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SALO’ Lazzaretto

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Il contenuto della scheda è stato redatto dal Prof. Giuseppe Piotti , docente di storia e filosofia oltre che Responsabile dell'equipe archivistica di Salò

Le origini

Nato in un’epoca di grandi travagli per la comunità salodiana a causa di guerre ricorrenti e di minacciate epidemie, ma anche ricca di iniziative coraggiose e creative, sostenute con caparbia volontà e con impegno solidale, il lazzaretto ha partecipato attivamente alla storia della città per quattro lunghi secoli.
La sua esistenza era finalizzata ad un duplice scopo: da un lato contribuiva alla difesa della comunità dal pericolo della peste attraverso l’isolamento dei possibili portatori del contagio; d’altro lato permetteva la continuità degli scambi commerciali, poiché garantiva, nei limiti del possibile, che i fattori di diffusione del morbo non entrassero nel circolo dei contatti economicamente significativi e consentiva che non cessassero i collegamenti e non venissero soffocati gli scambi in presenza di rischio sanitario.
Il lazzaretto di Salò nasce da una delibera della vicinia del comune in data 7 giugno 1484, che così recita: «per la salute e la conservazione delle persone del comune di Salò fu ordinato che sia individuato un luogo idoneo come lazzaretto, in cui persone sospette di essere ammalate debbano ritirarsi e questo luogo sia e debba essere nella pezza di terra del signor Gerolamo Bergamini, al di là del lago presso la fossa per le anguille, nel caso in cui tale luogo si possa acquistare a prezzo conveniente».
Quell’appezzamento di terra non viene scelto casualmente, né per ragioni di semplice convenienza: la sua posizione era ideale per un lazzaretto, poiché era sufficientemente distante dall’abitato da scongiurare troppo facili e frequenti contatti con la popolazione, poteva essere facilmente sorvegliata da poche guardie e, d’altra parte, era vicina alla riva del lago e quindi raggiungibile agevolmente con le barche, in assenza di una comoda comunicazione stradale.
La costruzione del lazzaretto, su cui siamo informati analiticamente dai documenti d'archivio, prosegue negli anni venti e trenta del XVI secolo, ma subisce un’evidente accelerazione nel decennio successivo, soprattutto tra il 1549 e il 1551 e proprio in quel periodo appare la figura di un direttore del cantiere, «Batista dei Osei da Bressa architechto», nominato in una nota del 19 ottobre 1549.
Nel tardo autunno del 1551 i lavori hanno termine con il completamento dei serramenti esterni. Anche se l'edificio si può ritenere completato solo a quell’epoca, abbiamo ragione di pensare che almeno parte di esso fosse in grado di funzionare anche prima.
In questi anni di intenso lavoro il culto di San Rocco si intensifica, favorito anche dal ripetersi ormai regolare della festa dedicata al santo il 16 agosto, che diventa occasione di un notevole afflusso di fedeli e dello svolgersi di una piccola fiera negli spazi circostanti.


La struttura dell'edificio

Alla metà del XVI secolo, a lavori conclusi, il lazzaretto presentava un aspetto simile, anche se non uguale, a quello odierno: un lungo parallelepipedo, la cui pianta misura circa 53 metri per 7; l’edificio si sviluppa su due piani, pianterreno e primo piano. Al pianterreno un lungo portico con soffitto a volti corre per tutta la lunghezza del fabbricato, interrotto a metà dal portone d’ingresso; al primo piano una loggia ripete lo stesso andamento del portico inferiore. La facciata si rivolge a nord verso il golfo, di rimpetto all’abitato di Salò.
Ad oriente si eleva la chiesetta di San Rocco, a pianta approssimativamente quadrata con un lato di circa 8 metri ed un’altezza che supera quella del corpo maggiore. Anche se comunica con lo spazio esterno attraverso una porta verso nord, la sua vera facciata è quella che si volge verso il cortile, da dove venivano e dove stavano i fedeli; e, per permettere ai ricoverati nel lazzaretto di assistere in qualche modo alle celebrazioni interne al tempio, accanto alla porta di entrata furono aperte due finestre, attraverso le quali dal primo piano e dal cortile si poteva partecipare indirettamente ai riti.
Nella seconda metà del XIX secolo venne aggiunta una nuova ala di 20 metri per 8 verso ponente, perpendicolare all’asse dell’edificio originario, che si situa su un terreno che in precedenza veniva classificato come orto. Dalle origini del lazzaretto ai primi decenni dell’Ottocento non esisteva una strada davanti all’edificio e, quindi, il mezzo di gran lunga più agevole per raggiungerlo era la barca; la strada appare in forma modesta nell’epoca austriaca e, con dimensioni simili alle attuali, nella seconda metà del secolo.
Tra l’edificio ed il fianco della collina si apre il vasto cortile, nel quale scorre un ruscello, ora incanalato in una graziosa cascata, ai piedi della quale è stato realizzato un laghetto artificiale; al centro del laghetto si erge la statua di San Rocco, nella quale il santo è raffigurato con gli attributi che la tradizione gli assegna, in veste di pellegrino, accompagnato da un cane e con il segno della peste su una coscia.
La capienza originaria del lazzaretto ci è resa nota approssimativamente da una lettera della seconda metà del Seicento dei deputati alla sanità della Riviera, che, rispondendo ad una richiesta del Magistrato alla Sanità di Venezia, che intendeva inviare persone a Salò per fare quarantena, scrivono che il lazzaretto di Salò presenta una disponibilità di otto o nove stanze.
Gli spazi del lazzaretto sono organizzati secondo la funzione a cui erano destinati. Il corpo centrale, come si diceva, è disposto su due piani. Il pianterreno era dedicato ai servizi, come la cucina, un’infermeria, una lavanderia, depositi di materie ed oggetti necessari (viveri, medicine, biancheria); probabilmente alcuni locali venivano utilizzati per ricoverarvi merce di passaggio da sottoporre a quarantena e disinfezione. Al primo piano si trovavano, invece, le stanze per i ricoverati, malati, sospetti o convalescenti. L’ampia loggia su cui le stanze si affacciano non aveva una funzione puramente estetica, ma serviva per permettere ai pazienti di fruire il più possibile dell’aria aperta, stando al riparo dalle intemperie: all’aria si attribuiva, infatti, il potere di purificare i corpi da impurità e fattori patogeni.
Il vasto cortile ed il lungo portico del pianterreno erano finalizzati soprattutto alla custodia e alla cura delle merci che venivano indirizzate al lazzaretto per i trattamenti che avrebbero dovuto liberarle da ogni rischio di trasmissione del contagio; gli oggetti meno delicati, come casse e bauli, venivano depositati nello spazio aperto, mentre quelli più esposti al degrado erano collocati sotto il portico o nelle stanze libere. Nell’estate del 1630, l’unico momento della vita del lazzaretto in cui si è registrata una grave situazione epidemica, il cortile venne utilizzato come cimitero degli appestati e come spazio in cui posizionare baracche di legno, destinate al ricovero dei malati in eccesso rispetto alla capacità dell’edificio; è probabile che in quell’occasione alcune di tali strutture provvisorie fossero collocate anche in aree circostanti, esterne al cortile sul lato ovest.
La chiesa presenta all’interno un aspetto molto degradato e necessita di un profondo restauro. L’intonaco è stato interamente scrostato per alcuni metri da terra, per cui le decorazioni, pur povere, sono visibili solo nella parte alta. L’altare è sovrastato da una pala, un olio su tela di epoca imprecisata, probabilmente il XVII secolo, e di autore sconosciuto, che rappresenta una scena complessa con diversi personaggi ambientati in uno scenario che ricorda proprio un lazzaretto.
Al centro del cortile si erge la statua di San Rocco, opera probabilmente dello scultore Luigi Cocchi di Viggiù, databile intorno al 1850 ed eseguita all'interno del progetto vantiniano di sistemazione del cimitero.

Le funzioni storiche del lazzaretto

Il lazzaretto era dotato di personale proprio, al vertice del quale c’era il priore, responsabile dell’intera struttura: era eletto dal consiglio generale della Comunità di Riviera e veniva pagato dal Comune di Salò.
Alle dipendenze del priore stavano gli “sboratori”, cioè i responsabili della disinfezione, o sboro, delle merci in entrata in Riviera, che venivano depositate nel lazzaretto per trascorrervi il previsto periodo di quarantena e per essere private di ogni elemento di pericolosità sanitaria.
Dalla fine del secolo XVI si registra anche una presenza religiosa stabile, dedita al culto del santo del luogo: è un eremita, un frate assunto dal comune secondo un preciso capitolato, che prevede i compiti del religioso, le sue entrate ed un rinnovo periodico dell’incarico.
Nei periodi in cui la peste era assente dal territorio gardesano, ma veniva segnalata lontano, nelle zone d’Europa o d’Italia frequentate direttamente o indirettamente dai mercanti locali, la funzione del lazzaretto era quella di garantire la continuità dei flussi commerciali attraverso un adeguato trattamento antisettico delle cose, degli animali e delle persone in movimento verso la Riviera.
Quando la peste si avvicinava o, tanto più se toccava la città, il personale del lazzaretto aumentava di numero e vedeva apparire nuove figure. La presenza di ricoverati richiedeva una serie di prestazioni sanitarie, che venivano svolte non da medici laureati, i cosiddetti “medici fisici” che non toccavano mai il corpo dei malati, ma da chirurghi o barbieri, i veri protagonisti della pericolosa e spesso inefficace attività terapeutica: erano questi che medicavano le piaghe, incidevano i bubboni e somministravano le medicine, insieme ad una serie più o meno ampia di inservienti. Occorrevano, poi, persone, per lo più donne, che si occupassero della cucina, della distribuzione dei pasti e della lavanderia, un servizio cruciale per un ospedale. Figure importanti, ma piuttosto inquietanti per la loro funzione e spesso per la loro provenienza, erano i becchini, che si occupavano del trasporto e del seppellimento dei cadaveri.

Dopo la peste

La progressiva scomparsa della peste ha gradualmente ridotto la necessità di ricorrere alle complesse provvidenze per secoli utilizzate contro le epidemie. Già nel XVIII il lazzaretto di Salò vede tramontare il proprio ruolo di presidio sanitario e, se da un lato questa obsolescenza si traduce in un sempre più evidente degrado fisico, dall’altro cominciano a manifestarsi episodi di utilizzo non istituzionale dei suoi spazi.
Verso la fine del secolo il complesso di San Rocco mantiene un significato pubblico solo per la festa del santo, che rimane un appuntamento significativo per i salodiani, i quali accorrono numerosi sia alle celebrazioni a cui partecipa l’intera Residenza della parrocchiale, sia alla fiera che si sviluppa negli spazi circostanti. I locali del lazzaretto e il cortile vengono, invece affittati a privati, che traggono il loro profitto sia dall’utilizzo della struttura come abitazione privata, sia dalla coltivazione ad orto del terreno di pertinenza dell’edificio. L’affitto sarà d’ora in poi l’unica forma di utilità di un luogo che aveva rappresentato per secoli un punto nevralgico nella vita della città.
Dall'epoca napoleonica nello spazio ad est del lazzaretto viene collocato il cimitero civico, prima in forma provvisoria e verso la metà dell'Ottocento definitivamente, con la sanzione finale della ristrutturazione curata dall'architetto Rodolfo Vantini.
In seguito le sorti e l’immagine del lazzaretto si legheranno sempre più strettamente a quelle del vicino cimitero, fino al punto che il luogo di San Rocco diverrà una succursale del camposanto e si perderà progressivamente memoria della sua antica funzione.
Tra Otto e Novecento il lazzaretto funge da abitazione del custode del camposanto comunale e da succursale di quest’ultimo, come dimostra la ricca serie di lapidi del XIX e XX secolo che in esso vengono collocate. Negli ultimi anni, infine, anche il custode ha cessato di risiedere e le stanze di San Rocco per qualche tempo hanno ospitato alcune persone assistite dal comune. Recentemente anche questa forma di utilizzo è stata superata e il lazzaretto è rimasto vuoto, mantenendo solo una funzione di deposito al servizio del cimitero.


 
Dal passato al futuro... un viaggio nel tempo dei templi della salute
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