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ALBENGA Santa Maria di Misericordia

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Relativamente all’Ospedale di Albenga, le uniche notizie le ho trovate nel testo :
Ceramiche da farmacia e farmacisti in Albenga. L’Ospedale di Santa Maria di Misericordia di Josepha Costa Restagno, Antonio Zencovich, Dede Restagno
Editore: Ist. Studi Liguri  Data di Pubblicazione: 2003 EAN: 9788886796200 ISBN: 888679620X .
L’opera tratta prevalentemente l’aspetto della farmacia ma contiene diversi “passaggi” storici che varrebbe la pena di approfondire.
Ringrazio l’Istituto Studi Liguri ( Istituto Internazionale di Studi Liguri (iisl.it) )per la collaborazione e condivisione nella stesura della scheda CHE DERIVA INTEGRALMENTE DAL TESTO CITATO

Il 28 marzo 1558 si tiene in Albenga, nel convento di San Francesco, una riunione destinata ad avere una grande importanza nella vita della città: l'ambiente è semplice, una delle camere di residenza dei frati; i convenuti, persone qualificate nella società cittadina, hanno uno scopo ben chiaro: sono i rappresentanti dei confratelli degli oratori di Santa Croce, di Santa Caterina vergine e martire, di San Bartolomeo apostolo e di Santa Maria Maddalena: essi, con rogito notarile, stabiliscono solennemente l'unione degli oratori in un'unica “casatia”, scegliendo come sede quella di Santa Maria Maddalena, la più capace e comoda, e il titolo di Santa Maria di Misericordia; e, venendo a disporre con l'unione dei loro beni di un cospicuo patrimonio, decretano che, adempiuti gli obblighi istituzionali, le rendite siano destinate al mantenimento di un unico ospedale, con sede presso quello della “casatia” di Santa Croce: anch'esso assumerà il titolo di Santa Maria di Misericordia!
La tradizione dell'assistenza in Albenga era assai antica; sede di municipium in età romana, di diocesi almeno dal V secolo, il suo ruolo di capoluogo e la sua identità urbana, mai venuti meno nell'alto e nel pieno medioevo, avevano certo dato luogo, qui come in tutte le antiche città, al fiorire di ospizi e ospedali, ma risulta quasi impossibile, anche per la mancanza in Albenga della documentazione notarile medievale, stabilire l'origine di molti degli istituti assistenziali conosciuti o solo citati nel basso medioevo, che sono circa quindici dal XII al XV secolo. Si trattava, qui come altrove, di piccole case che accoglievano i bisognosi di assistenza, in primo luogo i pellegrini e quelli che oggi definiremmo "senza tetto” case che trovavano spesso la loro ideale posizione lungo le strade, nelle immediate vicinanze e all'interno degli agglomerati urbani. Cosi doveva essere l'ospedale di cui si ha la più antica menzione ad Albenga, quell'hospitale de pauperi già esistente nel 1175.
Le citazioni di altri ospedali sono più tarde e sempre sporadiche, e nemmeno conosciamo gli esatti termini del loro impegno assistenziale. In città, la congregazione di Santa Maria, legata al monastero di San Calocero, amministrava probabilmente più di un ospedale, uno dei quali era dedicato ad accogliere pauperes, peregrini et romipedes. Alla congregazione di Santa Maria Maddalena il vescovo Gilberto Fieschi affidava il 7 gennaio 1384 l'incarico di gestire un ospedale; vi erano anche l'ospedale dedicato a Sant'Antonio di Vienne e le caritas di Santa Croce, di San Bartolomeo e di San Bernardo che nel Quattrocento avevano ciascuna una domus per l'accoglienza; per molte di queste case è probabile l'origine dai movimenti laicali, nei quali l'aspetto assistenziale era molto vivo e che nel basso medioevo confluirono spesso nelle "casacce". Ancora nel basso medioevo, fuori le mura sud, si trovavano la chiesa con piccolo ospedale di San Clemente, dei cavalieri di San Giovanni o gerosolimitani, sorta sui resti di una chiesa ben più antica, e la domus o ospedale di San Lazzaro, dedicato al ricovero e alla cura dei lebbrosi, gestito autonomamente dai malati e da loro “sindici” ma controllato dall'autorità cittadina.
Un enumerazione ufficiale degli ospedali della città è fornita dagli Statuti di Albenga del 1288, che menzionano le istituzioni assistenziali assegnatarie di esenzioni e facilitazioni da parte del comune: sono gli ospedali di Santa Maria de Ponte, della congregazione di Santa Maria di San Clemente o San Giovanni, di San Lazzaro, della caritas marinariorum, infine della caritas callegariorum seu scopheriorum con il titolo dei santi Crispino e Crispiniano.
Quest'ultima era la corporazione più numerosa della città, che raggruppava conciatori e calzolai: essa disponeva di un cospicuo patrimonio, incrementato da donazioni e lasciti testamentari e oculatamente amministrato, ed era gestita dal 1373 con propri statuti: le rendite della caritas erano finalizzate sia a scopi di culto e di mutuo aiuto tra i soci, sia alla gestione dell'hospitale callegariorum, nel medioevo il più importante della città.  Nella seconda metà del Trecento un munifico intervento diede all'ospedale una nuova sede: Giovanni de Prealata, della famiglia signorile di Prelà, il 2 gennaio 1389 faceva dono alla caritas di una casa; subito ristrutturala per adattarla a ospedale, ne rimarrà la sede fino ai nostri giorni. Ancora altri ospizi erano legati ad artes: la caritas dei marinai posta sotto il patrocinio di Sant'Erasmo aveva un ospedale lungo la via che conduceva al mare: non è invece citata, ma è possibile, la gestione di case di ospitalità da parte della caritas di San Giuliano dei falegnami e di quella intitolata ai santi Eligio e Ampelio, protettori di fabbri e orefici.
L'ospedale di Santa Maria di Misericordia dimostra ben presto una notevole operosità: la prima documentazione conservata è relativa all'amministrazione dei beni, di entità non indifferente, ed è per affermare questa realtà che gli amministratori stabiliscono di radunare in copia autentica gli atti fondamentali relativi all'istituzione e ai suoi sviluppi successivi. Mancano invece i documenti sull'attività ospedaliera vera e propria nel primo cinquantennio di vita dell'istituzione.
L'ospedale della caritas callegariorum che sullo scorcio del medioevo dispone di un patrimonio ingente, rimane invece separato dalla nuova istituzione; separazione che afferma la volontà di gestirsi in modo autonomo, anche per le origini diverse delle due istituzioni, e, per l'ospedale più antico, forse l'orgoglio per le proprie tradizioni; ma che si risolverà, nei tempi lunghi, in una marcata progressiva decadenza;  la gestione dell'ospedale dei calzolai dimostra di non aver saputo adeguarsi a forme di assistenza più moderne, anche se è evidente che ciò si verifica soprattutto per il declino numerico ed economico della corporazione.
Ai vertici dell'oratorio di Santa Maria di Misericordia sono posti, a partire dalla fondazione, un Priore, un Sottopriore e quattro consiglieri: due Protettori dell'ospedale, uno per ciascun Ordine cittadino, saranno in seguito nominati annualmente con il metodo dell'estrazione a sorte dai “saculi” preparati l'anno precedente: da un esame sommario dei nomi degli eletti alle cariche è evidente che larghi strati della cittadinanza erano rappresentati tra i confratelli della casatia. Questa partecipazione è resa più viva e numerosa in seguito al-
l'unione della confraternita di Nostra Signora di Misericordia con quella della Santissima Trinità, che riuniva almeno a partire dal Quattrocento i mercatores cittadini.
Le incombenze dei Protettori sono rivolte alla gestione dell'ospedale attuando le cure ospedaliere, secondo lo standard del tempo: i ricoverati ricevono un letto ben fornito, cibo, cure mediche e medicamenti dall'ospitaliere o ospitaliera;  gli obblighi di questi responsabili dell'andamento della casa erano stabiliti con un contratto; ad esempio il 28 aprile 1649, dopo la morte dell'ospitaliere Giovanni Villa, si tiene una specie di gara d'appalto e i Protettori stipulano un accordo con chi subentra: Gio Battista Allegro si impegna a nutrire presso di se i due esposti che si trovano in ospedale, a curare gli ammalati, far lavare la biancheria a sue spese, non usandone in proprio, utilizzare per sé solo un letto, far la minestra degli ammalati e procurare il combustibile per cuocerla, compiere le altre servitù necessarie: la retribuzione è di lire 41 e mezza annue, cui si aggiungono cinque lire al mese per ogni bambino affidato; circa quarant'anni dopo, le incombenze dell'ospitaliere saranno: aver cura degli ammalati, “tener netti li drappi” dare alloggio ai poveri pellegrini, fornire l'olio per l'illuminazione, gestire le prime cure e la sistemazione dei fanciulli abbandonati, uno degli scopi dell'istituto è infatti quello dell'accoglienza degli esposti, che venivano curati, nutriti e rivestiti, quindi affidati a famiglie e a istituzioni.
Quando inizia la documentazione sulla vita corrente dell'ospedale, nei primi anni del Seicento, è ormai l’epoca in cui la grave crisi economica e demografica che aveva colpito la città a partire dalla metà del Trecento si fa maggiormente sentire; la popolazione del centro urbano raggiunge nel Seicento il suo valore più basso. La vita dell'ospedale è espressione di questa situazione: non avvengono ampliamenti e le linee di gestione rimangono le stesse: ne sono prova gli inventari, che mostrano come per due secoli le strutture e le attrezzature non abbiano visto significativi mutamenti e delineano un ambiente curato e gestito con grande attenzione, ma che in sostanza potrebbe essere quello di un Ospedale medievale.
Il fabbricato scelto nel 1558 per l'ospedale, l'antica sede della domus di Santa Croce, si trovava tra la collegiata di San Lorenzo e le mura ovest; all'inizio del Seicento consisteva in una grande sala al piano superiore e alcuni vani al piano terreno: uno di questi era adibito al ricovero dei pellegrini, altri due all'ospitaliere; altri vani originariamente dati in affitto vennero a poco a poco ripresi per ampliare le strutture ospedaliere.
Gli inventari redatti dai Protettori si susseguono con frequenza, elencando soprattutto mobili e attrezzature: un inventario del primo Settecento le enumera disposte nei diversi locali dell'ospedale, e l'organizzazione non sembra molto mutata dopo un secolo: una sala al piano della strada, che sappiamo destinata all'alloggio dei pellegrini - "stanza in piano del caruggio", una grande sala al piano superiore - "chiesa o'sia hospitale" -, una cameretta, la cucina, la camera dell'ospitaliere, la sala delle riunioni - "stanza dove si fanno l'officiature".
L'hospitale,  ristrutturato nel 1720, veniva considerevolmente ampliato negli anni 1787-1790 attraverso l'acquisto di una casa adiacente e il rialzamento di una parte del tetto.
Ma è nel clima mutato della Repubblica Ligure, e successivamente dell'Impero francese, che maturano i maggiori cambiamenti anche per l'ospedale: con le leggi per l'incameramento dei beni ecclesiastici del 1798 molti edifici di ordini religiosi diventano proprietà dello Stato e dei comuni; le strutture architettoniche, quasi sempre di cospicuo valore, vengono destinate a usi pubblici o vendute a privati, e in molti casi pesantemente trasformate: altre volte rimangono in stato di abbandono, nell'incertezza di una nuova destinazione.
La Commissione Amministrativa per gli Ospizi di Albenga nel 1810 chiede al Prefetto la concessione del monastero di  San Calocero, di monache Clarisse per adibirlo a sede dell'ospedale, e lo ottiene il 17 marzo 1812.
Caduto l'Impero, nell'ottobre 1814 il Vescovo presidente la Commissione degli ospizi è pregato di sospendere i lavori di ristrutturazione, per attendere le decisioni dei Serenissimi Collegii che dovevano stabilire la sorte degli edifici già ecclesiastici.  Verso la metà del 1818 si ottiene di riprendere i lavori: la documentazione per questo periodo è molto fitta e finalmente, il 31 maggio 1820, avviene il trasferimento degli ammalati nella nuova sede.
L'ospedale veniva in questo modo a trovarsi vicino all'antica domus di San Crispino, la casa medievale adibita a ospedale dal 1389. L'iniziativa statale di soppressioni e accorpamenti interessava anche le istituzioni assistenziali minori, e già dal 1807 era stato chiesto agli amministratori della domus di San Crispino di redigere l'inventario dei beni e delle suppellettili; inventario che dimostra l'estrema semplicità di questo ospedale.  Viene quindi decretata l'unione dell'ospedale di San Crispino all'ospedale di Santa Maria di Misericordia.
Per più di due secoli l'ospedale di Santa Maria di Misericordia non ebbe una farmacia propria. Gli speziali in città erano numerosi e l'ospedale si approvvigionava presso uno di essi, come del resto facevano i privati: per la perdita dei documenti relativi ai primi decenni di vita dell'ospedale nella seconda metà del Cinquecento, la prima citazione di un "aromatarius hospitalis" è dell'inizio del Seicento, in un rendiconto delle spese per forniture di spezieria in favore dei ricoverati.
Successivamente, le delibere dell'ospedale ci fanno conoscere il meccanismo della scelta degli speziali che si avvicendavano al servizio dell'Ospedale: i nomi erano inseriti in un saculo, e tra questi per estrazione a sorte era scelto lo speziale che avrebbe servito l'ospedale per un anno; la loro alternanza è ribadita negli anni quaranta del Seicento, in seguito alla richiesta di alcuni speziali, mentre pochi anni dopo, nel 1655, i Protettori decretano che per l'avvenire  debbano entrare  solo quelli  che sono fratelli di questa santa casa.
Nei conti della prima metà del Seicento sono indicati, giorno per giorno, i nomi dei ricoverati e i medicinali distribuiti a ciascuno di essi, con la loro composizione e il relativo costo.
Per quanto riguarda la somministrazione di medicamenti ai degenti dell'ospedale, di cui si conservano così frequenti e dettagliati elenchi, ci sfuggono le modalità con cui avvenivano le prescrizioni. Non si può immaginare, come verrebbe talvolta fatto di supporre esaminando questi elenchi, che la prescrizione
dei farmaci venisse fatta direttamente dallo speziale: gli statuti dell'Arte del 1614 parlano chiaramente di medici e della loro gestione dei medicamenti,  che fanno esplicito divieto agli speziali di dare medicine direttamente agli ammalati. E’ quindi evidente che, a monte di ogni prescrizione, vi fosse l'intervento di un
medico, ma, per il secolo XVII e gran parte del XVIII, non è stato possibile  trovare documenti che accennino all'attività di medici all'intero dell'ospedale: la gestione contempla solo la figura del chirurgo, con una paga modestissima, e di conseguenza certo una presenza assai ridotta.
Il comune di Albenga prevedeva però, fin dal medioevo, la retribuzione di uno o più medici, per quella che si potrebbe chiamare con termine moderno la "condotta medica" dell'ampio territorio del districtus, nei patti stipulati via via dal comune con chi era scelto per svolgere questa attività non vi è cenno al servizio presso l'ospedale, ma sembra di poter supporre che esso fosse implicito e compreso nelle incombenze dei medici del comune, dato che l'ospedale era sorto e continuava a vivere soprattutto come ospedale dei poveri. La figura del chirurgo è evidentemente diversa, e si rende necessaria solo in casi ben specifici e probabilmente non frequenti, per i quali è prevista una modesta retribuzione forfettaria. La presenza del medico in ospedale è citata esplicitamente solo nel Regolamento del 1786 e la documentazione scritta di prescrizioni mediche per i degenti dell'ospedale ha inizio con il XIX secolo: nel primo registro della serie, relativo all'anno 1800, come nei successivi, ogni giorno venivano annotati, mattino e sera, i medicamenti prescritti ai pazienti, suddivisi tra uomini e donne e indicati con un numero, evidentemente quello del letto; molte pagine sono siglate in calce con un cognome, che nel registro considerato è quasi sempre "Sassi qualche volta "Gianneri": sono i cognomi di due medici la cui attività è nota ad Albenga appunto tra Sette e Ottocento.
Per quanto riguarda la provenienza dei malati all'inizio del Seicento la situazione era ancora simile a quella degli ospedali medievali: dei diciotto ricoverati, dieci sono stranieri, sei della città o del territorio comunale, uno di Riviera e uno di origine indeterminata; tra i cittadini vi è anche una persona di buona condizione sociale, messer Cesare Valdone, che rimane in ospedale ben 33 giorni.
L'identica situazione si presenta esaminando un altro elenco di spese posteriore di soli tre anni e questa volta redatto da un amministratore, che annota i costi - quattro soldi al giorno per degente- e le spese extra per ogni paziente: in molti casi vengono aggiunti cibi sostanziosi - carne, una gallina -, alla fine della degenza talvolta un'elemosina, o le spese per la sepoltura - tra ottobre 1606 e giugno 1607 i decessi sono quattro su 31 ricoverati - i degenti sono ancora in maggioranza "stranieri": tra i 10 di Albenga, il già conosciuto Cesare Valdone rimane in ospedale 42 giorni, con un trattamento particolare che comprende anche spese straordinarie. Chiarisce questa situazione un atto notarile con cui un altro ricoverato benestante, Cristoforo Soffia residente in città, il 27 marzo 1650 si impegna a rimborsare all'ospedale tutte le spese del suo ricovero, tam aromatarii quam cibarie: del resto un'altra lista di spese di spezieria annota tra i degenti sia "Gio Tomaso Rosso cirusico genovese", sia "madona Bertomia Giorgia", che si identifica con la moglie di un Giorginata Cepolla, di famiglia nobile quindi non soltanto ospedale per i poveri, ma anche in alcuni casi per persone abbienti, che evidentemente pagavano le spese della degenza.
Nel Settecento gli speziali non annotano più i nomi dei ricoverati e si limitano alla distinta dei medicinali forniti; ma dal 1731 ha inizio la regolare registrazione dei degenti da parte dell'ospedale e da un esame sommario dei registri si può trarre una prima indicazione sull'andamento dei ricoveri: risultano
in generale più frequenti e più lunghi nei mesi invernali, e concernono sia ricoverati cittadini, in gran parte probabilmente indigenti, sia persone del territorio, cui si aggiunge una notevole percentuale di soldati,
Dai conti annuali tenuti e puntualmente resi dagli amministratori si possono trarre alcune osservazioni sulla gestione dell'ospedale. A fronte delle entrate costituite da redditi delle proprietà immobiliari e finanziarie e oblazioni, le uscite sono costituite da un esborso fisso ai sindaci della confraternita, probabilmente una sorta di affitto per l'immobile dell'ospedale, da pagamenti diversi che spesso riflettono la manutenzione dell'immobile, dai salari all'ospitaliere e al chirurgo, dalle spese per gli ammalati che nel Seicento erano di 4 soldi per ogni giornata di ricovero, solo dal 1745 vengono calcolate 5 soldi e aumentate a 6 soldi nel 1764: si osserva, esaminando le diverse voci della gestione ospedaliera, che le spese per i medicinali non erano lievi. paragonandole a quelle per il vitto e l'amministrazione giornaliera o al salario del chirurgo: l'esborso per spese di spezieria risulta mediamente il 18/20% del totale.
La possibilità di risparmiare su questa voce già da tempo si era presentata agli amministratori; tanto che il 16 gennaio 1688 essi avevano deliberato "d'ingiungere de nuovo a spetiari, che non diano all'infermi dell'hospitale cordiali, emulsioni. e robbe di prezzo, eccetto che li siropi ordinarii, che consistono in decotti con le sue acque. Una qualche attività di preparazione di medicamenti doveva  avvenire anche all'interno dell'ospedale, in particolare a cura del chirurgo: lo provano i suoi rimborsi che elencano,
accanto allo stipendio  modestissimo, spese per acquisto di zucchero e di legna per distillare; lo prova anche la presenza di un mortaio con il suo pestello negli inventari dell'ospedale fin dal Seicento.
Nel corso del Settecento, la norma che voleva che gli incarichi dati dall'ospedale agli speziali fossero rigorosamente avvicendati di anno in anno si va allentando: ora i nomi sono pochi, e in certi periodi lo stesso speziale riceve l'incarico per diversi anni consecutivi.
Gli aumentati costi dei medicinali, la necessità di risparmio nella gestione ospedaliera, i contrasti tra speziali sono tutti problemi che probabilmente fanno sentire agli amministratori dell'ospedale la necessità di una gestione diretta della farmacia.
Il 31 ottobre 1786 i vertici dell'oratorio e dell'ospedale stabiliscono il nuovo regolamento di ospedale e farmacia; si tratta di poche semplici norme che fissano l'alternanza mensile dei deputati al controllo dell'una e dell'altra attività; la spezieria appare affidata al padre speziale cui sono rivolte indicazioni
sulla tenuta di due libri per annotare gli acquisti e le vendite di droghe e medicinali, e di una cassetta per il denaro introitato, da cui all'inizio di ogni mese si trarranno il denaro per gli acquisti e gli onorari.



 
Dal passato al futuro... un viaggio nel tempo dei templi della salute
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