POLA Ospedale Santorio Santorio ora ISTRIANO - Ospedali d'Italia

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POLA Ospedale Santorio Santorio ora ISTRIANO

Ospedali Nord est > Regione Friuli Venezia Giulia > Provincia Trieste

Questa scheda deriva integralmente  da : L’Ospedale provinciale (Santorio Santorio) di Pola durante l’Amministrazione italiana (1918-1947) di  RAUL MARSETIC CDU 725.5(497.5Pola)“1918/1947“
Centro di ricerche storiche – Rovigno - Saggio scientifico originale Gennaio 2015.
Il Dott. Marsetic, Direttore del Centro di ricerche storiche di Rovigno, da me contattato per la condivisione del contenuto, ha dato prontamente l'autorizzazione ad utilizzare il suo lavoro che, a parer mio, l’ho definito, ai fini del progetto, "notevole".


https://www.academia.edu/19217938/L_Ospedale_provinciale_Santorio_Santorio_di_Pola_durante_l_Amministrazione_italiana_1918-1947_


Lo straordinario sviluppo urbano raggiunto da Pola nell’ultimo decennio del XIX secolo rese assolutamente necessaria la costruzione di un vasto complesso ospedaliero che fosse capace di sopperire alle necessità sanitarie della popolazione civile della città che l’Ospedale inaugurato il 1 gennaio 1875, non era più in grado di garantire.
La nuova struttura sanitaria fu eretta sotto al colle di San Michele, e solennemente inaugurata il 6 ottobre 1896 e comprendeva complessivamente otto edifici, di cui cinque erano destinati ad accogliere 300 ammalati e gli altri tre erano adibiti agli altri servizi nosocomiali.
Le esigenze finanziarie per il funzionamento della nuova grande struttura ospedaliera si dimostrarono ben presto un peso troppo oneroso per le casse comunali, iniziando fin da subito ad accumulare forti passivi. Nel 1903 fu trovata finalmente una soluzione con la vendita della struttura sanitaria alla Provincia dell’Istria, trasformazione che dette vita all’Ospedale provinciale. La consegna ufficiale dell’ospedale polese alla Provincia fu svolta il 3 gennaio 1904.
Con il passaggio di proprietà, si resero necessarie importanti modifiche negli ordinamenti che regolavano la struttura e notevoli furono anche gli ampliamenti, con l’erezione di nuovi edifici, e la sistemazione degli esistenti.
Il passaggio dall’amministrazione austriaca a quella italiana non fu certamente né facile né semplice. Durante i tre decenni che seguirono si procedette per lo più ad azioni di modernizzazione dell’ospedale con varie riorganizzazioni della struttura ma senza significativi interventi di ampliamento. L’allargamento più importante risale al 1924 con il passaggio in proprietà dell’ospedale  della Pia Casa di Ricovero.
Servirono diverse ristrutturazioni per renderlo consono alle sue nuove funzioni.
Il passaggio dall’amministrazione austriaca a quella italiana ebbe delle pesanti ripercussioni sulla vita economica e sociale di Pola che ovviamente si riflesse negativamente su tutta la Provincia dell’Istria.
Prima del 1914 il numero dei malati ricoverati all’Ospedale di Pola fu in progressivo aumento, tanto che raggiunse negli ultimi anni, prima della Grande guerra, le considerevoli proporzioni di oltre 7.000 infermi annui, con oltre 170.000 giornate di degenza. Durante gli anni di guerra, a causa soprattutto dell’evacuazione della città, la popolazione nosocomiale si ridusse a poco più di un migliaio. Con l’inizio del periodo italiano si notò una lieve ascesa nel movimento dei malati, la quale però non raggiunse neppure le cifre dei primi anni di gestione provinciale dell’istituto.
Molteplici furono le cause della diminuzione di degenti all’ospedale. Vi contribuirono:
a) L’aumento della retta ospedaliera, dovuto al generale rincaro del costo della vita, alle quote d’ammortamento del mutuo per i lavori di ampliamento e di adattamento dell’ospedale, al mantenimento dello stesso impianto ospedaliero con identico numero di personale sanitario, di assistenza e di servizio, malgrado la progressiva diminuzione delle degenze ospedaliere;
b) L’aumento delle condotte medico-chirurgiche ed ostetriche in Provincia;
c) I nuovi capitolati medici, che, portando un notevole miglioramento economico ai medici, presentarono un nuovo onere per i vuoti bilanci dei piccoli Comuni, i quali non rilasciarono più così facilmente certificati di povertà, volendo limitare l’accoglimento all’ospedale ai casi di speciale gravità e di assoluto bisogno;
d) La preoccupazione di molti pazienti per la convivenza con malati di tubercolosi aperta nel padiglione della divisione medica e la deficienza di un moderno gabinetto di radiologia e radioterapia;
e) La crisi economica della popolazione istriana;
f) La diminuita popolazione dell’Istria, specialmente dei circondari i cui malati gravitavano verso l’ospedale di Pola.
Uno dei provvedimenti più urgenti a cui dovette far fronte la direzione ospedaliera e l’amministrazione provinciale fu quello dell’isolamento dei tubercolotici.
Nell’Ospedale di Pola risultavano, all’inizio del 1926, a disposizione per i tubercolotici 22 letti (11 per uomini e 11 per donne), occupando però il padiglione per malattie infettive; questi letti erano destinati per l’accoglimento dei casi più gravi di tubercolosi polmonare aperta, mentre gli altri malati venivano ricoverati in reparti comuni con grave pericolo per gli altri pazienti.
Nel 1905 la Giunta provinciale deliberò l’istituzione di una nuova divisione ginecologica e nel luglio 1921 votò la sistemazione di un nuovo reparto con 63 letti. In effetti, l’istituzione del reparto di ginecologia rappresentò già in origine un lusso per le proporzioni dell’ospedale. La Giunta provinciale fu determinata a crearla nella previsione di un futuro maggiore sviluppo della struttura sanitaria che però nel dopoguerra mancò. Il distacco della sezione ginecologica dalla divisione di chirurgia generale portò ad un aggravio per doppie sale di operazione e di medicazione, di ambulatorio, con il loro in parte doppio arredamento e servizio, per una parte di spese di personale medico che poteva essere limitato, o del personale di assistenza addetto alla sala operatoria.
Quanto alle partorienti, il paragrafo 12 dello Statuto dell’Ospedale ammetteva che partorienti potessero essere accolte in caso di assoluto bisogno e sempreché fossero sprovviste di abitazione. Il numero di partorienti che ricorrevano all’ospedale andò progressivamente diminuendo nel tempo, dalle 222-251 degli ultimi anni prima della Grande guerra alle sole 143 del 1925, anche se nel 1920 fu persino toccato un picco di 335 partorienti.
Tutti questi argomenti indussero a proporre la soppressione dell’esistente divisione ginecologica con gli annessi servizi per la maternità e la fusione del reparto con la divisione di chirurgia generale, ritornando così all’ordinamento ospedaliero in vigore nei primi tempi della fondazione dell’istituto.
Il padiglione chirurgico fu aperto il 18 settembre 1908 e rispondeva alle moderne esigenze della chirurgia ospedaliera.
Il movimento dei malati nel reparto della Divisione oculistica, che negli anni 1912-1913 fu di 358 malati si ridusse nel dopoguerra toccando nel 1925 soli 147 pazienti.
La Sezione dermoceltica, per la quale furono previsti 61 letti, la maschile con 32 e la femminile con 29 letti, presentava, nel 1926, un movimento in continua progressiva decrescenza.
Il motivo principale della drastica diminuzione di degenti fu dovuto alla preferenza per le cure ambulatorie, riservando l’ospedalizzazione per i soli malati gravi.
A proposito della Sezione psichiatrica, dei 253 malati psichici al tempo sotto la responsabilità della Provincia, soltanto 60 si trovavano alla sezione maniacale dell’Ospedale di Pola.
La Commissione per la riforma ospedaliera mirò a contemperare le esigenze del servizio assistenziale con la necessità di un cospicuo risparmio nelle spese di funzionamento dei servizi sanitari.
I mezzi necessari al risanamento del bilancio ospedaliero si concentrarono quindi sulle risorse amministrative, ovvero sulla riduzione delle spese ordinarie e straordinarie.
Al fine di migliorare la situazione, fu effettivamente svolta una intensa opera di riorganizzazione. Le condizioni in cui versava  l’ospedale erano dovute alla scarsa affluenza di malati ed al mantenimento di un impianto ospedaliero, che se corrispondeva nell’anteguerra, era però del tutto sproporzionato ai bisogni reali dell’allora assistenza nosocomiale.
Furono migliorati i servizi della struttura con la creazione di un reparto specializzato per i malati di tubercolosi, con l’aumento delle capacità ricettive della sezione psichiatrica, con la separazione della divisione oculistica dalla divisione chirurgica, con il rendere autonomo il reparto di ostetricia. Inoltre, fu sistemato un “forno crematorio” per le immondizie e per i rifiuti di medicazione, ed un “solario”, arredato di sedie e sdraio per la cura dei tubercolotici. Risultava inoltre in corso l’allestimento dell’Istituto di radiologia e terapia fisica. In fase di costruzione era pure una cella frigorifera per la conservazione degli alimenti e per la produzione del ghiaccio occorrente ai pazienti.
Il 12 luglio 1930 fu inaugurato l’appena eretto  Istituto di radiologia e fisioterapia, realizzazione che assegnò all’ospedale una funzione di primordine nel campo delle moderne applicazioni della radiologia. Soltanto qualche mese prima, il 28 marzo, la Croce Rossa Italiana costituì un posto di pronto soccorso.
In seguito all’introduzione della legislazione italiana nelle province redente, l’Amministrazione provinciale, dopo lungo e ponderato esame, prese l’iniziativa di trasformarlo in opera pia con amministrazione autonoma, sotto la denominazione di Ospedale Santorio Santorio (Ospedale Generale e Psichiatrico), da regolarsi in base ad apposito statuto organico. Le deliberazioni del Rettorato, in data 21 agosto e 15 dicembre 1931, fissarono le modalità e condizioni della nuova istituzione, alla quale la Provincia cedette in donazione gli edifici ospedalieri con tutto il materiale mobile in essi contenuto ed un appezzamento di terreno adiacente all’ospedale stesso.
Il nuovo Statuto dell’ospedale fu approvato con il Regio Decreto del 15 settembre 1932 n.ro 1455, successivamente modificato con Deliberazione del Commissario Prefettizio del 10 maggio 1933 approvato con R.D. del 31 agosto 1933. Con lo stesso R.D. del 1932 fu approvata la trasformazione dell’ospedale in ente morale, come espressamente voluto dall’Amministrazione provinciale ed in conformità alle deliberazioni del 21 agosto e 15 dicembre 1931. Era costituito dalle sezioni ospedaliere propriamente dette e dal reparto psichiatrico, entrambi riuniti sotto un’unica gestione amministrativa e retto da un Consiglio di Amministrazione composto da cinque membri.
Con decreto del 12 dicembre 1932, il Prefetto della Provincia dell’Istria nominò un Commissario Prefettizio con incarico di provvedere, oltre che ai bisogni generali dell’istituzione, alla formazione dei regolamenti prescritti dallo statuto stesso.
Il mandato di Commissario Prefettizio per la temporanea amministrazione dell’Ospedale Santorio Santorio di Pola fu assegnato al Vice Prefetto dr. Michele Serra che già il giorno seguente inviò al Prefetto dell’Istria l’istanza di sussidio diretta all’On. Ministero dell’Interno, Direzione Generale dell’Amministrazione Civile che a sua volta richiese:
1. L’entità del disavanzo risultante dalla situazione finanziaria al 31 dicembre 1932
2. Il numero degli assistiti gratuitamente ed a pagamento, indicando le giornate di degenza, durante il 1932, complessivamente per ciascuno dei due gruppi d’assistiti;
3. L’importo della retta per gli assistiti a pagamento.
L’Ospedale rispose al Prefetto, che trasmise le richieste ministeriali :
1. Come è noto alla E.V. il nuovo Ente ha iniziato la propria attività senza disponibilità di cassa, all’infuori della somma di Lire 250.000,00 per la quale la Provincia, giusta le deliberazioni 21 agosto e 15 dicembre 1931, apre in favore dell’Ospedale un credito in conto corrente verso prelevamenti mensili non superiori a L. 50.000 appena sufficienti al pagamento degli assegni al personale
2. L’Opera Pia Ospedale non avendo entrate di carattere patrimoniale nonha ricoverato nel 1932; ne potrà ricoverare, quindi, per l’avvenire alcun malato gratuitamente. I malati ospedalizzati ad ogni modo nel decorso anno ammontano complessivamente a 3.382, in parte a carico di Comuni e dell’Amministrazione Provinciale, in parte a carico di altri Enti ed in minimissima parte paganti in proprio. Il numero complessivo delle degenze consumate nello stesso periodo di tempo ammonta a 192.939.
3. Per il decorso anno vennero stabilite le seguenti rette giornaliere di degenza:
a) Paganti in proprio in I classe Lire 35,00;
b) Paganti in proprio in II classe Lire 30,00;
c) Ricoverati tubercolari contagiosi Lire 19,40;
d) Ricoverati nel manicomio Lire 12,00;
e) Ricoverati in chirurgia, in reparti ginecologici e dermosifilopatici Lire 18,00;
f) Ricoveri nel reparto medico ed oculistico Lire 17,0052.
Il  Ministero  concesse un sussidio di L. 85.000.00.
.Pochi mesi dopo, nel maggio 1933, l’Ospedale chiese all’Istituto di Credito Fondiario delle Venezie un mutuo di credito edilizio di L. 1.500.000,00 da destinarsi per la costruzione di un nuovo padiglione della capacità di circa duecento letti per il ricovero di malati psichici. Non fu concesso per mancanza di coperture a cauzione.
Alla fine di aprile 1934 il Commissario Prefettizio lasciò, dopo sedici mesi, la guida della struttura sanitaria e presentò una relazione sulla straordinaria Amministrazione dell’Ospedale. Nella stessa, Serra scrisse che appena ricevuta la consegna dell’ente dall’Amministrazione provinciale, si trovò subito alle prese con notevoli difficoltà finanziarie dovute in primo luogo alla necessità di approntare per il 1 gennaio 1933 la rata semestrale sul mutuo concesso dall’Istituto di Credito Fondiario. Risultò allo stesso tempo urgente dare alle casse dell’ospedale l’efficienza dei mezzi indispensabili a fronteggiare le esigenze quotidiane, specialmente per gli acquisti in contanti o a brevissima scadenza, dovendo accantonare il fabbisogno occorrente al pagamento degli assegni al personale, per il quale fu appena sufficiente la prima quota di L. 50.000 usufruita sul conto corrente aperto dalla Provincia.
L’ospedale, privo di beni patrimoniali redditizi poggiava la sua esistenza unicamente sugli introiti provenienti dal rimborso delle spese di spedalità dovute dagli enti locali e non poteva fare assegnamento sull’irrisorio provento delle rette corrisposte dagli abbienti. Il commissario Serra ritenne quindi opportuno ricorrere ad un espediente di pratica quanto immediata attuazione, che consentisse di incassare gradualmente sin dal primo momento le rette di degenza, le quali venivano rimborsate con notevolissimo ritardo e talvolta non venivano rimborsate affatto. Stabilita una media annuale approssimativa del debito ospedaliero da ciascun ente, propose ai Comuni, prevalentemente tributari dell’Ospedale, un sistema di pagamento a rate, ognuna scadente nel bimestre di riscossione delle imposte e tasse comunali, salvo conguaglio a fine di esercizio.
Il sistema proposto fu accolto e siglato in apposite convenzioni. Lo stesso venne fatto con la Provincia, la maggior debitrice verso il Pio Ente per il ricovero e mantenimento dei malati mentali nella sezione psichiatrica.
Questo sistema risultò conveniente sia per l’ospedale in quanto sicuro di poter contare senza soluzione di continuità su una precisa entrata, quanto per gli enti debitori ai quali fu evitato l’accumularsi di un forte debito difficile poi da estinguersi nella sua totalità. La direzione dell’ospedale ottenne quindi la possibilità di amministrare con una relativa agevolezza, evitando l’arresto del funzionamento della struttura sanitaria per mancanza di liquidità. Naturalmente, fu necessaria una continua vigilanza per ottenere l’adempimento puntuale ed integrale delle convenzioni, ma comunque gli enti debitori, tranne qualche eccezione, eseguirono i pagamenti alle scadenze fissate.
Un altra fonte di entrata fu trovata nel ripristino dei buoni rapporti con la Cassa Nazionale per le Assicurazioni Sociali, poi Istituto Nazionale Fascista della Previdenza Sociale, da tempo incrinati con grave danno finanziario per l’ospedale, dal quale erano stati ritirati praticamente tutti gli iscritti alle Casse, che prima affluivano in numero considerevole alla sezione tubercolotici. Si trattava di un gettito annuale di L. 250.000 che venne meno e che risultava urgente far tornare nelle casse dell’ospedale. Dopo laboriose trattative, la Cassa Nazionale si persuase a rimandare i propri iscritti, il cui numero arrivò oltre le 35 presenze giornaliere, procurando un introito costante mensile di L. 20.000, sempre puntualmente corrisposto. Con il 1 gennaio 1934 l’Istituto Nazionale insistette per una diminuzione della retta giornaliera da L. 19 a L. 17 con diffida, che, in caso di rifiuto, avrebbe provveduto al trasferimento dei suoi assicurati nei sanatori costruiti allo scopo. L’Amministrazione quindi dovette acconsentire al ribasso per non vedersi privata di una entrata tanto cospicua.
Una volta assicurata la disponibilità di mezzi, affidato il servizio di cassa e tesoreria all’Esattoria comunale (Cassa di Risparmio), disciplinato l’importantissimo servizio di economato con apposito regolamento di gestione deliberato con atto del 18 gennaio 1933, ed approvato dalla Giunta Provinciale Amministrativa nella seduta del 27 gennaio, fu finalmente possibile tracciare un programma di opere da attuare per dare all’ospedale l’organizzazione e l’operatività necessari. A tale scopo risultava fondamentale un ben ordinato personale. L’amministrazione provinciale, in esecuzione di quanto era stato stabilito nelle deliberazioni di creazione dell’ente, aveva ceduto un personale amministrativo, in cui, oltre ad esuberanza numerica, venne riscontrata una caotica distribuzione di funzioni molto pregiudizievole in quanto a rendimento. Mancava un segretario mentre c’erano troppi ragionieri, di cui due furono pensionati. Fu quindi approvata l’assunzione di un segretario provvisorio.
Per quanto riguarda la preparazione del bilancio del 1933, risulta necessario premettere che con il 31 dicembre 1932 avvenne la netta separazione tra la gestione provinciale e quella del nuovo ente, non tenuto, secondo le deliberazioni del Rettorato, ad ereditare debiti o crediti riguardanti le gestioni precedenti. Si trattò pertanto di un bilancio fondato esclusivamente sulle presumibili entrate dell’anno e sulle necessarie spese ordinarie e straordinarie dell’esercizio stesso.
A proposito della Sezione Psichiatrica, il commissario Serra descrisse dettagliatamente il quadro delle numerose manchevolezze a cui bisognava porre rimedio. La situazione era veramente desolante e l’unica soluzione richiesta dalle condizioni pietose del reparto fu la radicale trasformazione dell’edificio ed il suo conseguente ampliamento.
Duecentocinquanta ricoverati erano ammassati in un complesso di locali che avrebbe potuto contenerne appena duecento, con grave disagio per la loro salute fisica e psichica e con pesanti ripercussioni sul funzionamento dei vari servizi psichiatrici. Circa cinquanta ricoverati erano persino rinchiusi in umidi e tenebrosi sotterranei, situazione che durava ormai da anni e che non avrebbe mai dovuto verificarsi per questioni di igiene ed umanità. Abbandonata l’idea di un allargamento dell’edificio, inattuabile a giudizio dei tecnici, fu pensato di risolvere il problema con l’erezione di un nuovo padiglione capace di 250 letti, avente i requisiti tecnici, sanitari ed igienici dei moderni ospedali psichiatrici60. Venuta meno, per impossibilità finanziarie, l’attuazione del progetto, fu provveduto a dislocare una parte dei ricoverati nell’edificio per le malattie infettive, sgombrato dai tubercolotici gravi, che erano stati trasferiti nei locali della divisione pneumologica61. Inoltre, per alleviare le sofferenze fisiche dei ricoverati psichici, fu migliorata la loro alimentazione, rifornendoli di più adatti indumenti personali, di letti, coperte e materassi, disponendo anche alcuni lavori all’edificio e al cortile interno.
Urgenti furono le necessità anche della Divisione chirurgica e già precedentemente l’Amministrazione Provinciale deliberò di acquistare, per la somma di L. 55.000, una autoclave per l’impianto di una cabina di sterilizzazione nelle sale operatorie, riversando però sul nuovo ente tutta la spesa che infine fu quasi pari a L. 100.000. Con ciò la divisione chirurgica fu dotata di un impianto allora posseduto da soli altri due ospedali in tutto il Regno.
Contemporaneamente, si impose in tutta la sua urgenza il problema dell’impianto di riscaldamento centrale in tutti gli edifici del nosocomio, ormai da tempo pianificato ma mai posto in esecuzione per la difficoltà di fronteggiare l’ingente spesa necessaria. Lo scopo era di eliminare quanto prima il dover servirsi di stufe a legna o a carbone, che negavano ogni conforto a migliaia di sofferenti, esponendoli spesso a grandi variazioni di temperatura con il passaggio tra i vari ambienti. Inoltre, c’era la necessità di tenere mobilitato un numeroso personale per il servizio di alimentazione di centinaia di stufe. Complessivamente, si trattava di una spesa ingente senza il corrispettivo rendimento.
I lavori dell’impianto furono affidati alla Ditta Giuseppe De Micheli di Firenze.
Essa si impegnò a provvedere all’allestimento mediante un compenso di L. 376.000, escluse le opere murarie che restavano a carico dell’ente64. La sistemazione dell’impianto durò oltre sei mesi e con l’inizio dell’inverno 1933/1934 i termosifoni furono messi in funzione con grande compiacimento del personale e dei degenti.
Durante il periodo di reggenza dell’Ospedale da parte del commissario Serra bisogna menzionare anche la costruzione di un nuovo edificio per la lavanderia, più consono ai principi d’igiene e pulizia, il miglioramento dei locali addetti alla cucina e la sistemazione della stradina di accesso al nosocomio.
Inoltre, forti furono le spese sostenute per il nuovo impianto telefonico automatico interno.
A proposito dello stato giuridico ed economico del personale, con la creazione del nuovo ente fu necessario procedere alla sua sistemazione organica.
Tranne alcune posizioni ben definite, molto spesso pure il personale avventizio godeva da anni di diritti e assegni non contemplati da tassative norme regolamentari, ma fissati appena in sintetici atti deliberativi e talvolta in semplici provvedimenti interni. Nella stesura della nuova regolamentazione bisognò quindi non trascurare alcuni stati di fatto che si perpetuavano ormai da molti anni e che erano diventati ormai quasi stati di diritto.
Il personale fu diviso in tre categorie: amministrativo, sanitario e salariato, e per ciascuna di esse fu provveduto alla compilazione di un apposito regolamento organico con annessa tabella di assegni, prendendo come esempio le norme vigenti per i dipendenti statali, adattate o modificate secondo le necessità.
Con l’approvazione del nuovo Regolamento per il personale sanitario fu stabilita l’assoluta obbligatorietà del concorso per tutti i posti, dal direttore agli assistenti. Quindi, dopo l’approvazione da parte dell’Autorità tutoria, furono banditi i concorsi per l’assunzione dei primari delle due divisioni chirurgica e dermosifilopatica e dell’aiuto del reparto psichiatrico, assunzione quest’ultima improrogabile data la mancanza del direttore la cui nomina nelle allora condizioni della sezione sembrò prematura. Ai concorsi per il posto di primario della divisione dermosifilopatica e a quella per il posto di aiuto della divisione psichiatrica non si presentarono che l’allora incaricato della prima dr. Nicolò Caluzzi e l’assistente dell’altra dr. Antonio Canor. I due concorrenti furono quindi regolarmente nominati assumendo il servizio di titolari con la data del 16 marzo 1934. Il posto di primario della divisione chirurgica fu invece assegnato al prof. dr. Ortensio Pepi. In appendice al regolamento fu approvata una disposizione transitoria, accettata dalla Giunta Provinciale Amministrativa, in forza della quale il primario della divisione medica dr. Umberto Sbisà, che da parecchi anni ricopriva la direzione sanitaria dell’Ospedale, venne definitivamente confermato al posto di direttore effettivo.
Un altro dei regolamenti da compilare fu quello inteso a disciplinare il ricovero e la cura degli abbienti, la fissazione delle tariffe delle sovrattasse dai medesimi dovute per le prestazioni medico-chirurgiche e specialistiche ricevute in Ospedale e i criteri di ripartizione dei proventi tra il nosocomio ed il personale sanitario. In realtà, la presenza di degenti paganti non fu mai tale da costituire una fonte di guadagno per l’Ospedale, che fino ad allora non ebbe mai adeguatamente occupate le camere per i paganti di classe comune e ancora più scarsamente risultava occupato il confortevole villino adibito ai paganti di classe distinta. I motivi furono individuati nell’inveterato e tradizionale costume di evitare fino all’ultimo l’ingresso in Ospedale per rivolgersi piuttosto alle case di cura, specialmente a quella di S. Pelagio di Rovigno, che, per particolari circostanze di ordine finanziario, poteva offrire agevolezze maggiori di quelle che poteva offrire un ospedale. Comunque, anche per i pochi malati a pagamento, fu necessario stabilire norme regolamentari precise, ispirate a quelle vigenti negli altri ospedali del Regno e adeguate alle condizioni particolari del nosocomio di Pola. La compilazione del regolamento coincise con le disposizioni emanate dal Ministero dell’Interno con circolare 19 luglio 1933.
Dopo la stesura e successiva approvazione del bilancio dell’ospedale per il 1934, il compito del commissario prefettizio quale amministratore straordinario poté considerarsi esaurito. Si procedette quindi alla designazione ed insediamento del Consiglio di Amministrazione, come prescritto dallo Statuto organico.
Il Prefetto costituì il Consiglio di Amministrazione del civico ospedale Santorio Santorio in data 25 aprile 1934 con entrata in carica dal 1 maggio 1934.
L’operato del Consiglio fu abbastanza discusso e complicato per le persistenti deficienze di cassa, per i contrasti interni tra i vari membri e per le differenti vedute rispetto alle posizioni del Prefetto.
Nella seduta del 12 aprile 1937 il Consiglio d’Amministrazione trattò la revoca delle concessioni al primario chirurgo prof. Ortensio Pepi. Infatti, per evitare l’eventualità di dimissioni, nel corso degli anni l’amministrazione ospedaliera approvò diverse deliberazioni straordinarie a favore del medico. Così, il 1 ottobre 1934 gli fu concesso un assegno speciale mensile di L. 1.000 per l’assistenza otorinolaringoiatrica, mentre il 30 giugno 1936 fu stabilito di sopprimere dal regolamento dei paganti in proprio la tariffa delle tasse e sopratasse per le prestazioni del chirurgo, lasciando a lui la libertà di trattazione per l’imposizione dei propri onorari nei limiti massimi consentiti dalle tariffe sindacali.
Infine, con atto dell’11 settembre 1936 gli fu concesso l’esercizio dell’ambulatorio privato all’interno dell’ospedale. Nonostante tutti questi privilegi particolari, nel 1937 il dr. Pepi prospettò l’intenzione di lasciare Pola per conseguire miglioramenti di carriera.
L’8 ottobre 1937, Luigi Sommariva, segretario federale del Partito Nazionale Fascista dei Fasci di combattimento di Pola, inviò al Prefetto una relazione sul funzionamento dell’ospedale redatta dai primari prof. Pepi e prof. Antoniazzi. I due medici descrissero e lamentarono, in parte obbiettivamente e in parte meno, quando trattarono alcuni innegabili interessi privati, la seguente situazione:
Il reparto psichiatrico risulta ubicato in locali assolutamente insufficienti per il numero dei ricoverati che è di circa 245. L’addensamento in alcuni dormitori è tale da costringere ad accantonare durante la giornata i letti in un lato della sala per permettere il movimento degli infermi e del personale. Circa 24 infermi sono ospitati in locali semiinterrati e con pavimento in terrapiena, condizioni igienicamente non compatibili specie con l’approssimarsi della stagione invernale. Anche il numero di bagni è insufficiente in detto reparto. Mancano le docce. Dalla metà di agosto scorso il reparto è senza dirigente.
Vi presterebbe servizio, per poche ore al giorno un aspirante medico in servizio militare a Pola, sotto la direzione dell’oculista e direttore interino dell’ospedale. Detta forma di sostituzione non è affatto sufficiente né tollerabile, trattandosi di un reparto con un numero rilevante di infermi che hanno bisogno dell’opera di sanitari specializzati.
Nell’ospedale di Pola si è stabilita ormai tra corpo sanitario, impiegati e dipendenti da una parte ed Amministratori dall’altra, uno stato di assoluta incomprensione, che praticamente si traduce in un disagio, un’animosità non tollerabile e che ha ed avrà, in modo sempre più accentuato, conseguenze morali ed economiche dannose per l’Ente. Il fondamento di tale
situazione è da ricercarsi … nel fatto che gli amministratori non hanno mai desiderato la collaborazione dei sanitari nella esplicazione della loro mansione e nella disistima da parte dei medici verso le persone costituenti lo stesso Consiglio di Amministrazione. Uno dei mezzi escogitati dagli Amministratori… è stato quello di evitare la nomina del Direttore. Con tale sistema si è venuta a costituire fra amministratori una vera e propria “cricca”, il cui supremo è quello di allontanare, o di rendere aspro il cammino, a qualunque dei sanitari che possa comunque nutrire l’aspirazione di elevarsi ad un posto che non sia di completa subordinazione.
Le condizioni economiche dell’ospedale attualmente sono allo stato fallimentare.
La maggioranza dei fornitori rifiutano ormai ogni credito; i pochi che ancora resistono lo offrono a condizioni di strozzinaggio: merce scadente a prezzo arbitrario. È troppo evidente che ove esistesse una saggia ed onesta Amministrazione, una retta giornaliera di L. 22, con una media quotidiana di 500-600 degenze, dovrebbe consentire un trattamento più adeguato. Indubbiamente vi sono degli sperperi evidenti. Si vuole conservare artificialmente all’Ospedale di Pola l’attrezzatura consentita oggi soltanto a ricchi e grandi ospedali. Così qui esiste un corpo Amministrativo ipertrofico; reparti di specialità con pochi letti ed a bilancio indubbiamente passivo. Ad esempio: per il mantenimento del reparto oculistico, che ricovera in media dai 6 ai 14 malati, si corrisponde al primario uno stipendio di circa 1.300 L. mensili; poi si provvede al mantenimento di una suora e di una infermiera ed alla copertura delle inevitabili spese generali, che implica il mantenimento di un reparto.
Ed un tentativo fatto di recente per ridurre tale ipertrofica architettura dell’ospedale, ricorrendo alla fusione del reparto ostetrico con quello chirurgico, ha trovato netta ed ostinata opposizione degli Amministratori. In contrasto a tanto spreco, in un campo si è particolarmente rivelato abile, irremovibile lo spirito di economia degli Amministratori, e cioè nel trattamento economico dei due primari su cui grava oltre 4/5 dell’ospedale: il primario medico e chirurgo.
Al primo, oltre stipendio mensile di L. 800 viene assegnata una compartecipazione, sugli utili provenienti dai malati paganti in proprio, tale per cui il ricavato delle cure prestate a ben 43 pensionanti nello spazio di un semestre è stato di L. 1.180. E nello stesso ospedale esiste una grave disparità di trattamento tra i vari primari: così, ad esempio, al primario radiologo, che svolge un’attività soltanto sussidiaria e di qualche ora al giorno, viene concessa una compartecipazione del 70% sugli utili ricavati dalle prestazioni a favore dei malati paganti; al primario medico il 33%; al chirurgo vi è già la delibera in Prefettura per portarla alla stessa percentuale.
Il primario chirurgo [Pepi], che dopo circa tre anni e mezzo di lotta era riuscito ad ottenere un miglioramento del trattamento economico, avendo avuto la disavventura di vincere un concorso per un altro capoluogo di Provincia (Trento) ed essendosi allontanato da Pola con il permesso dell’Amministrazione, per circa tre mesi, sarà sottoposto…a condizioni ancora più gravi di quelle iniziali.
Veniva sottolineata dal relatore l’esiguità degli onorari, soprattutto se si considera che il numero dei pazienti paganti è veramente esiguo in confronto all’enorme massa dei poveri, in favore dei quali l’opera dei suddetti sanitari è prestata gratuitamente. E come se ciò non bastasse, mentre per contratto di lavoro, i primari hanno l’obbligo di prestare gratuitamente la loro opera soltanto a malati poveri inviati dai Comuni, in realtà la loro opera gratuita si estende anche a malati non poveri, soltanto perché affiliati ad enti con i quali l’Amministrazione ha stipulato delle speciali convenzioni… L’amministrazione di Pola… ha mantenuto immodificato un articolo del regolamento che vieta ai primari di prestare la loro opera in Case di cura od istituti similari. Tale ingiusta restrizione… colpisce essenzialmente i primari medico e chirurgico.
Essi infatti non svolgono alcuna attività in nessuna delle istituzioni sanitarie di Pola; al contrario di tutti gli altri primari che, perché istriani, percepiscono da due ai cinque stipendi mensili, prestando contemporaneamente la loro opera presso altri enti, che hanno interessi… in netta concorrenza con quelli dell’ospedale stesso.
È comprensibile perché, dovendo attendere a tali svariati incarichi, l’attività a favore dell’Ospedale per qualcuno di essi si riduce anche a soli 30-40 minuti al giorno.  Per il contrasto di vedute tra il Consiglio d’Amministrazione e l’Autorità tutoria, ovvero il Prefetto della Provincia, il Consiglio richiese, in data 6 settembre 1937, alla Direzione Generale dell’Amministrazione Civile del Ministero degli Interni di disporre una urgente ed accurata ispezione amministrativa e tecnico-sanitaria. Un mese più tardi, il 7 ottobre, tutti i membri del Consiglio di Amministrazione rassegnarono le dimissioni e il prefetto Cimoroni decise di provvedere alla temporanea amministrazione del pio istituto a mezzo di un Commissario. Quindi, con decreto del 10 ottobre 1937 nominò il viceprefetto Michele Serra Commissario per la temporanea amministrazione dell’ospedale Santorio Santorio di Pola.
Due mesi dopo fu necessario sollevarlo dall’incarico presso l’ospedale. Quale sostituto fu nominato il dr. Luigi Attardi, Ispettore Provinciale Amministrativo, nominato quindi nuovo Commissario  Attardi che ricoprì la carica fino 28 giugno 1939.
Fu nominato il consigliere di prefettura dr. Bruno Mattessi che, l’anno successivo, per ragioni di malattia , dovette lasciare l’incarico. Il 1 luglio 1940, subentrò il consigliere di prefettura dr. Giovanni Pavan. Il presidente dell’Amministrazione provinciale dr. Gianni Apollonio il 16 settembre 1941 inviò al Prefetto Cimoroni una relazione sulle esigenze della
sezione psichiatrica e dei malati di mente della regione richiedendo un intervento per ottenere udienza direttamente a Roma da Mussolini. Si trattava di un problema complesso e al tempo risultavano oltre 620 i malati psichici ricoverati a carico della Provincia in 28 ospedali, dei quali circa 220 all’ospedale Santorio di Pola. Fu, nuovamente, prospettata l’esigenza di erigere un ospedale psichiatrico capace di 400-500 letti.
A pochi giorni di distanza, il 22 settembre 1941, anche il primario dr. Mario Carravetta inviò al Prefetto Cimoroni un rapporto sullo stato dell’ospedale. Descrisse la situazione come preoccupante per tutta una serie di motivazioni.
Lamentò il mancato rinnovamento delle attrezzature, con soltanto una parziale risistemazione, eseguita tra il 1938 ed il 1939, della sala operatoria. A proposito del gabinetto radiologico, preannunciò che stavano per essere adottate delle nuove apparecchiature al posto delle ormai datate in uso fino ad allora. Tra i problemi più gravi menzionò il reparto psichiatrico che, anche se allora recentemente ampliato, continuava a presentare immutati i suoi difetti fondamentali che lo rendevano assolutamente inadatto.
Non mancò ancora di accennare a diversi problemi di carattere organizzativo con deficienze qualitative e quantitative di personale capace e tecnicamente preparato e aggiornato.
Partorienti, appena operati e malati di vario genere erano alloggiati senza alcun criterio, tutti trasportati a mano attraverso il giardino, in tutte le stagioni, in barelle, ad esempio dalla sala parto o dalla sala operatoria al reparto. Mancavano quindi ovviamente gli spazi per cucina, soggiorno, guardaroba e bagni adeguati;
Il reparto di chirurgia era sistemato in due edifici lontani l’uno dall’altro. In quello precedentemente adibito a sezione cronici, erano stati sistemati “gli infetti”, lontani dal reparto operatorio e con personale di assistenza insufficiente; Mancava, con grave disagio, la soppressa sezione anatomo-patologica ed ogni reparto provvedeva alla meglio al proprio bisogno; I reparti di isolamento erano insufficienti, non disponevano di locali di osservazione e non avevano gli impianti igienici indispensabili; Mancava l’astanteria con tutta l’attrezzatura necessaria; Mancava una sezione Maternità staccata con tutte le sistemazioni necessarie; Mancava una sezione pediatrica; Urgeva il bisogno di sistemare la lavanderia per logoramento degli impianti esistenti, insieme all’acquisto di una stufa di disinfezione, al tempo non disponibile all’ospedale.
Anche provvedendo alla sistemazione di tutti i difetti elencati, che erano però solamente i più importanti, l’ospedale avrebbe conservato le deficienze della sua costruzione relative alla distribuzione interna degli edifici, rimanendo ancora sempre insufficiente rispetto all’allora bisogno di posti letto. Infatti, nel 1941 il numero delle presenze giornaliere si aggirava fra le 400-450 a cui andavano aggiunte 200-250 per il reparto psichiatrico. Il dr. Carravetta si chiese perciò giustamente se valesse veramente la pena di investire notevolissime somme finanziarie per l’ammodernamento di una struttura che non poteva assolutamente rispondere a tutte le esigenze della moderna cura medica. Propose quindi di pianificare piuttosto la spesa per risolvere il problema in maniera definitiva e rispondente ai criteri sanitari moderni con l’erezione di un nuovo ospedale, trasformando invece tutta la vecchia struttura in ospedale psichiatrico.
La presentata soluzione del problema, certamente onerosa e gravosa, fu indicata come l’unica soluzione degna di tale nome per risolvere la questione ospedaliera dell’Istria. Di tutti i progetti prospettati non se ne fece infine niente, anche per l’evidente problema di incontrare spese così ingenti in periodo di guerra che per l’Italia si stava facendo ogni giorno più gravoso.
A proposito del periodo bellico, o meglio del periodo successivo all’armistizio dell’8 settembre 1943, l’ospedale dovette rispondere a numerose situazioni di emergenza. Tali circostanze furono dovute in particolare al soccorso delle vittime rimaste coinvolte dai numerosi bombardamenti aerei Alleati che colpirono la città dal gennaio del 1944 al marzo del 1945.
Il rifugio antiaereo sotto all’ospedale civile fu, dal settembre del 1943, a disposizione unicamente del nosocomio che aveva bisogno di un ricovero proprio, considerato che il numero di rifugiandi in caso d’allarme ammontava a circa 800 persone, tra degenti e personale sanitario.
Il primo bombardamento aereo del Secondo conflitto mondiale su Pola fu eseguito il 9 gennaio 1944 e fu l’incursione con più vittime di tutta la guerra.
L’Ospedale Santorio, diretto al tempo dal prof. Caravetta, si dimostrò ben preparato allo stato d’emergenza a cui dovette rispondere, e riuscì a prestare cure immediate ai numerosi feriti, anche molto gravi, trasportati d’urgenza. Altri feriti furono invece trasportati all’Ospedale della Marina, dove pure si riuscì a rispondere prontamente ai soccorsi necessari.
I cadaveri non appartenenti a militari furono portati all’obitorio dell’ospedale, l’odierna patologia, dove vennero sistemati completamente nudi dappertutto nella sala, dove c’era posto e con il tavolo di marmo delle autopsie coperto di salme ammucchiate.
Con l’esodo dell’inverno 1947 ed il passaggio di Pola alla Jugoslavia nel settembre dello stesso anno, praticamente l’intero personale medico dell’ospedale lasciò la città insieme a gran parte del personale sanitario, come del resto fece, nel corso dei mesi precedenti, la stragrande maggioranza della popolazione cittadina. In effetti, non fu officiato alcun passaggio di consegne tra i medici italiani operanti fino ad allora ed il nuovo personale sanitario jugoslavo in quanto il personale medico e sanitario lasciò l’ospedale la sera del 15 settembre 1947, partendo insieme all’ultimo personale amministrativo italiano ed i rappresentanti del Governo Militare Alleato.
Il personale medico jugoslavo assunse la direzione dell’ospedale, praticamente deserto con soltanto un trentina di malati ricoverati, nel pomeriggio del giorno 20 settembre e ad accoglierli davanti all’entrata ci furono soltanto i pochi membri del personale rimasto, di cui nessuno faceva parte del personale medico o infermieristico.
Con il passaggio sotto l’amministrazione jugoslava per l’ospedale polese in effetti si chiuse definitivamente un capitolo mentre stava per iniziare una nuova pagina della storia sanitaria della città di Pola e dell’Istria in generale.


 
Dal passato al futuro... un viaggio nel tempo dei templi della salute
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