavoro, i poveri infermi. All'opera fisica dei confratelli faceva non meno nobile riscontro la munificenza dei cittadini benestanti che davano all'ospedale quanto più questo aveva bisogno. Le traversie che matu-rarono la benemerita istituzione non furono ne poche nè rare e quando proprio sembrava che le sue forze stessero per venir meno, interveniva davvero la Provvidenza, usando a suo strumento una per-sona di squisito cuore, il giureconsulto Pietro De Monticelli. Le esauste forze dell'opera pia venivano rinsanguate dalla donazione che il giureconsulto faceva di tutte le proprie sostanze nell'anno 1645. Un esempio di tale nobile carità non poteva rimanere isolato: frequenti e sostanziose furono da allora le elargizioni a favore dell'ospedale. Per un buon periodo l'istituto aveva affermato, come si direbbe in linguaggio moderno, la sua libertà dal bisogno; ma altre vicissitudini vennero a renderne difficile la vita "politica" perchè sorsero spesso questioni di competenza per cui le facoltà delle autorità religiose si trovarono spesso in contrasto con quelle dei rettori dell'ospizio.
Nell'archivio di Stato di Torino, nella sezione "Luoghi pii di qua del Monte", sono conservati numerosi strumenti sull'ospedale di Bobbio ed in modo speciale sulla famosa e tanto dilazionata eredità del De Monticelli (un suo figlio ed un nipote erano riusciti a tramandare la questione nelle more di una lunga vertenza giudiziaria).
L'ospedale di S. Maria delle Grazie, retto dalla Confraternita dei Disciplinanti, si trovò altra volta in gravi strettezze: i rettori, ogni anno nominati dalla Confraternita e dipendenti dalla podestà laica, più volte furono impotenti a recare aiuto là dove era richiesto, talchè si videro "ben molti miserabili perire in vilissime stalle anche senza sacramenti.
Il reddito, ad esempio, era goduto in una con quello della confraternita stessa e consisteva in fitti perpetui (l'ultimo dei quali, di una certa consistenza, fu stipulato nel 1903), in legati, in contratti per messe perpetue. Gli obblighi erano altrettanto gravi (spese per la cera, funerali dei confratelli, arredi sacri, mantenimento dei figli esposti, di pellegrini ed altri miserabili") e spesso soverchiavano l'entrata.
Casa Savoia, nel 1768 accordò favori finanziari, fondando con patente regia del 17 luglio, la Congre-gazione di Carità; il Consiglio si insediò nel settembre successivo.
Si fece da allora sentire più viva l'urgenza di un nuovo edificio che ospitasse gli ammalati perchè non fossero più accolti, se troppo numerosi, or qui or là, in case d'affitto o nelle chiese; si aggiunga il de-siderio quanto mai legittimo di ubicare fuori mura la casa degli infermi.
Sui portici che fronteggiavano il Santuario della Madonna dell'Aiuto, costruiti dal vescovo Bartolomeo Capra nel 1650 a maggior decoro del santuario e a riposo dei pellegrini che accorrevano numerosi, fu edificata nel 1779, dal dotto vescovo Terin Bonesio, la parte centrale dell'edificio e il braccio verso la città. L'assenso regio e l'autorizzazione pontificia erano stati concessi per le buone ragioni che sono a fondamento dell'opera e cioè la maggior comodità dei locali, la posizione più salubre perchè ben esposta all'aria ed al sole e lontana dai rumori.
Nel 1796, nel momento più grave della storia del piccolo Piemonte, il re Vittorio Amedeo II lanciava le sue forze nella lotta ormai troppo a lungo durata che lo opponeva al grande Napoleone e per sostene-re le esauste finanze del piccolo regno, imponeva gravi tasse ad enti pubblici ed ai privati cittadini. Anche all'ospedale di Bobbio fu imposto l'altissimo tributo di 2500 lire piemontesi.
Sembrava proprio che il benemerito ente dovesse ridursi alla sua fine sempre temuta e deprecata, e già era stata decisa la vendita della possessione Vaccona, quando un generoso cittadino, che per cristiana modestia volle serbare l'innominato, ne fece pervenire all'amministrazione la somma richiesta in altrettanti regi biglietti".
Verso il 1830 un altro vescovo, Fra’ Isaia Volpi, intraprese la costruzione della seconda parte dell'ospedale, quella che completa l'edificio sulla sinistra secondo il disegno originario del porticato, e che all'insieme del fabbricato dà la caratteristica forma di ferro di cavallo rivolto al Santuario.
Vi sono riferimenti all'attività dell'ospedale anche durante le prime due guerre per l'indipendenza. La furia delle battaglie si fece sentire anche qui sotto forma di passaggio di truppe e cariaggi e numerosi soldati vi furono anche accolti ed assistiti.
Nel 1908, in data 22 gennaio, l'Ospedale Civile di Bobbio ebbe il suo Statuto organico.
Negli ultimi 50 anni quello Statuto regolò la vita del popolare istituto bobbiese salvo le modifiche di lieve conto che natura e progresso impongono a tutte le umane cose.
Durante la seconda, tremenda parte dell'ultima guerra, nell'infuriare della guerra civile, questo ospizio fu preso e ripreso dalle opposte schiere, accolse contemporaneamente uomini di opposta fazione, tutti ricoverando senza chiedere nome nè opinione, proprio come gli ospedali da campo che accolgono i feriti in nome della carità universale, in nome del sangue che non dovrebbe scorrere e che mantiene, a differenza delle divise, un colore sempre uguale di sofferenza.
Tutta l'attività che vi si esplica è autonoma e bobbiese. Nè la Provincia nè lo Stato hanno mai assistito questo ospedale. Sono i bobbiesi, anche quelli sparsi per il mondo che mandano aiuti al "loro" ospedale. Cosi le migliori camere di assistenza e di convalescenza e altre opere non meno importanti recano i nomi di Fontana, Piccinini, Segale, De Paoli. In America è stata fondata la Società Valtrebbia"; il nome dice chi possono essere i suoi membri. Con frequenti ed attesissimi ricevimenti vien raccolto denaro in massima parte destinato all'ospedale civile di Bobbio.
In esso c'è una lapide che ricorda uno dei più munifici doni mandati dai bobbiesi di New-York.
La relazione si conclude con la ricca bibliografia



 
Dal passato al futuro... un viaggio nel tempo dei templi della salute
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