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EMPOLI Ospedale S. Giuseppe

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Il contenuto della scheda proviene dal sito della " Soprintendenza Archivistica e Bibliografica della Toscana"   (www.sa-toscana.beniculturali.it/) che mette a disposizione del pubblico l'utilizzo del materiale archiviato per utilizzi a scopo non di lucro, come nel nostro caso, a patto di citarne fonte e autori.

Nel caso specifico, al loro indirizzo  
http://www.sa-toscana.beniculturali.it/fileadmin/risorse/inventari/OspedaleEmpoli.pdf

ho trovato il PDF (scaricabile) dell'inventario dell'Ospedale San Giuseppe curato da  Giancarlo Nanni e Ivo Regoli nel 1997 di cui riporto le parti  secondo me più interessanti ai fini della ricerca.


Il dottor Giuseppe Del Papa, con il suo testamento del 30 gennaio 1734 lasciò tutti i suoi averi per l’erogazione di borse di studio a giovani Empolesi, per il salario di un maestro di scuola e soprattutto per la distribuzione di tante doti di scudi 25 l’una a giovani fanciulle povere di Empoli e dei vicini Vicariati di San Miniato e di Certaldo.
A otto anni dalla morte del Del Papa, il 28 febbraio 1743 Il Gonfaloniere, i Consoli ed altri rappresentanti la “Terra” di Empoli inviarono una supplica al Granduca affinché “gli assegnamenti lasciati dal Dottor Del Papa in distribuzione di tante Doti servino in l’erezione e mantenimento di uno Spedale per gl’Infermi”.
A sostegno del loro appello, i rappresentanti empolesi riferirono che le doti elargite ogni anno erano così numerose che “si levano alcuni sconcerti originati dalla molteplicità di queste Doti, poiché moltissimi miserabili allettati da esse vanno ad abitare in Empoli”.  Ma soprattutto chiedono l’ospedale perché “In tutto il tratto del Paese fra Pisa e Firenze, e in Empoli ancora, non vi è alcuno Spedale per i poveri infermi i quali per lo più muoiono nelle proprie case senza assistenza”. In sostanza gli Empolesi chiedono di lasciare inalterate tutte le volontà testamentarie del Del Papa derogando solo per la parte che assegnava un numero illimitato di doti, fissandone il numero di trenta annue per le giovani di Empoli e di quattro per quelle dei Vicariati di San Miniato. Sarebbe così stato possibile stornare 50 ducati mensili a vantaggio dell’ auspicato ospedale.
Il Granduca concesse la deroga alle volontà del testatore e con Rescritto del 18 aprile 1743 dettò le condizioni per l’erezione dell’Ospedale che avrebbe dovuto essere dedicato a San Giuseppe in onore del Dottor Del Papa.
Al fine di consentire l’erezione dell’edificio dell’ospedale, i Soprintendenti dell’Eredità Del Papa, il 22 maggio 1745, acquistarono dagli eredi di tal Marco Dazzi di Empoli un bastione sull’angolo delle mura cittadine presso Porta Fiorentina e affidarono i lavori di costruzione a “maestro” Filippo Billi che dette inizio ai lavori il 5 maggio 1746. L’edificio era terminato alla fine del 1749 e comprendeva: “due separate infermerie, che una per gli uomini e l’altra per le donne, medicheria, scrittoio, dormitorio per gli inservienti, cappella, e vari annessi, ed in oltre fornito dei comodi, letti, attrezzi, biancheria ed altro occorrente per tutte le varie specie dei servizi”.
Per l’apertura occorrevano nuove “Costituzioni” che definissero l’assetto organizzativo e istituzionale dell’Ospedale: esse furono approvate dal Granduca il 23 maggio 1765 e solo nel giorno di San Giuseppe 1767 fu definitivamente aperto il nosocomio.
Le “Costituzioni per lo Spedale di San Giuseppe di Empoli approvate da Sua Maestà Imperiale con Benigno Rescritto del dì 23 maggio 1765”  regolarono la vita dell’istituto per quasi un secolo.
Divise in dieci capitoli, fra l’altro recitano:
Capitolo. I - Vi si ricevano tutte le malattie mediche e chirurgiche che non siano croniche, o dai medici giudicate incurabili [...].

Capitolo II - Tutte le persone dell’uno e dell’altro sesso, abbiano il diritto di esser ricevute nello Spedale, che con la fede del proprio Paroco si proveranno povere e della Terra e Comunità di Empoli, e con quella del Medico di essere attaccate da malattie del genere divisato, sempreché si presentino nell’ora determinata, ed in qualunque tempo ne’ casi improvvisi. Quelli delle altre Comunità vi si ricevano ancora, ma nel solo caso, che fossero colpiti o nella Terra o nella Comunità di Empoli da malattie improvvise, e tanto gli uni che gli altri relativamente al numero de’ letti, e sempreché ve ne siano de’ vuoti. Sia espressamente proibito di rizzarne nelle corsie de’ nuovi, se non nel caso di qualche epidemia, che Dio allontani [...]. Molto meno sia permesso di metter più di un malato per letto; e solo si rilascia all’arbitrio degli Operai di farlo, quando un’assoluta necessità forzi a ciò [...].

Capitolo III - Le persone deputate all’attual governo, o vogliasi dire, economia dello Spedale dependentemente dall’autorità dei Soprintendenti, sono i tre Operai, Provveditore, Infermiere e infermiera, due Aiuti, due Medici, un Chirurgo, e due Curati ordinari per l’amministrazione dei Sacramenti”.
Con le Costituzioni del 1765 si fissò l’organizzazione dirigenziale e amministrativa dell’Ospedale.
Alla pari delle borse di studio, delle doti e di quant’altro voluto dal testatore, l’ospedale per tutti gli aspetti decisionali e amministrativi dipese dai quattro Soprintendenti fiorentini, Amministratori dell’Eredità Del Papa. Per gli aspetti gestionali in loco provvedevano tre Operai con compiti ispettivi e di controllo sui dipendenti e un Provveditore con mansioni di contabile.
Dal suo nascere, l’ospedale poté far conto, oltre agli stanziamenti annui derivanti dall’eredità Del Papa, anche su cospicui lasciti di cittadini empolesi.
Proprio a seguito di questi lasciti e degli obblighi ad essi connessi, si rese necessario un ampliamento dei locali dell’ospedale. Nel 1831 fu acquistato del terreno attiguo alla vecchia costruzione e si procedette alla costruzione di due nuove camerate.
All’indomani dell’unità d’Italia il Consiglio Comunale di Empoli, appellandosi alle competenze attribuite ai comuni dalla legge 3 agosto 1862 sulle opere pie, tentò di attribuire a sé alcune prerogative sull’ospedale fino ad allora spettanti solo ai Soprintendenti dell’Eredità Del Papa. In particolare, adducendo la mancanza di uno Statuto organico dell’Eredità del Papa, si auto incaricò della compilazione e fra l’altro propose: che ai quattro amministratori fiorentini si aggiungesse un Empolese designato dal Comune; che la sede dell’amministrazione dell’Eredità fosse spostata a Empoli, togliendo l’incarico di contabili e di archivisti agli impiegati dell’Ospedale di Santa Maria Nuova di Firenze; che la nomina del Provveditore e degli Operai dell’ospedale avvenisse su proposta del Consiglio Comunale di Empoli.
Dopo anni di atti giudiziari e ricorsi al Consiglio di Stato sulla legittimità dell’operato del Comune di Empoli, nel 1865 il Ministero dell’Interno fece compilare d’ufficio due distinti statuti, una per l’Eredità Del Papa e l’altra per l’Ospedale di San Giuseppe, respingendo di fatto le richieste del Comune di Empoli. L’unica reale modifica rispetto alle Costituzioni del 1765 fu la concessione all’ente locale di nominare gli Operai dell’ospedale su una terna proposta dai Soprintendenti fiorentini.
Per vedere parzialmente realizzate le aspirazioni di “indipendenza” degli Empolesi occorrerà attendere l’ultimo dopoguerra allorché si pose mano ad un nuovo Statuto dello Spedale di San Giuseppe che recepisse le nuove leggi ed ordinamenti emanati dopo il precedente statuto del 1870 (la legge 3 giugno 1937 n. 847 e il D.L.L. 22 marzo 1945 n. 173). Le nuove disposizioni imponevano fra l’altro che l’ospedale avesse un consiglio di amministrazione autonomo e in via provvisoria, in attesa del nuovo Statuto, l’ospedale fu amministrato da un Commissario Prefettizio dal gennaio 1945 al giugno 1947.
Il nuovo statuto fu approvato il 31 dicembre 1946 ma occorse aspettare il 10 giugno 1948 perché avesse la definitiva attuazione con Decreto del Presidente della Repubblica del 10 giugno 1946.
All’inizio del XIX secolo l’edificio dell’Ospedale veniva così descritto dal computista Giuseppe Rosi : “La fabbrica che compone lo Spedale è divisa nelle appresso stanze, cioè : sotterranei con cucina, stanzone per bucati, altro per legnaio e carbone, altra per scaricatoio, dispensa, stanza mortuaria e cortile con cisterna. Al terreno stanza d’ingresso con corridore che introduce alle due infermerie, che una per gli uomini, e l’altra per le donne, ed altri due corridori laterali che portano a due Spedali che uno ugualmente per gli uomini e l’altro per le donne. Per mezzo di due scale laterali a branche si sale al piano superiore composto di un ingresso che serve di guardaroba che introduce a tre camere per servizio degli addetti allo Spedale medesimo, e quindi a due vasti terrazzi per comodo di sciorinare i panni. Vi sono inoltre i mezzanini consistenti in quattro camere per usi diversi.
Intorno alla metà dello stesso secolo fu redatto il nuovo “Regolamento dello Spedale di San Giuseppe di Empoli” che precisava le competenze dei vari personaggi che dirigevano la vita dell’Ospedale : provveditore, ispettore, computista, infermieri, medici curanti ecc. Il documento  offre notizie interessanti anche su quali attività si svolgevano, cosa mangiavano i degenti, come venivano curati ; può essere quindi considerato esemplare perché attraverso di esso possiamo conoscere non solo ciò che accadeva nell’ospedale di Empoli, ma più o meno anche quello che era il livello medico-scientifico e il grado di assistenza che si prestava ai malati circa certo cinquanta anni fa in tante strutture sanitarie simili.
La carica più alta era rivestita dal Provveditore che dirigeva l’ospedale e quindi doveva essere “persona proba, capace di azienda e di buona condizione”. Tra i suoi compiti precipui c’era quello di tenere informati i Sovrintendenti sull’andamento economico dell’ospedale. Era presente in ospedale tutti i giorni dalle ore 9 fino a quando lo riteneva opportuno. Ogni anno interveniva alla Deputazione che nella Collegiata di Empoli procedeva all’imborsazione e all’estrazione delle doti dell’Eredità Del Papa. Da lui dipendevano tutti gli impiegati sul cui servizio doveva attentamente vigilare. A tal proposito a fine anno rimetteva ai Sovrintendenti il rapporto dei medici e quello sull’andamento interno dell’ospedale, sul servizio degli impiegati e sui progetti di miglioramento.
Al Provveditore spettava anche l’ammissione dei malati all’ospedale e l’ordinazione dei generi di ogni sorta per il vitto giornaliero, nonché la custodia del deposito della biancheria di cui doveva tenere un registro “dell’introito ed esito”. Ogni giorno doveva poi vidimare, dopo le visite dei medici, i registri delle ricette, che poi l’infermiere portava al farmacista per la preparazione delle medicine. Entro il mese di novembre di ogni anno doveva compilare e rimettere ai Sovrintendenti, il bilancio di previsione per la successiva annata economica, mentre alla fine dell’anno riceveva il rendimento di conti dell’amministrazione, compilato e firmato dal computista, con tutti i documenti allegati, onde procederne, con l’Ispettore e i Sovrintendenti, all’approvazione.
L’Ispettore, “intelligente nell’economia”, sorvegliava sull’operato del cassiere, sulla regolarità della erogazione degli assegnamenti e delle rendite. A lui spettava anche vigilare sulla “buona custodia e conservazione dei beni stabili, assegnamenti, suppellettili e quanto altro appartiene allo Spedale”. Anche lui faceva parte della Deputazione per l’assegnazione delle doti e collaborava strettamente con il Provveditore per quanto riguardava le varie forniture di generi alimentari, biancheria, combustibile e altre provviste da farsi. Teneva un registro di entrate e uscite, simile a quello compilato dal camarlingo, per riscontro ; in un altro registro invece annotava le “spese di lavori, manifatture e provviste dei generi fatte per lo Spedale”.
Nominato dai Sovrintendenti su proposta del Provveditore il Computista aveva l’obbligo di registrare nel libro dell’amministrazione annuale “le partite di incassi di rendite patrimoniali, le somministrazioni della cassa della Eredità Del Papa, i rimborsi di ospitalità e prodotti eventuali ; ed all’incanto le spese amministrative, di mantenimento, cura e assistenza dei malati”. In un apposito registro segnava le spese per i generi “di dispensa e di fuoco” ; infine compilava due copie del “dazzaiolo delle rendite” e l’annuale rendimento di conti dell’amministrazione dell’ospedale.
Delicato era il compito del Cassiere che doveva tenere la cassa dell’ospedale, cioè attendeva alle riscossioni e ai pagamenti, dopo aver versato una cauzione di ben 15.000 Lire. Alla fine di ogni trimestre doveva sottoporre all’Ispettore un registro di entrate e uscite. Dallo stesso Ispettore riceveva poi il dazzaiolo per la riscossione delle rendite ; sull’importo incassato riscuoteva un emolumento del due e mezzo per cento.
I Sovrintendenti eleggevano tre Operai che rimanevano in carica per tre anni. Ogni anno nel giorno di San Giuseppe, ne veniva eletto solo uno, in modo che almeno due restavano sempre informati degli affari dell’ospedale. Il primo operaio faceva parte della Deputazione per l’assegnazione delle doti. Ogni prima domenica del mese visitavano i locali dell’ospedale, la cucina e gli altri luoghi, e si assicuravano che fossero puliti e ben ordinati, così come si assicuravano che i malati avessero una buona assistenza medica e spirituale. Al Provveditore facevano proposte per migliorare l’andamento interno dell’ospedale.
L’assistenza spirituale degli infermi era affidata ai tre Curati della Collegiata di Empoli. Essi erano tenuti a portare il conforto agli ammalati, a turno, di giorno e di notte, tutte le volte che erano chiamati o quando essi stessi lo ritenevano opportuno. Appena un infermo entrava in ospedale, l’infermiere chiamava il Curato per la visita. Egli registrava il nome, le generalità, la parrocchia di provenienza, il numero del letto dell’infermo su un apposito quaderno su cui badava anche a segnare se aveva ricevuto o no i Sacramenti. Confessava i malati e impartiva il Viatico o Olio Santo, quando si trattava di malattia pericolosa o la morte si appressava. Addirittura per i malati più gravi per i quali era necessario prestare una continua assistenza spirituale, i Curati potevano dormire in una apposita cameretta. Quando un infermo decedeva era il Curato dell’ospedale che lo “accompagnava al Campo Santo”. Ogni mattina il Curato di turno celebrava la S. Messa nelle “infermerie” dell’Ospedale e suo compito era anche quello di provvedere ad impartire il Catechismo a quei malati “che conoscesse male istruiti nelle cose della Religione”.
Il capo del personale era l’Infermiere medico : da lui dipendevano il sotto-infermiere, i serventi, le levatrici. Egli doveva essere “matricolato in Medicina e fornito di una sufficiente esperienza in una simile professione”; vigilava sul buon operato degli addetti all’infermeria, relativo alla pulizia dei locali, alla somministrazione del vitto e all’assistenza dei malati. A lui spettava l’ammissione del malato all’ospedale, previo controllo di certificato del medico ospedaliero e di attestato del parroco comprovante la povertà dello stesso. I certificati dei medici esterni non erano considerati validi.
L’infermiere medico distribuiva i letti ai ricoverati, a seconda delle malattie, e vigilava sulla regolarità delle visite mediche, il cui orario era molto rigido : entro le ore 9 dovevano essere ultimate le visite del mattino, entro le 16 in inverno e le 18 in estate quelle pomeridiane. Teneva il registro dei malati sul quale annotava il nome dei ricoverati, la loro provenienza, il genere di malattia, le date di ammissione all’ospedale e di partenza. Ogni mattina riceveva le medicine preparate dal Farmacista e con l’aiuto del sotto-infermiere, le distribuiva ai malati in base alle prescrizioni fatte dai medici curanti, non senza vigilare che tali medicine venissero realmente prese alle ore e nelle dosi prescritte ; simile controllo era riservato anche al vitto, osservando che le vivande fossero nelle dosi e nelle quantità ordinate. Era severamente proibito introdurre in ospedale qualunque genere commestibile, senza sua espressa licenza. Sempre a lui era affidata la “medicheria”, cioè la medicazione dei malati che non venivano ricoverati. Anche per questo aveva in consegna l’armamentario chirurgico (cioè tutti i ferri) che affidava ai chirurghi per le operazioni. Terminate le quali egli curava personalmente la pulizia degli strumenti e li rimetteva al loro posto curando che fossero ben “arruotati e accomodati”. Alla fine di ogni mese faceva rapporto al Provveditore sull’andamento sanitario dell’ospedale. Egli riscuoteva una “annua provvisione a contanti, ogni mese la rata, oltre l’uso di una stanza con mobilia e biancheria nell’interno dello Spedale, senza altro emolumento”.
Il Sotto-infermiere collaborava direttamente con l’Infermiere nelle pratiche relative alla pulizia e all’assistenza dei malati. Vigilava che ogni infermo fosse tenuto “pulito e asciutto” ; che ogni servente svolgesse il proprio lavoro di pulizia di tutti i locali nel migliore dei modi ; aiutava l’infermiere nella distribuzione dei medicinali ; procurava che fossero eseguite le ordinazioni giornaliere dei medici curanti relative al vitto e ai bagni, facendo molta attenzione alla pulizia della biancheria. Proprio lui infatti aveva in consegna l’inventario della biancheria, dei letti, delle suppellettili e degli utensili dell’ospedale. Uno dei suoi compiti principali era quello di custodire la “medicheria”, cioè la stanza in cui erano conservate “fasce, pezze, fila, unguenti, cerotti” ed i medicamenti più comuni, e provvedere che l’ospedale ne fosse sempre ben fornito. Quando un malato entrava in ospedale il sotto-infermiere prendeva in consegna i suoi indumenti e il denaro che aveva con sé, per restituirgli il tutto al momento della partenza. Mezz’ora prima del vitto suonava una campanella per avvisare gli infermi e lui stesso distribuiva il pane e il vino e toglieva loro l’eventuale cibo che i parenti avessero portato da casa ; la mattina alle 5 e mezzo d’estate e alle 7 d’inverno distribuiva invece il brodo ai malati.
Tre Serventi nelle guardie svolgevano i turni di sorveglianza e preparavano il malato che veniva ammesso all’ospedale, spogliandolo dei suoi vestiti, lavandolo e rivestendolo della camicia di ordinanza. I turni erano quattro di sei ore ciascuno e racchiudevano quindi tutto l’arco della giornata. Dovevano stare attenti alle chiamate dei ricoverati , prestando loro tutti i servizi occorrenti, “anche i più nauseanti”. Ciascun servente percepiva il salario, il vitto, “la gabbanella e  l’abitazione nello Spedale”. Stessi compiti erano svolti dalle tre serventi, assegnate all’infermeria delle donne. Il loro servizio era controllato da una Caporala delle serventi che si preoccupava soprattutto di far pulire i pavimenti, i palchetti di marmo posti fra i letti, i letti stessi e gli altri utensili. Controllava che “le bagnature e le docciature delle malate fossero eseguite nelle ore opportune e colle convenienti cautele” e che la biancheria fosse sempre in ordine e pulita.
Le partorienti e le puerpere erano in camere separate rispetto alle infermerie ; la loro assistenza veniva assicurata dalla Caporala e da due Levatrici che prestavano servizio alternativamente, un mese per ciascuna. In caso di parto complicato la levatrice doveva avvertire l’infermiere della necessità della presenza del chirurgo.
Di tutta la biancheria, vestiario, letti, utensili, suppellettili utilizzati in ospedale era responsabile un Guardaroba, a cui spettava “pensare ai bucati ordinari”, vigilando che questi fossero fatti “ ai tempi debiti e colla esattezza ed economia possibile”. Quando trovava biancheria inservibile faceva una nota da sottoporre all’Ispettore, il quale sceglieva quella da “riattare all’uso e quella da scartare”. La biancheria scartata veniva utilizzata nella “medicheria”, per fare fasce, pezze ecc. Il Guardaroba riceveva inoltre il combustibile dal Dispensiere, il quale aveva in consegna tutti i generi della dispensa e “del fuoco” : pane, vino, pasta, carne, uova, riso, semolino, olio, aceto, cataste, frasconi, carbone e brace. Alla fine di ogni mese annotava su un registro il consumo dei vari generi distribuiti, affinchè il Computista facesse i relativi riscontri. Provvedeva personalmente all’acquisto al mercato di altri generi commestibili, ad esempio le verdure, “osservando che il tutto sia della migliore qualità, a prezzo discreto”.
Nella cucina dell’ospedale un Cuoco, dopo aver ricevuto dal Dispensiere i generi commestibili, preparava con cura, pulizia e naturalmente economia, tutti i cibi per i malati ed i Serventi. Lui stesso spesso riceveva dai fornitori i generi commestibili e li portava alla dispensa dell’Ospedale. Era suo dovere tenere la cucina in ordine e ben pulita e risparmiare quanto più possibile sul fuoco e sui condimenti.
A custodire la porta dell’ospedale a tutte le ore del giorno vi era un Portinaio, che impediva l’accesso ai non addetti. Il divieto di ingresso veniva rispettato durante l’orario delle visite mattutine e pomeridiane, la celebrazione della S.Messa o di altre funzioni, il pranzo e la cena dalle 9 alle 12 d’inverno. Nei mesi estivi, da aprile a tutto settembre, l’ospedale veniva aperto anche un’ora alla sera, dalle 18 alle 19. Qualche piccola variazione si aveva nelle domeniche e nelle altre festività. Il Portinaio vigilava che non si introducessero cibi e vivande in ospedale e che non entrassero venditori di merci varie.
Le cure mediche degli infermi erano affidate a due medici condotti di Empoli, uno per il turno degli uomini e l’altro per le donne. Nei casi più difficili o prima di un’operazione chirurgica, era consuetudine fare un consulto tra i due medici, a cui partecipava anche l’infermiere. Le visite si svolgevano due volte al giorno, alle 9 e alle 16 in inverno o 18 in estate, comunque essi “avevano l’obbligo di accorrere allo Spedale ogni volta che per casi urgenti fosse necessaria, tanto di giorno che di notte, la loro presenza” Durante le visite si facevano aiutare dal Servente di guardia “per farsi portare il calamaro ed altro occorrente”. Su due registri, uno per gli uomini e l’altro per le donne, annotavano le prescrizioni mediche, le applicazioni e le operazioni chirurgiche necessarie, nonché il tipo di dieta per ogni malato. Tutti questi dati venivano trascritti anche sul letto del ricoverato. In caso di morte del paziente il medico curante poteva richiedere all’infermiere l’autopsia sul cadavere che poi veniva eseguita dai medici chirurghi. Anch’essi erano in numero di due e provenivano dalla “lodata terra di Empoli” ; a loro era affidata la cura chirurgica degli infermi.
Visitavano i malati due volte al giorno facendosi accompagnare dal “servente di basso servizio” che portava “calamaro, pezze, fasce e fila, unguenti, cerotti e quant’altro occorrente in tali medicature”.
Prima di iniziare un intervento chirurgico i due chirurghi si consultavano tra loro e con il medico curante e l’infermiere, sincerandosi anche che il paziente fosse munito dei Sacramenti. A loro era permesse “esercitarsi sulle ricerche anatomiche sopra il cadavere dello Spedale”.
Sia i medici che i chirurghi, e solo loro, rilasciavano i certificati per poter essere ammessi all’Ospedale.
Su proposta del Provveditore i Sovrintendenti nominavano il Farmacista dell’ospedale, scegliendo “il più idoneo e abile fra gli altri che sono nella terra di Empoli e che abbia la sua Farmacia nel centro della terra medesima, e sia fornito delle necessarie droghe medicinali e dei preparati chimici in uso”. Ogni mattina, dopo le visite mediche, egli riceveva dall’infermiere i ricettari con l’indicazione delle medicine da preparare per i ricoverati : con molta attenzione ad ogni preparato allegava il nome del malato e il numero del letto e riconsegnava il tutto all’infermiere che provvedeva alla distribuzione. Naturalmente le dosi dovevano essere preparate “con precisione di peso e di misura”. Era espressamente richiesto che usasse per le medicine preparate dei contenitori di vetro e non di terracotta “onde si possa facilmente giudicare della qualità, bontà ed esattezza di tali spedizioni”. Alla fine di ogni semestre il farmacista preparava tre conti separati : uno per gli uomini, uno per le donne e un altro per la chirurgia, cercando di non “esigere prezzi esorbitanti ed eccessivi, poiché verificandosi tali difetti, potrebbe incorrere nella perdita irremissibile del servizio del Pio stabilimento”. Questi conti venivano inviati a Firenze dove un “perito dell’arte”, appositamente scelto da un Deputato della Pia Eredità Del Papa, ne avrebbe verificato la congruità prima di procedere al pagamento.
L’ospedale era dotato di due “grandiose e separate Infermerie” , una per gli uomini e una per le donne. Ciascuna conteneva 20 letti da dividere tra i malati di cura medica e chirurgica ; due letti posti in una camera separata erano a disposizione per le partorienti. Ciascun letto era fornito di “piano di ferro intelaiato, asserelli verniciati, saccone di paglia, due materasse di lana, capezzale e guanciale simile, sopraccelo, palchetto di marmo, tavoletta per il vitto, e tabella per le ordinazioni e osservazioni dei rispettivi Curanti”. La biancheria in dotazione consisteva in “doppio assortimento di coperta, tendine e cortinaggi bianchi, due panni lani, para 4 lenzuola di panno canapino, n.4 federe, tre camice, una gabbanella e n.3 berretti o scuffie”. Ognuna delle infermerie era poi fornita di tutti gli attrezzi di comodo come “scaldaletti, padelle da escrementi, orcioli, sputacchiere e cassette con segatura per i bisogni occorrenti”.
Avevano il diritto di essere ammesse in ospedale “tutte le persone povere della terra e comunità di Empoli, attaccate da malattia medica o chirurgica [...], le donne miserabili afflitte da malattia nello stato di gravidanza, parto e puerperio”. Due letti erano inoltre riservati a persone della Prioria di San Bartolomeo a Sovigliana o di S.Maria a Spicchio, per effetto del lascito di Olimpia Biglioli.
Per poter essere ammessi all’ospedale era dunque necessario un attestato di “miserabilità” che di solito era rilasciato dal Parroco e un certificato di malattia rilasciato dal medico o dal chirurgo dello stesso ospedale. In realtà si potevano accettare senza alcun attestato anche i “Forestieri” che “per caso urgente o per improvvisa malattia, avessero bisogno dell’immediato ed opportuno soccorso” ed anche coloro che “pagassero la giornaliera ospitalità”. Vi si ammettevano pure i detenuti nelle carceri e i dementi, in seguito ad ordine del Tribunale. Era severamente proibita invece l’ammissione agli individui affetti da malattie “sifilitiche, scrofolose ed escrettive di qualunque specie, come pure di artitridi e malattie di utero già inveterate, per le quali abbisogna una cura speciale”, che un piccolo ospedale come quello empolese non poteva curare. Per le stesse ragioni venivano respinti anche i malati di “lebbra, rogna o altra malattia cutanea”, perché mancavano i locali dove poter isolare questi pazienti. Appena entrato in ospedale il malato veniva preso in consegna dall’ Infermiere che ne riscontrava la malattia certificata e ne annotava su apposite tabelle generalità, provenienza, malattia, cura, nome del medico curante e osservazioni varie. Dopo di che gli destinava il letto e gli veniva assegnata la classe della dieta da seguire.
Ai malati veniva distribuita una minestra a pranzo e a cena e un uovo a bere al mattino e al pomeriggio. Il “vitto intero” consisteva “nella consueta minestra, carne e tutta la porzione di pane e vino”. La distribuzione del pranzo veniva fatta alle 10,30, quella della cena alle 16 d’inverno e alle 17 d’estate. Al suono della campanella del sotto-infermiere annunciante i pasti, i serventi facevano lavare le mani ai ricoverati, poi apparecchiavano le “tavolette” di cui ciascun letto era fornito con dei tovaglioli. Il sotto-infermiere distribuiva il pane e il vino, osservando attentamente le tabelle dietetiche, e la minestra avendo cura che il romaiolo fosse ben ripieno, giacchè conteneva la dose prescritta, ma evitando di “replicare a ciascuno dei malati più di una romaiolata, per evitare il caso della mancanza per i malati che restano da ultimo”.


Testo: L' ospedale San Giuseppe. Quattro secoli di storia a Empoli-Rossana Ragionieri - 2008

 
Dal passato al futuro... un viaggio nel tempo dei templi della salute
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