SANTHIA Ospedale San Salvatore - Ospedali d'Italia

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SANTHIA Ospedale San Salvatore

Ospedali Nord Ovest > Regione Piemonte > Vercelli e provincia

Il contenuto della scheda è tratto integralmente da: Storia dell’Ospedale di Santhià eretto sotto il titolo del SS. Salvatore – Giovanni Aguzzi – 1967 – Comitato studi storici pro loco Santhià
Ringrazio la Pro loco per l’autorizzazione-condivisione all’uso dei dati riportati.

La fondazione dell'Ospedale si perde nel buio dei tempi, e non restano le tracce della sua prima sede poichè, le orde iberiche, nei primi anni del secolo XVII, devastando le terre sabaude, non risparmiarono Santhià anzi, smantellando le fortificazioni, saccheggiando e incendiando il Borgo, ne fecero un povero mucchio di rovine.
La Regola Benedettina  riconoscendo Cristo nei malati e nei pellegrini pose, sopra ogni miseria umana, presso tutti i monasteri benedettini, il dono cristiano dell'ospitalità, del pane e della assistenza. Sappiamo che dispensarono tali beni morali, i monaci di S. Benedetto anche a Santhià da epoca non bene accertata, comunque localizzabile assai prima del 1089.
La prima sede dello Xenodochio (ancora non possiamo parlare di Ospedale) fu istituita presso la Chiesa-Convento del S.S. Salvatore.
Il Can. Ravalda fu il primo a stendere una breve storia dell'Ospedale; essendo stato per circa 35 anni Economo onorario dello stesso, ha intessuto le Memorie dell'Ospedale  attingendo preziose notizie dagli antichi documenti che ancora esistevano nell'archivio; oggi tali documenti, come tanti altri, mancano, purtroppo sono andati smarriti, distrutti o trafugati da colpevole mano.
Il locale dello Xenodochio riformato e trasformato in vero Ospedale nel 1223 da Gerardo De Arixio, fu poi distrutto dalla furia devastatrice della soldataglia spagnola e trentina dopo il feroce assedio del 1616.
Un grande vuoto si apre nella storia dell'Ospedale dopo il triste anno 1616. Non solo vi è mancanza assoluta di documenti, ma tacciono anche le notizie verbali.
Quando e come Dio volle le grandi ondate di violenza e bestiale devastazione ebbero termine, l'Ospedale riapparve, nei locali adiacenti alla Confraternita della SS. Trinità e Santi Apostoli,
situato nell'isola di S. Lorenzo, Isola della SS. Trinità, infatti un documento del 1731 così recita[…] riconoscendo il M° Illmo, Filippo Antonio Grassis condirettore di questo Venerando Spedale, la necessità in cui realmente rimane oggi giorno esso Spedale di godere l'esposizione di mezzo giorno, quale resta più salubre alli poveri ammalati, che qui vengono ricoverati, di quale del tutto sono esclusi, attesa l'esistenza in totale attiquità d'esso, della Chiesa Confratt.a della Sant.ma Trinità e Santi Apostoli, l'altezza di quale toglie quasi per intiero, l'aria salubre di mezzo giorno: oltre di che in oggi il detto Spedale non resta perfettamente riparato dall'umido, e sanità di muraglia, così che qualora questa Congregazione volesse determinare di riparare il medesimo con tentar il miglior risanamento, questo ridonderebbe in spesa assai grave al medesimo, e ne manco verrebbe esposto al mezzo giorno, anche qualora si  riedificasse di bel nuovo, attesa la natura del sito assai angusto, quale non lo soffrirebbe».
Il corpo dell'Ospedale consisteva, nel suo complesso, di un camerone, munito di un altare posto in faccia all'ingresso capace di otto letti.
Quivi venivano ricoverati promiscuamente uomini e donne che non potevano, per mancanza di mezzi, avere assistenza nelle proprie abitazioni. Essi venivano assistiti, per antica usanza pia, quotidianamente, da persone caritatevoli che venivano nell'Ospedale a portare sollievo agli infermi.
Tale intollerante promiscuità, residuo antico del costume dei Lazzaretti, fu continuata fino al 1732 quando, come sempre nei momenti di maggior dolore e sconforto, rifulse l'animo soave di una donna.
La Contessa Caresana di Carisio, santhiatese, per eliminare le perniciose conseguenze di una tale situazione, provvide. a sue spese, affinchè le donne venissero separate dagli uomini.
Si ridusse quindi a tale scopo, cioè ad infermeria per le donne, una camera esistente a sera del camerone, alla quale si giungeva per mezzo di un piccolo corridoio esistente dietro all'altare del camerone stesso. Vi si entrava per mezzo di un uscio posto verso il cortiletto. Il corridoio dava accesso, oltre che alla camera delle donne, alla cucina dell'Ospedale e alla camera adibita a Ospizio dei Pellegrini.
L'Amministrazione della Congregazione della SS. Trinità e Santi Apostoli, soddisfacendo ad un bisogno, ebbe a vedere le sue sollecite cure riuscire a buon fine ed il piacere di ammirare il generoso slancio con cui ottimi cittadini si associarono, a più riprese, alla virtuosa impresa.
L'Ospedale  rimase nel vecchio e inadatto locale per molto tempo ancora fino cioè al 1780 in cui si iniziarono le trattative per l'acquisto di un corpo di fabbricato, civile con rustico e giardino, esistente nell'Isola del S. Salvatore, denominata la Casa della Torre, già di proprietà di due sacerdoti.
L'acquisto del corpo di Fabbrica il quale, per la molteplicità, può somministrare un comodo e sano ricovero ad un maggior numero d'infermi, non che allo stesso Ospedaliere e sua famiglia.
Inoltre essendo tal corpo di Fabbrica provvisto di sotterranei, e Granai per tutta la di lei estensione, oltre a diversi altri membri, con sito avanti inserviente da rustico, verrebbe questa Congregazione a conseguire il comodo di poter ritirare in luogo sicuro il vino, boscame necessario all'uso dello Spedale, e così anche le granaglie provenienti da di lei beni, e stabilire ad un tempo una fabbrica di masserizio, di cui trovasi priva questa Congregazione per cui è stata sinora costretta al peso dell'annuo fitto di lire cento.
La buona volontà e la perseveranza hanno vinto tutti gli ostacoli e difficoltà.  A seguito della suddetta rinnovazione il Vecchio Ospedale divenne teatro.
Prima consacrato a S. Lorenzo martire, ricovero dei Pellegrini e sede della celebre Carità di S. Lorenzo, adibito poi ad Ospedale fra le cui mura per decenni echeggiò il lamento dei sofferenti venne, successivamente, trasformato in luogo di pubblico divertimento dove i nostri Borghigiani applaudivano alla recita di chissà quale stantia «Commedia» o alle marionette.
Con tutto ciò la Congregazione di Carità sapeva di non aver compiuto completamente l'opera. D'altra parte non è sicuramente possibile che tutto si faccia ad un sol tratto di bacchetta magica.
Nuove e gravi difficoltà non tardarono a farsi sentire stante: « coll'aumento della popolazione e coll'arrivo di moltissimi giornalieri provenienti dalle colline all'oggetto di lavorare nel raccolto delle messi e de risi, vi si richiederebbe un aumento del numero de letti. «che per le calamità de tempi trascorsi, ed in specie negli anni 1782-1781 ed 1785[…] cosicchè sarebbe stata l'opera pia costretta a contrarre debiti per non lasciare privi di soccorso gli infermi ricoverati nell'ospedale, e le famiglie povere, e vergognose del Borgo che sarebbe eziandio degna di riguardo la circostanza che la fabrica in oggi inserviente d'Ospedale priva del beneficio dell'aria, che ne avverrebbe un fetore tale che renderebbe non solo più difficile la guarigione degli infermi, ma eziandio incorerebbe un pericolo di comunicazione di morbo per la strettezza, ed angustia del sito traente eziandio seco l'incomodo dell'amministrazione del Sacramento della penitenza per la poca distanza appunto, che vi passa tra gli uni e gli altri letti.
La prostrazione era grande e ben triste la condizione dell'Ospedale se già il 1 aprile 1788, dopo tre anni appena dal suo nuovo insediamento, la Congregazione sottoscrisse, così accorate invocazioni. E i documenti che seguono, di una verità sconcertante e di una cruda realtà, attestano come non fossero solo accorate invocazioni, ma gridi di dolore che si levavano da tanti pietosi cuori.
Una relazione dettagliata di tale miserevole situazione venne stesa e, nello stesso anno, consegnata alla Pubblica Amministrazione » supplicandola, in conseguenza delle dolorose circostanze descritte, della necessità di riformare l'Ospedale.
La supplica non ebbe però effetto alcuno. Il Piemonte, e con esso il nostro Borgo, stava affrontando un periodo di crisi profonda.
Gli anni passarono e quando il nuovo regime venne giudicato ormai affermato e stabile ed i vecchi e nuovi amministratori si posero, chi per un motivo chi per un altro, al suo servizio, la questione rinacque.
Il momento sembrava favorevole, La soppressione degli Ordini Religiosi, e l'incameramento dei loro beni, aveva reso disponibile il Convento del soppresso ordine dei Minori Osservanti la regola di S. Francesco.
Ritenuto particolarmente adatto per sistemarvi la sede di un nuovo Ospedale, la Commissione Amministrativa (questo era il nome repubblicano della già Congregazione di Carità) prese la deliberazione di acquisizione.
Quanta inutile solerzia.  Da questo momento non vi è più cenno, in alcun documento, in alcun «Ordinato» di una adeguata risposta.
Evidentemente l'impero preferiva, e udiva estasiato solo la voce di Marte. Esculapio poteva attendere.
Giacchè i vecchi e gli ammalati non servivano all'Aquila Napoleonica per la sua «Armée d'Italie» nessun provvedimento venne adottato. Certamente più d'uno aveva sognato, forse creduto in questo nuovo alfiere della Libertà e del Diritto delle Genti, ma alla fine deluso, dopo aver tanto lottato e sofferto, disperò.
Ed ebbe ben ragione il popolino, sempre pronto a scherzare anche sulle proprie disgrazie, di cantare argutamente: Egalitè, Libertè, Fraternité ai Françeis in carossa e nui a pè.
Sembrava una beffa del destino. Ogni qualvolta la risoluzione dell'annoso problema, di dotare cioè l'Ospedale di una sempre più adeguata sede, appariva possibile, motivi, i più disparati, a volte sconcertanti per la loro tempestività, insorgevano e facevano ricadere nel nulla una meta da così tanto tempo accarezzata.
Anni trascorsero e le sorti del Comune, come quelle di tutto il Piemonte, legate ai destini della meteora napoleonica, ormai giunta all'apice della sua fantastica parabola, precipitarono.
La storia ha però sempre insegnato che grandi realizzazioni si possono ottenere approfittando sia della caduta che della restaurazione degli ordini sociali.
E così l'Amministrazione facendo leva sul fervore della Restaurazione del nuovo Stato Sabaudo e sul fatto che, a seguito dei recenti avvenimenti storici, il numero dei poveri e degli ammalati andava tanto aumentando e, che le due sale dell'Ospedale, risultavano insufficienti a ricoverare tutti i poveri infermi che abbisognavano di essere soccorsi, stabilì, nel Convocato del 29 Dicembre 1816, di porgere supplica, unitamente al Consiglio della Comunità, per implorare dal Re Vittorio Emanuele la cessione dei locali del soppresso convento dei Frati Minori di S. Francesco, onde stabilirvi un nuovo Ospedale.
Alle pietose sollecitudini, il Re, risalito al trono, essendo, come i suoi augusti predecessori, in modo specialissimo sensibile a tutto ciò  che si riferiva al sollievo ed alla assistenza dei poveri e degli ammalati, benignamente concesse il richiesto locale.  Si provvide quindi alla fissazione del locale per l'Ospedale.  E’ l’11 Novembre 1817.
Dopo questo giorno, su progetto dell'Architetto Sassi di Vercelli, si riparò la già sacrestia, nella quale si posero 8 letti per gli uomini; l'antico refettorio, in cui si collocarono 7 letti per le donne; due camere esistenti tra i due membri sopradetti, una adibita a cucina ed una alle guardarobe; due camere al piano superiore assegnate alle congreghe.
Quando tutto ciò fu ultimato vi si fecero trasportare gli infermi il 31 Dicembre 1818 dove si trattennero fino al 25 Luglio 1825, giorno in cui vennero finalmente trasportati nei due nuovi cameroni ricavati dalla già Chiesa del Convento.
I letti, inizialmente in numero di 15, tutti muniti di baldacchino successivamente rimosso per motivi di igiene furono sostituiti nel 1917 e portati a 36. Attualmente ne esistono 56, tutti moderni e funzionali.
Una bella cancellata di ferro battuto divide il reparto degli uomini da quello delle donne. Alle pareti del salone erano appesi i ritratti dei Benefattori, alcuni dei quali erano stati dipinti nei primi anni del 1700. Ora sono corrosi dall'umidità, rovinati dall'incuria e riposti, haimè, in un umile solaio.
Il pavimento delle corsie era stato costruito con dei tavelloni rossi, di cotto, ma poichè erano anti igienici, per via della polvere che sprigionavano, vennero sostituiti, appena dopo il 1900, con « piastrelle metallurgiche» e solo da pochi anni con quadrelle di marmettone. In fondo alla corsia delle donne è stato conservato un altare.
L'entrata dell'Ospedale era sistemata a bussola e dava accesso sulla destra entrando, al locale dove la Congregazione di Carità distribuiva i sussidi settimanali e mensili ai poveri del Comune. Questo locale fu successivamente trasformato in Poliambulatorio, ora  adibito ad alloggio del custode.
Il 10 dicembre 1857 entrarono a far parte del personale dell'Ospedale le Suore di Carità sotto la protezione di S. Vincenzo de Paoli.


 
Dal passato al futuro... un viaggio nel tempo dei templi della salute
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