PALERMO Ospedale civico e Benfratelli ora Azienda di rilievo nazionale ed Alta Specializzazione civico di Cristina Benfratelli - Ospedali d'Italia

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PALERMO Ospedale civico e Benfratelli ora Azienda di rilievo nazionale ed Alta Specializzazione civico di Cristina Benfratelli

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La scheda deriva integralmente dal testo  “Ospedalità antica in Sicilia” del Prof. Mario Alberghina dell’Università di Catania che ben vent’anni fa ha svolto una ricerca su tutti gli Ospedali siciliani. Contattato non ha esitato, oltre a farmi dono del testo,  a darmi la completa disponibilità ad attingere al volume riportandone fedelmente i contenuti.
Voglio aggiungere che, fino ad ora, a parte la mia iniziativa di raccogliere la storia degli ospedali italiani, il volume del Prof. Alberghina è, insieme a quello di  Giuseppe Castelli Gli ospedali d'Italia del 1941, unico nel suo genere.


La supplica indirizzata al Senato di Palermo nel 1429 dal frate benedettino Giuliano Majali del convento di San Martino delle Scale, avviò la fondazione dell’Ospedale Grande e Nuovo della città.
Quando Fra Giuliano, cassinese, inviato dal re Alfonso d’Aragona, mise per la prima volta piede in Sicilia, la capitale dell’isola possedeva ventidue ospedali, “pichuli” e “malamenti sirvuti”, non certo sufficienti “pri tutti li ammalati e infermi di la dicta chitati”. Palermo aveva sempre avuto un minimo di organizzazione sanitaria, fin dalla dominazione araba. Tra l’altro, uno degli ospedali esistenti nel 1429, quello di San Giovanni dei Lebbrosi, era sorto presso una piccola chiesa eretta da Ruggero II, il Normanno, nell’accampamento del suo esercito occupatore.
Il 24 aprile 1429 Martino de Marinis, arcivescovo di Palermo, concesse il nulla osta per la fondazione dell’ospedale ed il 21 agosto re Alfonso accolse la richiesta. Nell’ultima decade dello stesso mese non c’erano, quindi, più ostacoli alla fondazione dell’Ospedale Grande e Nuovo. Una commissione scelse di accorpare in un’unica istituzione economica i piccoli ospedali di San Bartolomeo (alloggiava tisici e ulcerosi), San Giovanni dei Tartari, Santa Maria la Mazara, San Giovani Battista a Castellammare, San Dionisio l’Aeropagita, Santa Maria la Nova, Sant’Antonio, San Teodoro (riservato a tutti i pellegrini), Santa Maria la Raccomandata (solo per le pie donne), San Dionisio  (riservato  alla nobiltà), San Giovanni dei Lebbrosi in primo tempo era un lebbrosario, successivamente utilizzato per i malati di mente, per gli scabbiosi, per i tubercolotici,  il Filippone (sole donne).
La commissione lavorò alacremente; il 24 gennaio 1430 presentò un corpo di tredici capitoli nei quali tra l’altro si stabiliva che il patronato sul nuovo ospedale spettasse all’Universitas, la quale ne avrebbe affidato il governo a quattro cittadini palermitani di cui due in rappresentanza delle confraternite di San Bartolomeo e di San Giovanni dei Tartari.
L’11 novembre 1431, il papa Eugenio IV trasmetteva a Palermo una propria bolla con la quale si accordava la licentia erigendi unum hospitale solenne in civitate Panormi et incorporandi.
Di lì a poco l’arcivescovo di Palermo istituì una commissione deputata a scegliere l’ubicazione del nosocomio. Pochi giorni dopo il re fu informato che cum consilio fratis Iuliani Senatusque panormitani la scelta era caduta sul Palatium nobilis Matheus Sclafani, comitis Adrani, dictum lo Steri di lu Conti Mattheu, anche se palazzo Sclafani versava in pessime condizioni (era “inabitabile” e addirittura “discopertum”). Il consenso regio aprì la strada alla sistemazione del nosocomio nell’edificio, costruito nel 1330, appunto dal conte Matteo Sclafani.
L’amministrazione dell’Ospedale Grande e Nuovo entrò in possesso del Palazzo Sclafani nel 1435, quando l’edificio fu espropriato agli ultimi proprietari privati, peraltro, residenti in Spagna. Ma dovettero passare altri cinque anni perché il palazzo potesse essere adibito a nosocomio. Taluni suoi ambienti erano particolarmente umidi e poco arieggiati, nell’insieme era ipodimensionato rispetto ai nuovi bisogni di spedalità che si sommavano ai vecchi. Sicché continuarono ad essere utilizzati anche i locali di alcuni vecchi Ospedaletti. Il “San Bartolomeo” godette addirittura di speciale autonomia e proprio rettorato fino al 1825.
Ad esercitare per secoli la giurisdizione furono, però, i tribunali ecclesiastici. La vita interna del nosocomio fu invece regolata da appositi capitoli preparati da Fra Giuliano Majali ed emanati, nel numero di diciannove, il 5 gennaio 1442. In forza di queste norme ogni anno, il giorno di Pentecoste, l’Universitas di Palermo eleggeva tre rettori o priori con compiti di vigilanza e denuncia di ogni eventuale carenza amministrativa ed assistenziale. Spettava invece al Senato eleggere il tesoriere, l’ospedaliere, due medici (uno fisico ed uno chirurgo), il barbiere-salassatore-cavadenti, lo speziale, l’archivista, il dispensiere, il procuratore degli introiti, l’avvocato, il sacerdote che fungeva anche da notaio (per accogliere eventuali disposizioni testamentarie dei ricoverati a favore dell’ospedale), la balia dei trovatelli abbandonati nell’apposita “ruota” del nosocomio. Ad assistere i malati erano chiamati i componenti laici di tre congregazioni: dello Spirito Santo, della Madonna della Consolazione e della Madonna della Misericordia. Altra assistenza ai degenti venne, in seguito, assicurata dai gentiluomini della Congregazione della Carità i quali, ogni anno, nel giorno di San Bartolomeo, solevano vestirsi di sacco, portare ceste piene di camicie e di sfilacce, togliere con le proprie mani all’infermo la camicia e porgli la nuova, donando le sfilacce per le piaghe.
Durante la plurisecolare vita dell’Ospedale Grande e Nuovo, l’ordinamento interno fu più volte rivisitato per adeguarlo ai nuovi compiti che il mutare dei tempi imponeva. Già a metà del Quattrocento il nosocomio divenne un serio riferimento dei benefattori. Nel 1492 furono annessi l’Ospedale di San Giovanni dei Padri Teutonici con tutti i suoi ricoverati (lebbrosi, tisici e matti) e l’Abazia di Santo Spirito. Nel 1516, per volontà del papa Leone X furono ricondotti sotto l’egida dell’Ospedale Grande i monasteri cistercensi di Santo Spirito fuori le mura e di San Nicolò, rendite comprese.
Nel 1546, i Padri Cappuccini furono autorizzati dal Senato a costruire una loro infermeria in un’area limitrofa a Palazzo Sclafani ed in cambio dell’assistenza sanitaria, s’impegnavano a rifornire l’ospedale delle erbe medicinali che coltivavano nel loro “giardino dei semplici”. La loro infermeria fu in diverse occasioni utilizzata per far fronte a situazioni di eccezionale emergenza, come la peste nel 1624.
Nella seconda metà del Seicento i ricoverati dell’ospedale erano aumentati a dismisura ed il personale ausiliario scarseggiava. Per sopperire a questa carenza, nel 1654 si destinò un reparto del nosocomio, il cosiddetto Conservatorio, all’accoglimento delle trovatelle dai sette anni all’età da marito, al fine di utilizzarne l’opera per accudire ai pazzi ed alle meretrici affette da lue. Inoltre, le giovinette avevano il compito di preparare il pane e la pasta per tutti i degenti dell’ospedale. In che condizioni fossero costrette a vivere queste sventurate si evince chiaramente da una indignata protesta elevata nel 1789 dal Presidente onorario del Tribunale del Real Patrimonio: sono le figliole ripartite in detti cameroni, o per meglio dire “tetti morti” volgarmente chiamati, a guisa di infermeria situati con letti vicini in gran numero ed in angusto loco, in modo che il numero dei fiati non le può fare esalare che un’aria pestifera. Non è inferiore l’indecenza di come sono tenuti i cameroni suddetti, nei quali vi abitano le stesse figliole, e con le loro gatte e le galline che per proprio guadagno trattengono, e che producono delle grandi immondezze. Altro personale ausiliario cominciò ad essere reclutato, sempre nel Seicento, dalle file dei condannati a morte o a molti anni di galera, e soprattutto dalle schiere di magere e fattucchiere giudicate per stregoneria dal Tribunale del Sant’Uffizio e condannate ad essere muradas, a vita o per alcuni anni, nei locali dell’Ospedale Grande e Nuovo.
Nel 1790, le trovatelle furono trasferite nel grande Albergo delle Povere fuori Porta Nuova, fatto costruire nel 1732 da Carlo d’Asburgo e già denominato Real Albergo dei Poveri. All’Ospedale Grande e Nuovo ne rimasero comunque alcune che continuarono a disimpegnare i compiti tradizionali con un piccolo compenso.
Con dispaccio regio del 3 settembre 1805 l’Accademia degli Studi di Palermo fu trasformata in vera e propria Università. Di conseguenza l’insegnamento di medicina, che da almeno cinquanta anni era ospitato nei locali dell’ospedale acquisì connotati di autentica scientificità.
Nel 1825 Francesco I di Borbone fece costruire la “Real Casa dei Matti” dove furono trasferiti i malati di mente. Il 4 agosto dello stesso anno il sovrano affrancava l’Ospedale Grande e Nuovo dal Consiglio degli Ospizi. Il 15 novembre decretava la trasformazione del San Bartolomeo in Conservatorio di Santo Spirito per i bimbi orfani. Gli ammalati che vi erano ricoverati furono trasferiti all’Ospedale Grande. Finì così la storia dell’Ospedale di San Bartolomeo le cui origini risalgono al secolo XIII.
All’inizio degli anni Trenta dell’800 si cominciò a parlare di trasferire le degenti affette da “lue”, o per meglio dire le donne del dipartimento meretricio dell’Ospedale Grande, in un apposito sifilocomio. Il progetto si concretizzò compiutamente negli anni Cinquanta quando fu istituito un Ospedale meretricio ospitato nei locali del deposito di mendicità del complesso dello Spasimo. La struttura sanitaria a partire dal 1888 passò in carico all'Ospedale Civico che, con la dizione Ospedale "Principe Umberto", lo ha detenuto per le proprie attività di cronicario geriatrico sino al 1986.
In quegli stessi anni dell'ottocento il glorioso ospedale cominciò a chiamarsi ufficialmente Civico, denominazione che si riscontra già in documenti degli anni Trenta forse per sottolineare che esso ormai dipendeva esclusivamente dall’amministrazione civica di Palermo. Nella primavera del 1851 fu istituita una clinica erpetica nei locali della casa gesuitica di San Francesco Saverio. In seguito ai moti del ’48, Palazzo Sclafani fu dichiarato bene demaniale ed adibito a caserma militare nel 1852. L’Ospedale Civico fu trasferito al San Saverio nel 1853. Successivamente, in esecuzione del regio decreto del 6 marzo 1864, il Ministero dell’Interno occupò temporaneamente il monastero benedettino della Concezione e lo assegnò all’Ospedale Civico per impiantarvi le cliniche medica, chirurgica, ostetrica e oftalmica. Nel 1866, nei locali del San Saverio fu istituita la clinica pediatrica, con trentadue posti letto. L’anno dopo fu stipulata una convenzione tra l’Università e l’Ospedale Civico per il mantenimento delle cliniche
Nei primi anni Settanta dell’800, la storia del glorioso nosocomio si fuse con quella dell’Ospedale Fatebenefratelli.
Una commissione mista (comunale, provinciale, del Genio Civile) nel 1897 suggeriva di costruire "di sana pianta, possibilmente alla periferia della città, un nuovo grande Ospedale della capienza di 500 letti”. Come presidente dell’importante istituzione ospedaliera l’imprenditore Ignazio Florio riuscì a fare i passi decisivi per l’avvio a soluzione dell’edilizia ospedaliera a Palermo. Il 22 luglio 1907, Florio firmava l’atto notarile con cui l’Ospedale Civico e Benfratelli acquistava un’area di quattordici ettari su cui tuttora fanno mostra di sé l’Ospedale Civico ed il Policlinico. All’assetto definitivo del Civico e del Policlinico "Paolo Giaccone" si arrivò per approssimazione successiva, negli anni Trenta, parallelamente all’abbandono dei locali (ormai fatiscenti) degli ospedali dello Spasimo, della Concezione e del San Saverio. Quest’ultimo è stato, fra l’altro, raso al suolo da un’incursione aerea l’8 settembre 1943.

 
Dal passato al futuro... un viaggio nel tempo dei templi della salute
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