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MAGLIE Ospedale civile Michela Tamborino

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La scheda deriva integralmente da un documento del Comune di Maglie : I difficili inizi dell’Ospedale M. Tamburino  (1886-1925) di Emilio Panarese, estratto da “Tempo d’oggi – IV, 22-23 – Maglie 1977

Dopo la cacciata dei Francesi l'ex convento di S. Maria della Scala, assegnato da Ferdinando l alle Dame Monache di S. Gregorio Armeno, dette di S. Liguoro, della città di Napoli, venne da queste venduto per 534 ducati napolitani nel 1840, con la mediazione dell'arcivescovo D. Andrea Grande, all'attivo arcidiacono magliese D. Fedele Abate, che agiva per conto di alcuni devoti magliesi che volevano restare ignoti [...] e che avevano in mente, facendone dono al Comune, di installarvi una comunità di religiosi mendicanti Alcantarini col patto che si contentassero di vivere per elemosine.
Ma, essendo insorte alcune difficoltà, il Decurionato, nel 1842, propose di convertire il progetto a stabilimento di ospedale per i poveri infermi, opera necessaria, di singolare pietà cristiana e di pubblico vantaggio.
Si pensò di fondarlo con diversi legati, disposti per pubblica beneficenza, e di fondarsi nella chiesa del Convento una Confraternita sotto il titolo dell'Immacolata confidando a questa la cura per l'assistenza degli ammalati.
Proprio in quegli stessi anni la duchessa F. Capece inclinava a lasciare il suo patrimonio per la fondazione di un ospedale spinta a ciò, dal sentir che facea da vari pii, e caritatevoli confessori, lo stato deplorabilissimo in cui giacevano i poverelli quando ammalavano, per l'abitazione, pel vitto, e per l'assistenza.
Si rivolse, per attuare il suo piano, prima agli Ospitaglieri o Figli di S. Giovanni di Dio, poi ai Signori della Missione, cioè ai Figli di S. Vincenzo de' Paoli, che potevano operare anche fuori dell'ospedale, confessando e predicando, e, infine, ai Gesuiti.
Si era scelto anche il luogo ma per diversi motivi e contrarietà l’idea dell'ospedale venne abbandonata. Nel 1867 i locali dell'ex convento, quando in tutto il Salento si diffuse il morbo asiatico, vennero adibiti a lazzaretto per l'assistenza e l'isolamento dei colerici.
Nel 1870, quando si vendettero all'asta i beni ecclesiastici, Achille Tamborino, acquistato il fondo Aja del Capitolo pensò in un primo momento di erigervi un ospedale, ma poi lo tramutò, in parte, nella costruzione di una villa (oggi villa Tamborino).
L'anno dopo la sorella Michela riprese l'idea dell'ospedale per i poveri e la fermò nel suo ultimo testamento (di tre) del 1871.
Sei anni dopo la morte della benefattrice l'Opera pia Ospedale Tamborino viene eretta in Ente morale (R.D. dei 25.7.1872). La Congregazione di Carità, incaricata di amministrare tutti i beni immobili rustici ed urbani di donna Michela, si trova subito ad affrontare non poche difficoltà, anche perchè un ospedale non basta fondarlo, occorre mantenerlo!
Le rendite del primo triennio servono per metà per rivalere a cav. Achille Tamborino della tassa di successione da lui anticipata per la Congregazione di Carità (quasi 8.000 lire). La restante rendita che si percepisce è troppo insufficiente a costruire e a mantenere un ospedale.
Per profittare delle fabbriche già esistenti, onde risparmiare sulle nuove s'intercede, nel 75, presso il Municipio per la gratuita cessione del convento degli ex Francescani, di proprietà comunale, anche perchè trovasi ad opportuna distanza dal paese in luogo saluberrimo come tutti quelli che sceglievano i monaci per la loro dimora.
Il Municipio cede di buon grado e gratuitamente il convento, riservandosi solo alcune stanze per abitazioni di cittadini indigenti.
Si prevedono, per la ristrutturazione, 70.000 lire di spesa. Non essendo sufficienti le rendite annuali, si è costretti a ricorrere alle somme disponibili che presentano le altre opere pie.
Hanno inizio i lavori di restauro e di ampliamento, ma alla fine del '79 ci si accorge della debolezza di alcuni vetusti muri; i lavori vengono sospesi: occorre demolire e ricostruire.
Intanto lo Statuto organico speciale dell'Opera pia Ospedale Tamborino è approvato dal ministro dell'Interno F. Crispi.
Scopo dell'Opera è di ricoverare e curare gratuitamente i poveri del Comune di Maglie affetti da malattie acute croniche e gli estranei che, trovandosi di passaggio nel Comune, si ammalano. Sono esclusi gli affetti da malattie epidemiche e contagiose. Assai scarso, nell'organico, il personale di servizio: un medico, un cerusico, un flebotomo, tre figlie della Carità, un infermiere, un cappellano confessore, un inserviente, due uomini per il trasporto degli ammalati.
Finalmente l'ospedale viene aperto l'8 agosto dell'1886.
In occasione dell'inaugurazione il can. Francesco Scarzia legge innanzi alla tomba di M. Tamborino, nella chiesa dell'ospedale, un commovente discorso in cui esalta le virtù di donna Michela, la prima che in Maglie abbia impiantato un ospedale. Nello stesso giorno un altro discorso pronunzia nella sala chirurgica il dott. Nicola Matotta che stima il provvedimento, di gran lunga il più nobile, il più santo di quello che presero le beneffatrici precedenti, perchè destinato a vincere il male e a combattere alcune malattie come la scabbia assai diffusa in Maglie
Ma, come spesso accade, al primo effimero entusiasmo vien dietro un'amara delusione accompagnata da aspre critiche per l'improvvisa chiusura dell'ospedale nel 1890, considerata dall'Amministrazione come l'unica mezzo per riordinare l'azienda, a causa dei debiti che aumentavano di giorno in giorno.
Come apprendiamo dalla Relazione del commissario dott. Capasi al sottoprefetto di Gallipoli (26.6.1890), gli amministratori erano stati spinti a questa drastica soluzione sia per le onerose spese giudiziarie e per i pignoramenti in pendenza, sia per le continue e funeste liti, a causa dell'insolvenza dei canoni di affitto di alcune masserie e di alcuni fondi olivati e sativi ed, infine, per il grosso debito di 6.600 lire prelevate da altre opere pie che pure avevano diritto di funzionare e per le onerose spese occorrenti per le urgenti riparazioni all'edificio minacciante ruina.
Ma l'opinione pubblica non ammette ragioni: nascono i primi sospetti sul disordine amministrativo dell'Opera pia, disordine che si estende a tutte le altre istituzioni di beneficenza infestate da parassiti che le sfruttano e le spolpano sino all'osso.
Questa prima voce di protesta e di condanna viene dal settimanale democratico socialista magliese La Pialla, organo della Società operaia Patria e progresso e degli operai tutti: L'ospedale è stato eretto, ed è la a far bella mostra di sè ai passanti, ma se qualche infelice ammalato manca di casa, di letto, di pane, di medicinali e di assistenza non pretenda di trovare un posto nell'ospedale M Tamborino.
Nello stesso tempo un consigliere comunale, sensibile ai problemi dell'istruzione popolare e della giustizia sociale, Luigi Palma Modoni, accusa gli amministratori della Congregazione di carità di scarso senso pratico per aver preteso di costruire un edificio grandioso con la meschina rendita di 7.500 lire annue, delle quali l'80% sono assorbite da spese per fondiaria, spese amministrative, mantenimento di tre orfane, obblighi legali spese per la conduzione dell'ospedale (medico, infermiere, figlie di carita, bucato, illuminazione, manutenzione ecc.), mentre per gli ammalati sono riservate appena 1.500 lire: non più di cinque o sei ammalati possono essere mantenuti costantemente dal legato!
Risolte le liti pendenti e soddisfatto il debito con la vendita di cinque fondi, l'ospedale, potendo vivere di vita propria, viene riaperto nel 1897.
Gli infermi ricoverati hanno raggiunto il n. di 64, di cui 46 uomini e 18 donne. Di questi, 39 sono stati sottoposti a cure mediche, 25 a cure chirurgiche. Il totale dei curati tra interni ed esterni è di 337.
Nel 1904 l'amministrazione dell'ospedale è di nuovo in deficit.
Per far luce sulla sua posizione finanziaria e su quella di tutti gli altri Enti amministrativi della Congregazione di carità dal 1879 al 1905 in una relazione dell'agosto 1908 si deplora il grande disordine amministrativo: la mancanza di regolari registri contabili, la dabbenaggine ed indolenza del cassiere, la trascuratezza e la buona fede degli amministratori per aver abbandonato carri e buoi al Tesoriere  senza esercitare nessun controllo.
All’inizio del 900 i primi reali progressi: viene costruita, secondo le esigenze moderne della scienza, la sala dell'ambulatorio dove giornalmente vengono visitati, dalle 9 alle 11, tutti gli infermi solo della città con ferite, fratture, ascessi ghiandolari e con altre malattie generali, ma anche dei paesi vicini che spesso preferiscono rimanere come ammalati e pagamento.
Accanto al dispensario pubblico funziona pure attivamente la farmacia dell'ospedale  diretta dalla superiora Maria De Rogatis, suora patentata, che distribuisce gratuitamente medicinali ai poveri con una media di circa 3.000 ricette all'anno.
II 1912 Benedetto Cavalieri dona all'ospedale un letto operatorio e la sigra Clementina Palma offre, con testamento, 2.000 lire: col lascito si rifà la sala operatoria con pavimento e muri levigati e lavabili e si procede all'acquisto di un modernissimo armamentario chirurgico (elencato in bibliografia) , di un autoclave a petrolio per la disinfezione del materiale chirurgico e di uno sterilizzatore  con lampada (o stufa) ad alcool, acquisti necessari che permettono di evitare rischi pericolosissimi e di poter tentare operazioni  molto delicate e con esito felicissimo.
Nel quadriennio 1911-14 gli infermi ricoverati salgono a 175 (il 60% a posto gratuito); ne escono guariti 160, mentre, nonostante le cure tentate, 15 soccombono.
Nella sala uomini 5.905 giornate di degenza, 3.039 nella sala donne, con una media complessiva annua di 2.336. Solo 86 gl'interventi chirurgici, ma tutti delicati, e, per il 90%, tutti felicemente risolti.
Durante la guerra l'edificio aveva funzionato da ospedale militare di riserva.
Nel quadriennio 1921 - 25 gl'interventi chirurgici salgono a 232, i ricoverati nel reparto medicina a 111, i medicati nell'ambulatorio  a 1.654.
Funzionano intanto un reparto oftalmologico e un gabinetto elettroterapico e radiologico. Manca ancora un gabinetto di analisi istochimiche e batteriologiche per poter fare dell'ospedale un vero centro di radiazione medico-scientifica per i sanitari, e di attrazione per gl'infermi dell'estremo Salento, dove questo nosocomio rappresenta l'unica istituzione ospedaliera.
Sono, questi, progressi molto lenti, ma tali da rendere efficiente l’ospedale, che non restava certo in seconda linea rispetto ai pochi esistenti in provincia.
Progressi lenti, ma considerevoli, soprattutto se si tiene conto che non era facile far cadere certi inveterati pregiudizi specialmente alla fine del secolo scorso, quando presso le  popolazioni locali la cura in un ospedale risvegliava una specie di ribrezzo e si credeva la più grande sventura essere costretti dalla necessità ad accettarla quando cioè l'ospedale non era considerato il miglior luogo per curarsi e guarire, ma si era testardamente convinti che in esso si entrasse solamente per morire.


 
Dal passato al futuro... un viaggio nel tempo dei templi della salute
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