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PISTOIA Spedali Riuniti

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Con motuproprio granducale dell’11 settembre 1784 che sanciva l’unione patrimoniale dell’ospedale stesso con l’orfanotrofio di san Gregorio, ebbero vita i Regi Spedali Riuniti di Pistoia. Con rescritto di quello stesso giorno venne approvato il Regolamento del nuovo istituto, che era stato redatto dal senatore Mario Covoni, commissario dell’Ospedale di Santa Maria Nuova, per cui aveva già redatto un regolamento, e che era stato precedentemente incaricato dallo stesso Granduca di riformare i due istituti. Immaginando una struttura ad albero, il Covoni pose alla base la direzione generale del luogo pio, affidata ad un commissario o soprintendente eletto dal Granduca, con stipendio di 200 scudi al mese. Da questo si dipartivano quattro rami principali. Il primo, concernente la direzione economica del patrimonio, prevedeva l’ordinamento dello Scrittoio, mediante un archivista ed un custode, e l’amministrazione contabile tenuta da un computista, un aiuto computista ed un cassiere. Il secondo stabiliva compiti e doveri di impiegati, personale medico e chirurgico, speziali, inservienti e oblate, nonché i metodi di cura, assistenza e vigilanza e tutto ciò che regolava la vita interna dell’istituto sia in ambito spirituale che temporale. Il terzo ramo aveva per oggetto la scuola medico-chirurgica per l’istruzione dei giovani convittori e apprendisti, diretta da un presidente agli studi coadiuvato da lettori di medicina pratica, istituzioni chirurgiche, anatomia e ostetricia. L’ultimo e quarto ramo riguardava il regolamento interno della famiglia ripartito in spirituale ed economico. Allo spirituale erano preposti il cappellano curato e catechista e il custode della chiesa interna all’Ospedale. A quello economico presiedeva il maestro di casa che dirigeva l’economia minuta del Conservatorio delle Oblate e di quello dei Trovatelli, e sovrintendeva al servizio di guardaroba, cantina, dispensa, castalderia, refettorio e dormitorio. Il quartiere degli uomini era provvisto di 68 letti di cui 8, compresi nella camera detta Nobile, riservati a nobili, sacerdoti e giovani studenti. Vi erano poi una camera per le unzioni mercuriali, una per le operazioni chirurgiche, una per i malati in osservazione ed una per i convalescenti con annessi locali ad uso di spogliatoio, guardaroba e custodia degli strumenti ed utensili. Il quartiere delle donne consisteva in una camerata principale, detta dell’Assunta, con 58 letti, e due camere secondarie di 12 e 16 letti dette di S. Maria Maddalena e S. Elisabetta. Vi era poi una camera per le deliranti, una per le gravide malate e convalescenti, una per le malate in osservazione con locali annessi come per il reparto degli uomini. L’Ospedale comprendeva inoltre locali ad uso di spezieria, scuola e cucina e le abitazioni per il soprintendente, il maestro di casa, i medici, i custodi e le guardie. La parte successiva del regolamento del Covoni riguardava l’organizzazione dell’ospedale dei Trovatelli. Un quartiere era riservato ai lattanti ed alle balie, fornita di culle e di tutto l’occorrente, adiacente ad esso era una stanza adibita a fasciatoio con focolare sempre acceso ed acqua corrente ed un loggiato per il passeggio delle balie. Nella muraglia esterna si trovava la ruota dotata di una campanello che suonava al girare della ruota stessa avvisando la direttrice. Un altro quartiere era destinato ai bambini dallo svezzamento fino ai cinque anni. Appositi locali erano riservati ad uso della direttrice e delle persone in servizio ed a refettorio. Un quartiere era adibito a conservatorio per le fanciulle di età superiore ai cinque anni ed era gestito da una di esse con il titolo di priora. I bambini giungevano in ospedale attraverso la ruota, inviati dai giusdicenti del territorio pistoiese o partoriti in ospedale dalle gravide occulte. Una volta ammessi i bambini erano affidati alla balia e, se privi di fede di battesimo, venivano battezzati in San Giovanni. In questo caso il nome era imposto dall’archivista che aveva anche il compito di registrare le ammissioni. La lettera ed il numero corrispondenti venivano poi riportati su di una medaglietta apposta al collo di ciascun bambino. Le balie, che percepivano uno stipendio di uno scudo al mese, allattavano i bambini fino ai 30 mesi e si occupavano anche di lavarli e fasciarli. Al Soprintendente spettava ogni decisione riguardo alla qualità e quantità del cibo, ed ai medicamenti e cure mediche da somministrare ai lattanti ed alle balie. I lattanti potevano anche essere inviati a balie esterne, stipendiate in base ad apposite tabelle, spesso in famiglie che abitavano in campagna. Tali balie dovevano presentarsi in ospedale munite di un certificato del parroco che ne attestava sia la condotta morale che la possibilità di allattare. Potevano essere inviati presso famiglie che ne facessero richiesta anche bambini più grandi, impiegati soprattutto nel servizio domestico o in qualità di garzoni e aiutanti, sempre dietro attestazione di buona condotta del richiedente da parte del parroco. I dati della famiglia affidataria venivano annotati dall’archivista in un apposito registro, e la loro condotta nei confronti dei bambini era soggetta a controlli da parte dei giusdicenti locali su richiesta del Commissario. In caso di morte del bambino affidato, spettava al parroco informarne l’ospedale Spedali Riuniti compilando la fede di morte in cui si riportavano data e causa del decesso. In questo caso la famiglia era tenuta a restituire al guardaroba dell’ospedale tutti gli effetti personali del bambino. I bambini inviati fuori dall’ospedale vi venivano ricondotti in caso di cattiva custodia o educazione o in caso di malattia. La riammissione era riportata nel registro generale degli esposti. Se riammessi per malattia, una volta ristabiliti potevano essere riconsegnati alla famiglia affidataria o ad altra che ne avesse fatto richiesta. Potevano essere restituiti alle famiglie affidatarie anche quei bambini che fossero stati dichiarati malati incurabili o cronici, ma in questo caso le quote e gli stipendi spettanti alle famiglie stesse sarebbero stati accresciuti o prolungati. Al compimento del dodicesimo anno per i ragazzi ed al sedicesimo per le ragazze, le famiglie affidatarie non avevano più diritto a ricevere il vestiario e gli stipendi. I gettatelli che rimanevano in ospedale venivano invece mantenuti fino al diciottesimo anno i maschi e fino a definitiva collocazione le femmine. Al momento del licenziamento le ragazze, sia che andassero spose sia che fossero date in adozione o poste a servizio, avevano diritto ad una dote di 50 scudi. Le ragazze, finché rimanevano in ospedale, erano tenute a prestare i servizi giornalieri di cucina, infermeria e bucato sia per i malati che per i gettatelli che per la famiglia dell’ospedale. Alla direttrice ed al cappuccino spettava l’istruzione religiosa dei bambini. Il vitto veniva fornito in base a tabelle dietetiche che tenevano conto dell’età dei bambini. Il commissario eleggeva la direttrice, che avrebbe dovuto avere competenze in ambito ostetrico, con i compiti di ispettrice dei quartieri delle balie e degli esposti, tranne per le fanciulle di età superiore ai sette anni per le quali esisteva una specifica superiora. La direttrice vigilava sull’esecuzione degli ordini, visitava almeno due volte ogni giorno i lattanti riferendo al Sovrintendente, all’Infermiere ed ai medici sul loro stato di salute; esaminava le donne aspiranti al ruolo di balie, sia interne che esterne, presentandole al sovrintendente per l’approvazione; sorvegliava i bambini e l’operato delle inservienti cui erano affidati; riceveva i medicamenti dalla spezieria dispensandoli alle balie ed ai bambini; sorvegliava sulla moralità e sul comportamento di tutti coloro che prestavano servizio in ospedale; controllava che nessuno potesse entrare o uscire senza il permesso del sovrintendente; teneva in consegna il guardaroba. Alla direttrice era corrisposto uno stipendio di sei scudi al mese oltre al vitto ed all’alloggio in una camera ammobiliata. La direttrice era coadiuvata da due aiutanti, elette dal Spedali Riuniti 258 commissario, dette la ‘vedova dei lattanti’ e la ‘vedova dei divezzi’, che percepivano ciascuna uno stipendio di cinque scudi ed una lira al mese. In caso di particolare affluenza di bambini il commissario poteva ricorrere all’aiuto di ragazze gettatelle, destinandole provvisoriamente all’assistenza e alla custodia delle creature. Una parte a se stante del regolamento riguardava la scuola che comprendeva gli insegnamenti di medicina pratica, istituzioni chirurgiche, anatomia, casi pratici, operazioni ed ostetricia. I giovani ammessi ai corsi erano distinti in due classi, la prima detta di praticanti esterni e l’altra di praticanti dell’ospedale. Sia gli uni che gli altri erano giovani laureati che seguivano tali corsi per accrescere la propria esperienza. Prima dell’ammissione gli aspiranti allievi erano sottoposti ad un esame, condotto dal sovrintendente ed alla presenza del commissario, in cui erano verificate le loro conoscenze di latino, geometria e dialettica. I praticanti, sia esterni che interni, erano poi ripartiti in tre classi. Nella prima, detta dei ‘novizi’, si impartivano lezioni di anatomia e istituzioni chirurgiche per almeno due anni. Nella seconda, detta degli ‘anziani’, i praticanti seguivano per ulteriori due anni lezioni di chirurgia pratica e ostetricia con esercitazioni di anatomia. Nella terza classe, detta dei ‘giovani chirurghi’, e della durata di altri due anni, si proseguivano le lezioni di chirurgia e ostetricia ma si dava maggior spazio alle esercitazioni pratiche. Per poter passare da una classe all’altra e per poter accedere ai posti di assistenti, gli allievi dovevano superare alcuni esami. Le Oblate, addette al servizio delle inferme, erano considerate a tutti gli effetti parte della famiglia ospedaliera. Vivevano in comune nell’annesso conservatorio, non erano sottoposte ad alcun voto od istituto religioso ed erano mantenute a spese degli Spedali. Il loro numero non doveva essere maggiore di 19. Le Oblate erano dirette da una priora e coadiuvate nell’assistenza da otto serventi secolari dirette da una vedova col titolo di caporala. A seguito dell’unificazione dei due istituti, si procedette ad un accertamento della consistenza patrimoniale. Per quanto riguardava San Gregorio esso venne stimato in scudi 303.618, compresi i crediti infruttiferi, con rendita annua pari a scudi 6148. Nel 1785 si procedette alla liquidazione del debito accumulato verso S. Maria Nuova, ammontante a scudi 6358. In questi stessi anni vennero emessi diversi motupropri a favore degli Spedali, anche se il maggior vantaggio si ottenne grazie alla legge sulle manimorte dell’11 febbraio 1751 . Le balie e i lattanti di San Gregorio vennero trasferiti nella nuova fabbrica, posta in via del Ceppo il 21 aprile 1786 e l’antica sede venduta al Patrimonio Ecclesiastico. Sotto il granducato di Ferdinando III, l’opera riformatrice del padre non venne proseguita. Con Motuproprio dell’8 febbraio 1792 Ferdinando nominò una commissione per riesaminare i regolamenti degli ospedali e porre rimedio alle eccessive uscite. A seguito dei lavori della Commissione, con i motupropri del 6 giugno e del 13 agosto 1793 si giunse alla modifica del regolamento in ambito economico, disciplinare, assistenziale e scolastico. Si procedette alla riduzione degli stipendi ed alla soppressione di alcuni incarichi, sia del personale impiegatizio che medico, l’assistenza spirituale fu tolta ai Cappuccini ed affidata ai frati minori osservanti di Giaccherino, le cattedre furono ridotte a due ed il numero degli allievi passò ad otto. Per sovvenire alla carenza di assegnamenti si procedette all’incameramento dei resti del Patrimonio Ecclesiastico. Durante il governo francese, dal 1807 al 1814, a causa della cattiva gestione del patrimonio, dati i continui balzelli e l’impossibilità di riscuotere diverse rendite, le condizioni economiche dell’ospedale andarono peggiorando. La situazione fu aggravata anche dal fatto che furono posti a carico dell’ospedale i militari, gli incurabili e le prostitute. Ripristinati i precedenti ordinamenti, Ferdinando III con motuproprio del 21 gennaio 1816 rinunziò ai beni provenienti dalle soppresse corporazioni religiose già facenti parte del patrimonio della Corona, assegnandoli a vantaggio degli ospedali ed agli istituti di educazione ed istruzione. In base a tale riforma spettarono agli Spedali Riuniti circa £ 70.000. Con notificazione del 4 ottobre 1816 vennero decretate a vantaggio degli enti assistenziali gli introiti derivanti da alcuni proventi e tasse. Al fine di rimediare agli squilibri finanziari degli ospedali e luoghi pii del Granducato, con motuproprio del 2 settembre 1816 e successiva notificazione del 19 settembre, il Granduca nominò una speciale Deputazione Centrale, coadiuvata da deputazioni locali, che produsse un rapporto sullo stato degli Ospedali il 3 ottobre 1818 . Risale al 28 febbraio 1818 il nuovo codice amministrativo per gli ospedali del Granducato, che tuttavia rispettava il precedente regolamento del 1784. In particolare era posta una distinzione fra gli Spedali Regi (quelli di Firenze, Siena, Pisa, Pistoia e Livorno) e quelli Comunitativi; negli Spedali Regi il commissario o rettore era nominato direttamente dal granduca e vi si ricevevano casi di malattie rare o di particolari operazioni chirurgiche, qualunque fosse la provenienza del malato; inoltre vi erano ammessi i giovani praticanti e tali ospedali erano sottoposti alla tutela amministrativa della Segreteria di Stato. Tutti gli ospedali erano obbligati a prestare cure gratuite ai miserabili ammalati di malattie curabili. Tra le norme generali si ricorda l’istituzione dei letti paganti, semipaganti e gratuiti, nella quantità permessa dalla fabbrica e dallo stato economico di ciascun ospedale e secondo precise modalità di ammissione; i malati paganti restavano a carico di particolari o della comunità, mentre i cosiddetti gratuiti, stabiliti in proporzione alle rendite, erano a carico dell’ospedale o della stessa comunità in caso di eccedenza. Al momento dell’ammissione dei malati a carico della comunità, il commissario doveva avvisare il gonfaloniere per ricevere il pagamento delle indennità. Negli Spedali Regi dovevano esservi dei letti riservati a casi di malattie rare o a particolari casi chirurgici, per favorire lo studio dei giovani praticanti di medicina e chirurgia. Le ammissioni avvenivano direttamente solo in caso di urgenza, altrimenti occorrevano, per i pazienti paganti, il riconoscimento di causa giusta o urgente, rilasciato dal commissario, mentre per quelli gratuiti o semipaganti, il certificato di miserabilità redatto dal parroco. Il riconoscimento della malattia per il ricovero veniva comunque riconosciuto da un medico dell’ospedale stesso. I ruoli dei malati paganti e semipaganti dovevano essere tenuti in registri separati. Le ammissioni e le permanenze dei malati in ospedale erano poste sotto la sorveglianza del commissario o rettore, che potevano chiedere un consulto medico per i casi dubbi. Vennero stabilite norme generali anche per l’acquisto e la fornitura dei generi e dei servizi di consumo. In ambito contabile si stabilì la redazione dei ruoli trimestrali dei debitori, dei bilanci preventivi e dei conti consuntivi; inoltre ogni anno doveva essere presentato al Granduca un rapporto generale sull’andamento dell’ospedale. Il 28 febbraio 1818 furono redatte le istruzioni per gli ospedali degli esposti nelle quali si stabilì che potessero essere ammessi solo gli illegittimi introdotti attraverso la ruota, salvo eccezioni per estrema e attestata miserabilità ulteriormente specificate, con circolare del 6 luglio 1820. Rimanevano a carico degli ospedali i maschi fino ai 14 anni e le femmine fino ai 18, età alle quali si procedeva a collocarli a lavorare presso qualche stabilimento. Rimanevano comunque sotto l’autorità tutelare del commissario i maschi fino ai 21 e le femmine fino ai 25 anni, ad eccezione degli inabili e dei malati cronici. Per incentivare gli affidamenti prolungati vennero fissati dei premi per le famiglie che avessero tenuto i ragazzi fino al cessare della tutela da parte degli ospedali. Con circolare del 15 aprile 1818 viene definitivamente stabilito che gli ospedali degli infermi non erano tenuti al mantenimento dei malati incarcerati. Nel 1819, con circolare del 22 febbraio, vennero fissate le attribuzioni della Deputazione centrale sopra gli Spedali comprendenti il controllo sulla disciplina interna ed il controllo dell’amministrazione ordinaria. Risalgono al 5 giugno del 1822 le disposizioni circa la conservazione del siero per le vaccinazioni di vaiolo. Il motuproprio del 6 luglio 1833, insieme alla soppressione della Deputazione centrale, ridefinì le norme generali per gli ospedali del Granducato, sulla base del regolamento precedente. Nel 1841 venne creato a Firenze un soprintendente di Sanità medica con il compito di sorvegliare e dirigere tutti gli ospedali di infermi del Granducato in ambito sanitario, medico-chirurgico e farmaceutico, cui seguì il regolamento del 27 luglio dello stesso anno. Tale ufficio, che abolì la distinzione tra ospedali regi e comunitativi, fu soppresso con decreto del 6 novembre 1851. Contemporaneamente furono emanate delle istruzioni relative al servizio sanitario con le quali la direzione del servizio sanitario ed economico era affidata ai commissari e rettori degli ospedali. I commissari erano tenuti a presentare alla Prefettura e ai governi locali un rapporto bimestrale, ed a compilare una statistica semestrale delle malattie delle operazioni eseguite. Tra il 1842 ed il 1844, in seguito alla riforma degli studi universitari e all’ordinamento per la pratica della medicina e chirurgia dell’arcispedale di Santa Maria Nuova di Firenze, l’ospedale di Pistoia perdette definitivamente la scuola medica. Sempre allo scopo di sopperire alla gravosa situazione economica in cui versavano gli ospedali del Granducato, con motuproprio granducale del 24 aprile 1845, venne stabilito che 40 Leggi del Granducato, tomo V, p.te prima, pp. 103-104. 41 Leggi del Granducato, tomo VI, p.te prima, pp. 33-34. 42 Leggi del Granducato, tomo XX, p.te seconda, pp. 18-27. 43 Motuproprio del 22 febbraio 1841. 44 Si vedano in proposito i motupropri del 17 settembre 1842 e 3 dicembre 1844. Spedali Riuniti 262 tutti i livelli spettanti in dominio diretto agli Spedali Regi potessero affrancarsi pagando il capitale del canone con in aggiunta un interesse del 4%. Nonostante i provvedimenti presi, gli ospedali continuarono a trovarsi in pessime condizioni, tanto che i commissari, ormai arbitri assoluti dell’amministrazione, compilavano i bilanci preventivi anche con molto ritardo, a volte anche ad anno nuovo, senza curarsi della loro approvazione e trascurando la presentazione dei conti morali. Le spese erano andate aumentando sia per il mutato regime dietetico degli infermi sia per il sempre maggiore acquisto dei medicamenti. Di pari passo, dato soprattutto l’aumento della popolazione, era andato aumentando anche il numero dei gettatelli e dei ricoverati. Per cercare di risolvere tale situazione, aggravata dai rivolgimenti politici degli anni 1848-49 e dalla successiva occupazione austriaca, con risoluzione del 14 dicembre 1850 fu aumentata di un quattrino la tassa già imposta sopra le giocate del lotto e ciascuna vincita fu sottoposta ad una tassa straordinaria del 10%. Pur apportando qualche beneficio, tale risoluzione non riuscì a risolvere la situazione patrimoniale degli ospedali, aggravata ulteriormente dall’epidemia di colera che colpì il granducato negli anni 1854-55, tanto che si rese ben presto necessaria una seconda risoluzione, del 10 aprile 1856, che liquidò i debiti arretrati. Con il primo gennaio 1863 gli Spedali Riuniti di Pistoia vennero assoggettati alla Legge sulle Opere Pie del 3 agosto 1862 e relativo regolamento approvato con Regio Decreto del 27 novembre di quello stesso anno. A causa della soppressione della Cassa dei fondi generali, gli Spedali Riuniti nel 1864 ricevettero per l’ultima volta il sussidio governativo di £.36.000, e da quel momento la vita economica dell’Istituto si basò esclusivamente sulle proprie risorse patrimoniali ed al concorso dei comuni per il rimborso delle spedalità gratuite dei loro cittadini. Con deliberazione del 30 dicembre 1864, il Consiglio Comunale di Pistoia, sull’esempio di quanto fatto dal comune di Firenze nei confronti dell’Ospedale di S. Maria Nuova, dichiarava l’ospedale di carattere Circondariale per i 14 comuni del territorio della Sotto-Prefettura di Pistoia. Il Comune inoltre avrebbe coperto con gli assegnamenti comunali la parte spettante, in proporzione ai malati miserabili ricoverati in ciascun anno, il deficit che si verificherà d’ora in avanti nello Spedale medesimo . Nonostante le proteste avanzate dal Consiglio Comunale successivo, tale deliberazione venne di fatto applicata e, anche se la rinuncia alla spedalità gratuita risultò gravosa per il Comune di Pistoia, l’ospedale ne ricevette un grande beneficio. Tuttavia, ancora negli anni successivi, le condizioni economiche dell’ente andarono peggiorando a causa del crescente numero di ricoveri, della cessazione di alcuni proventi (la tassa di privata tumulazione, il pagamento delle tasse di ricchezza mobile e di mano morta) e di alcune spese straordinarie, tra le quali la costruzione dei lavatoi. Incisero sulle finanze dell’ospedale, anche se in misura minore, anche i salari che, precedentemente molto bassi ed inadeguati al costo della vita, dal 1865 al 1869 subirono rilevanti incrementi, seguendo l’andamento dei principali generi di consumo. Con deliberazioni del 20 novembre 1874 e del 10 settembre 1875, la Deputazione fiorentina ingiunse al Commissario degli Spedali Riuniti di uniformarsi alle disposizioni della Legge sulle Opere Pie, procedendo alla separazione dei patrimoni dei due Spedali. Tale ingiunzione provocò non pochi problemi alla ragioneria, che fino a quel momento li aveva amministrati come se si fosse trattato di un patrimonio unico. Le operazioni di separazione si conclusero il 25 maggio dell’anno successivo. La supervisione dell’amministrazione dell’Ospedale venne affidata al Consiglio Comunale di Pistoia, che con deliberazioni del 21 luglio 1880 e 3 e 7 marzo 1881 procedette alla riforma degli antichi Statuti. La principale modifica apportata dal nuovo Statuto riguardava l’amministrazione stessa che venne affidata ad un Consiglio di cinque membri di cui tre eletti dal Consiglio Comunale e gli altri due dai sindaci dei comuni del circondario  Il servizio medico chirurgico, che prima del 1865 gravava il bilancio di £1176 raggiunse la cifra di £ 3997,20; i salari dei serventi passarono da 20.000 a 29.000 lire.

anche SIUSA  riporta dei dati: https://siusa.archivi.beniculturali.it/cgi-bin/pagina.pl?TipoPag=prodente&Chiave=32387


 
Dal passato al futuro... un viaggio nel tempo dei templi della salute
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