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COMO Ospedale Psichiatrico San Martino

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La scheda proviene dal sito di ASPI : Archivio Storico della psicologia Italiana che rilascia i propri contenuti con licenza 4.0 Internazionale (CC BY-NC-ND 4.0) in linea con i miei propositi

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Nel 1857 il grande affollamento del manicomio milanese La Senavra, ove la provincia di Como ricoverava i propri malati, impone alla Luogotenenza di Lombardia di costruirne uno nuovo per la provincia e la città di Como: per tamponare l’emergenza, nel 1861 è nominata una commissione che decide di predisporre un provvisorio allestimento di locali per la cura delle malattie mentali nell’ospedale Sant’Anna a Como. Il Regio Ministero suggerisce un accordo tra Como e Sondrio perché si realizzi una struttura unica; la proposta non ha seguito, mentre il problema si aggrava rapidamente poiché lo spazio disponibile al Sant’Anna è sovrappopolato.
Nel 1863 è bandito un “Programma per l’erezione di un manicomio nella provincia di Como”, dell’entità di 500 posti letto, con cui s’invitano coloro in possesso di palazzi o ville di campagna di ampie dimensioni, e disposti a cederli alla Provincia per l’erezione del manicomio, a comunicarlo. Tre anni dopo sono formulate varie proposte, come quella di utilizzare l’ex convento delle Salesiane o di acquistare un terreno in zona Camerlata, oppure un altro annesso al Sant’Anna, ma nessuna ha seguito.
Il bando di concorso per l’erezione del nuovo nosocomio è emanato il 15 luglio 1871; indica l’area detta Gerbetto come futura sede , ma nessuna delle 15 proposte presentate appare adeguata alla commissione. I progetti migliori rispondono a buone caratteristiche ma non sono globalmente convincenti. I commissari del concorso, però, apprezzano l’ipotesi di non superare l’altezza di due piani per i fabbricati, onde evitare all’ospedale un oneroso servizio di sorveglianza; concordano sull’opportunità di inserire, date le caratteristiche climatiche del sito, un sistema di collegamenti coperti tra i padiglioni sia per il piano terra sia per i superiori; valutano opportuni gli ampi spazi tra i vari reparti, per una migliore ventilazione e distinzione tra gli stessi, senza costringere gli ammalati in ristretti cortili; infine, trovano ragionevole che la costruzione avvenga in diversi lotti di lavoro, in base all’effettiva disponibilità economica.
Benché ricco di positive sollecitazioni, il primo concorso non avrà seguito; nella seduta del 20 dicembre 1872 il Consiglio provinciale invita la Deputazione provinciale di Como ad avanzare nuove proposte, guardando al modello planimetrico di Imola, sorto nel 1872. L’area proposta rimane quella del Gerbetto, tuttavia si suggeriscono anche altre località: la scelta è infine fatta ricadere sulla località denominata Ronco-Selvetto, a sud-est rispetto alla città murata di Como.
Il progetto di massima, redatto nel 1876 dall’Ufficio tecnico provinciale, assume come area insediativa la località Ronco-Selvetto e ha come matrice l’esempio imolese, di cui mantiene la caratteristica dei padiglioni ravvicinati, ma ne modifica la forma complessiva, aprendo i cortili laterali e chiudendo a emiciclo l’asse centrale dei servizi. Un primo blocco di opere per ospitare 577 malati è deciso dal Consiglio provinciale con delibera del 4 giugno 1878, ma per il completamento dei lavori si prevede un tempo di quattro anni.
Il progetto esecutivo del 1878-79, opera degli ingegneri Pietro Luzzani e Giuseppe Casartelli, differisce notevolmente da quello dell’Ufficio tecnico, poiché propone un impianto planimetrico più compatto, capace di ospitare 440 malati .  Nell’ampio spazio centrale, lungo l’asse sud-ovest/nord-est, sono disposti l’ingresso principale con l’edificio dell’amministrazione , le cucine, i bagni e le lavanderie comuni, separati da spazi verdi. Ai suoi lati, quattro padiglioni racchiudono due vasti cortili rettangolari, dove sono inseriti padiglioni più piccoli, con pianta a “T”. Questi padiglioni di degenza sono distribuiti simmetricamente: i tre laterali, a destra rispetto alla direzione, utilizzati come sezione femminile, quelli a sinistra per la sezione maschile. I padiglioni più vicini all’edificio direzionale sono riservati agli agitati e alle agitate; quelli centrali, di minor ampiezza, sono adibiti a infermeria; gli ultimi, accolgono i tranquilli e le tranquille. I quattro edifici più grandi dei reparti di cura hanno al piano terra il refettorio e le sale comuni, al primo e secondo piano i letti degli ammalati. Tutti i padiglioni sono collegati tra loro e con gli altri edifici del complesso tramite percorsi coperti.
I lavori di costruzione terminano il 1882, con l’inaugurazione del complesso il 28 giugno. In seguito, entro il 1905, il manicomio è modificato con la costruzione di due nuove ali laterali, in cui sono collocati le celle e i bagni, che chiudono il lato libero dei grandi cortili: ne deriva un impianto di forma claustrale e più accentrato rispetto all’esecutivo originario. In posizione distaccata, sul fronte posteriore del complesso, entro lo stesso anno sono costruiti il piccolo edificio quadrangolare della cella mortuaria e un corpo edilizio adiacente.
Tra il 1906 e il 1913 il manicomio è sottoposto a un progetto generale di riforma, che mira a trasformarlo in un impianto a padiglioni distanziati nel verde. Sono apportate modifiche nei padiglioni esistenti, costruiti nuovi edifici e laboratori annessi alla colonia agricola e, in data di poco posteriore, è edificato un padiglione destinato all’isolamento dei malati infettivi. Per risolvere la questione del riordino generale messo in moto, la Deputazione provinciale invita Edoardo Gonzales, direttore del manicomio di Mombello, a studiare il caso insieme al direttore del manicomio di Como, Francesco Del Greco, e all’Ingegnere capo dell’Ufficio tecnico provinciale, A. Longatti. Secondo il parere di Gonzales, la più aggiornata tecnica manicomiale prevede di costruire nuovi edifici più adatti, conservando i vecchi solo per cronici, criminali e lavoranti nella colonia agricola.
La discussione in sede provinciale è avviata nel 1906: nella seduta del 24 settembre noti alienisti, Andrea Verga e Giuseppe Antonini, suggeriscono di separare i curabili dagli incurabili, mantenendo lo stabilimento esistente ma adattandolo per i soli cronici, mentre propongono un’altra sede per gli acuti e per l’accoglienza dei malati. L’ipotesi di costruire un nuovo manicomio è supportata anche dall’avvocato G. Casartelli e dall’ingegnere R. Rusca, chiamati ad affiancare gli alienisti nella commissione consultiva dalla Deputazione provinciale (relazione del novembre 1907).
Resta, tuttavia, la difficoltà di trovare un luogo adatto, dotato delle risorse idriche necessarie, ed è a tutti evidente l’alto costo dell’intervento. Si pensa allora di annettere al manicomio esistente alcuni terreni adiacenti la cui superficie accidentata può essere resa piana con poca spesa. L’idea è accolta dal direttore Del Greco che ritiene opportuna la possibilità di costruire i nuovi padiglioni vicini agli esistenti, soluzione che consente anche di mettere in comune alcuni servizi .
Il progetto è approvato dalla Deputazione provinciale l’11 febbraio 1909; esso prevede la realizzazione di un manicomio villaggio, con padiglioni disseminati nel verde in maniera irregolare, senza criteri di simmetria; i primi interventi devono riguardare: lo sfollamento delle precedenti sezioni femminili, mediante la costruzione di due padiglioni per le croniche tranquille e lavoratrici, capaci di 50 ricoverate ciascuno; l’impianto di una nuova lavanderia, poiché quella esistente è insufficiente; la costruzione di nuovi padiglioni d’osservazione; l’avvio della colonia agricola; la costruzione di nuovi comparti per agitati e pericolosi e della sezione d’isolamento per infettivi .
All’Ufficio tecnico provinciale è affidato il compito di progettare l’ampliamento nelle linee generali, in collaborazione con gli alienisti Del Greco e Gonzales, mentre i progetti esecutivi sono affidati a specialisti esterni. L’ampliamento così definito consente la costruzione di reparti che ampliano la capienza della parte nuova fino a quasi 1.000 posti letto (550 per uomini e 450 per donne), ai quali si devono aggiungere quelli già esistenti, senza però contare i dozzinanti. La ripartizione è così concepita: locali d’osservazione per i nuovi ammessi (30, nella sezione maschile, e 30 nella femminile), tranquilli (100 e 100), epilettici, marasmatici, deliranti, acuti gravi (40 e 40), semi agitati (100 e 100), agitati e pericolosi (90 e 80), cronici, operai e lavoratori (100 e 100), coloni (90 uomini).
L’Ufficio tecnico elabora diversi piani di ampliamento, tra il 1908 e il 1910; se quello del 1908 si estende sul fronte anteriore e ai lati del complesso principale, i successivi indicano l’erezione di ben diciannove nuovi edifici, di cui i dieci maggiori da utilizzare come padiglioni. Inoltre, nel piano d’ampliamento del 1910, sono segnati come già realizzati due padiglioni per cronici, localizzati a est dell’area. Nello stesso anno a questi se ne affianca un terzo,  in linea con i primi (a quota 219 e 221 m) ma a un livello più alto (a quota 232 m); nelle relazioni, la forma di questo edificio è definita a “doppia T”, simile ai padiglioni di Gorizia, Udine, Trieste, considerati come i più moderni.
Su progetto dell’ingegner Giovanni Carcano e dell’architetto Adolfo Zacchi, tra il 1910 e il 1912 si costruiscono inoltre due nuovi padiglioni d’osservazione, maschile e femminile, che hanno identica pianta a “U” (ma nel progetto prevista a “doppia T”), collocati sulla spianata a sud-est; a un solo piano per un massimo di trenta ricoverati nel progetto, sono poi realizzati con una volumetria più grande.
Nel 1911, Carcano e Zacchi redigono anche il progetto esecutivo di un nuovo villino per il direttore, in posizione isolata e immersa nel verde, nella spianata di fronte all’edificio principale a destra del viale d’accesso, in prossimità dei nuovi padiglioni d’osservazione. La costruzione del villino risponde non solo alla volontà di dare al direttore un edificio appartato e più adatto alla vita familiare, ma anche di liberare spazio nell’edificio principale ampliando l’area destinata a uffici. Prima dell’esecuzione, nel 1912 l’Ufficio tecnico provinciale vi apporta alcune modifiche, per migliorarne ubicazione e ventilazione. Il villino ha cinque locali al piano terreno e cinque a quello superiore, con un sotterraneo e un locale sovrastante, oltre ai necessari servizi.
In posizione distanziata, nel 1914 è redatto, ancora dall’Ufficio tecnico provinciale, il progetto per la costruzione del padiglione d’isolamento per malattie contagiose, la cui realizzazione è affidata, per licitazione privata, all’ingegner Gilio Verga. Nel 1916 il padiglione è ancora in costruzione così come non sono realizzati i quattro padiglioni collocati dietro l’edificio principale. Sono riproposti, ma ancora una volta non realizzati, nel 1921-23, quando nasce l’idea di un altro ingrandimento dell’istituto manicomiale per accogliere 541 nuovi ricoverati.
Dal 1951 a oggi, ma in particolare dopo la dismissione a seguito dell’applicazione della L. 180/78, nell’ex ospedale psichiatrico sono stati attivati lavori di parziale rifunzionalizzazione del complesso edilizio esistente, anche se una parte dello stesso versa ancora in uno stato di abbandono.

Altra fonte:  Giuseppe Castelli, Gli ospedali d'Italia, Milano : Medici Domus, 1941  pag 135
OPAC SBN: L'Ospedale psichiatrico provinciale di Como dal 1940 al 1962



 
Dal passato al futuro... un viaggio nel tempo dei templi della salute
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