CATANIA Presidio Ospedaliero "Santa Marta" ex Ospedali riuniti "Santa Marta e Villermosa" - Ospedali d'Italia

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CATANIA Presidio Ospedaliero "Santa Marta" ex Ospedali riuniti "Santa Marta e Villermosa"

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La scheda deriva integralmente dal testo  “Ospedalità antica in Sicilia” del Prof. Mario Alberghina dell’Università di Catania che ben vent’anni fa ha svolto una ricerca su tutti gli Ospedali siciliani. Contattato non ha esitato, oltre a farmi dono del testo,  a darmi la completa disponibilità ad attingere al volume riportandone fedelmente i conte-nuti.
Voglio aggiungere che, fino ad ora, a parte la mia iniziativa di raccogliere la storia degli ospedali italiani, il volume del Prof. Alberghina è, insieme a quello di  Giuseppe Castelli Gli ospedali d'Italia del 1941, unico nel suo genere.



Fondato solo sulla carità cristiana, prestandosi alla cura di ogni sorta di malattie chirurgiche ed alla pubblica istruzione; era privo di sostegno economico da parte del Comune. Esso traeva origine legale dall’Atto del 29 luglio 1759, giorno di Santa Marta, rogato dal notaio Pietro Di Marco, e dal definitivo dispaccio reale del 4 ottobre 1760. I fondatori furono il sac. Pietro Finocchiaro ed i suoi coadiutori. La lettera del 3 gennaio 1757, firmata dal viceré Marchese Fogliani, comunica la sovrana approvazione dell’Opera che “socorra en modo especial, y con limosuas corrispondente a la necessitad, a todas a quellas personas miserables, llagadas y estropeadas, que recogidas del los caminos y calles pubblicas, se hallan, per lo zelo de los pios ecclesiasticos, refugiadas en casa del sac. Don Pedro Finocchiaro”. I sacerdoti operai dovevano essere otto, e di diritto erano il Vicario Generale, il capo del Capitolo della Cattedrale ed il rettore della chiesa della Collegiata o di Santa Maria dell’Elemosina. Riuniti nella chiesa del Santa Marta essi eleggevano il rettore dell’Ospedale, con carica annuale, rinnovabile, col sistema del  bussolo.   
L'istituzione si reggeva inizialmente con mezzi privati e dai proventi della questua.  Nel 1759 su commissione del Rosso, fu fatta costruire a sue spese la nuova sede su progetto dell'architetto Antonio Battaglia.
Il terremoto del febbraio del 1818 causò consistenti danni alla fabbrica del Santa Marta. Le volte dei due cameroni al secondo piano furono lesionate e quindi ricoperte con travi e tegole, permettendo il loro uso solo nelle stagioni non piovose. Si ricorse anche alla costruzione di baracche per gli infermi nel cortile. Il primo stanziamento di 600 ducati per le riparazioni fu deliberato nell’agosto del 1819. Esso si rivelò insufficiente tant’è che fu utilizzato, in anticipazione, per la “vittitazione” dei militari ricoverati. Nel 1821 la Spedalità militare non aveva ancora provveduto alla restituzione. La perizia per i lavori di riparazione dei danni fu di 3.280 ducati. Essa comprendeva il rafforzamento delle fondamenta per ducati 2.220 ed altri 1.056 per sistemare i muri con catene in ferro e rifare i solai in canne e calce. Nel maggio 1823, i lavori non erano stati ancora autorizzati perché mancava la copertura finanziaria, ritardando ad arrivare il rimborso del ramo Spedalità militare del Reale Governo. Dal 1822 diventa Ospedale civico-militare ed era capace di 200 posti letto. Per il ricovero, in realtà ne utilizzava un centinaio, suddivisi in un corridoio per gli uomini paesani, un corridoio per le donne ed un altro per i militari.
Nel giugno 1824, furono autorizzati i lavori soltanto per la porzione riguardante i muri ed i solai.
L’Ospedale fu in preda ad una crisi economica seria, denunciata più volte all’Intendente. Dovendo ricoverare i militari austriaci e napoletani che avevano fronteggiato i moti rivoluzionari del 1820-21 (all’inizio del 1822 erano ben 49, mentre si ridussero a 36 l’anno successivo), per lo più affetti da sifilide, la Rettoria dell’ospedale chiedeva continuamente i rimborsi delle spedalità arretrate (24 grana napoletani al giorno per individuo). Dal settembre 1818 al dicembre 1822 furono vantati crediti per circa 3.000 ducati. Le sofferenze economiche erano aggravate dalla necessità di provvedere ai lavori per riparare i danni del terremoto. I ricoverati giacevano in letti di tavole e trespidi di ferro nei cameroni con le aperture esterne prive di vetrate, mancando di coperte di lana, lenzuola e paglioni. In aggiunta, il numero dei ricoveri era aumentato perché sia l’Intendente che il Commissario di Polizia inviavano continuamente in ospedale detenuti delle pubbliche prigioni e gruppi di meretrici per le necessarie cure. Il rettore, a nome degli amministratori, si lamentava che, soprattutto le seconde, toglievano il posto ad altri infermi poveri che languivano alla porta dell’ospedale e che quella prassi era contraria alle istruzioni del pio Fondatore. Dai Comuni di residenza dei detenuti, inoltre, la Rettoria vantava altri forti crediti di spedalità. 
Nel 1825 la reggenza dell'ospedale fu affidata a frà Cesare Borgia (1776-1837), commendatore dell'Ordine del Santo Sepolcro, fuggito da Malta a seguito dell'occupazione napoleonica dell'isola. Il Borgia fece ricostruire l'edificio dell'ospedale danneggiato dal terremoto del 1818, e vi costruì inoltre una sala anatomica per l'insegnamento libero di Euplio Reina. Essendo questi direttore dell'Accademia Gioenia, da allora iniziarono le collaborazioni con quest'ultimo ente, e dal 1840 all'interno dell'ospedale si svolgevano lezioni di clinica chirurgica dell'Università di Catania.
Nel 1829 viene attivato il servizio di farmacia nell’Ospedale Santa Marta, diretto dal perito farmacista don Michele Marcenò. La farmacia fu dotata di un torchio per spremere l’olio di mandorle e quello di ricino. Nel 1839, sotto la Rettoria del baronello Bicocca, la farmacia fu rinnovata mediante l’acquisto di mobili e suppellettili e trasferita in altro locale più idoneo. Ogni mattina, in presenza di un chirurgo, il farmacista dispensava gratuitamente i medicamenti ai poveri affetti da malattie veneree o chirurgiche che non potevano essere ammessi in ospedale per mancanza di posto.
Il Duca Paternò Castello di Carcaci dice, nella sua Descrizione di Catania del 1841, che “ha sale spaziosissime, chiesa, acqua corrente, farmacia e teatro anatomico (inaugurato nel 1800 e di proprietà della Regia Università, curato e voluto dal professore Sebastiano Bianchi, allievo del professor Cotugno a Napoli) ”.
Nel 1851 la fabbrica dell’Ospedale Santa Marta sembrava  più un edificio privato che un’opera pubblica. In quell’anno maturò l’idea di costruire un terzo piano; le fondamenta erano però deboli. Il rettore Melchiorre Zappalà scrisse all’Intendente che la perizia per realizzare quel progetto prevedeva 166 onze di spesa. Nel disegno, inoltre, era indicato un corpo centrale su cui collocarvi un orologio pubblico, secondo la moda del tempo. Il progetto non fu mai realizzato pienamente. Così come trovò la fiera opposizione dello stesso rettore Zappalà il contemporaneo progetto dell’Intendenza di ricoverare nell’ospedale tutte le meretrici inferme della provincia. Il nosocomio non era, infatti, né provinciale né comunale ed era sorto per ben altri scopi. Esso poteva ricevere infermi indigenti soltanto catanesi, la cura ed il mantenimento dei quali era interamente a suo carico. A questa regola, nel 1857, erano state fatte delle deroghe che prevedevano il pagamento delle spese per degenti non catanesi da parte dei Comuni di residenza, in ragione di 15 grana napoletani al giorno per individuo. Nello Statuto organico e nel Regolamento di Amministrazione e Servizio interno del 29 agosto 1874 fu poi definitivamente contemplata la possibilità di accogliere a pagamento altri infermi o non veramente poveri o non catanesi. Essi sostituivano le Istruzioni per il servizio interno dell’Ospedale S. Marta, compilate ed emanate nel 1829 dal rettore Carlo Pio Zappalà Gemelli, dove erano descritti minutamente i compiti delle varie figure ospedaliere, dall’infermiere maggiore ai chirurghi.
La conflittualità con l’Amministrazione provinciale e comunale fu comunque una costante non soltanto di tutto il periodo borbonico ma anche di quello post-unitario. Essa aveva origini lontane. Nel 1806, ad esempio, per ordine del Senato cittadino, l’edificio dell’Ospedale era servito come alloggio delle truppe britanniche antinapoleoniche di stanza a Catania e da queste lasciato, due anni dopo, in condizioni rovinose. Gli ammalati, nel contempo, furono evacuati nella ex Casa degli Esercizi Spirituali dei Gesuiti. Ferdinando I ordinò quindi al Senato di restituire l’edificio ai Rettori, imponendo le necessarie riparazioni. Nel 1810, inoltre, vi fu un precoce tentativo del Senato catanese di unificare il Santa Marta con l’Ospedale San Marco, progetto che ovviamente trovò l’opposizione dei sacerdoti-operai e della stessa Deputazione degli Ospedali.
Nel 1877 l’Ospedale era così descritto in un inventario: piano terra, guardaroba, camera dell’economo, camera del rettore contenente il grande quadro della “Resurrezione di Lazzaro” di Francesco Gramignani Arezzi, farmacia, cucina. 1° piano, corsia grande per le donne con 14 letti, contenente quadri di alcuni filantropi; stanza grande per uso delle donne con sedia chirurgica; guardaroba delle donne; sala oftalmica con 8 letti. 2° piano: due stanze singole per “persone civili”(paganti); corsia grande per gli uomini con 22 letti, contenente quadri di alcuni filantropi;
corsia della Clinica chirurgica con 11 letti; gabinetto di studio per la Clinica chirurgica con stanzino da toilette e guardaroba.
3° piano: camera per cancrenosi con un posto letto. Nello stesso anno cinque suore di carità entrarono per la prima volta al servizio dell’Ospedale.
Con Regio Decreto n. 1705 emanato il 30 novembre 1931, viene stabilita la fusione tra l'Ospedale di Santa Marta e l'Ospedale Villermosa, dando così origine ad un unico ente ospedaliero denominato Ospedali riuniti di Santa Marta e Villermosa.  
Nel dopoguerra, il nosocomio subì degli interventi edilizi che ne modificarono la facciata principale, e fu gradualmente trasformato in clinica per la cura di malattie oftalmiche.
Il luogo dell’Ospedale Santa Marta è rimasto immutato nei due secoli e mezzo della sua storia che, tutto sommato, può considerarsi lineare.

 
Dal passato al futuro... un viaggio nel tempo dei templi della salute
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