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GHEMME Ospedale della provvidenza

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Molto difficile condensare in poche righe i contenuti di un volume ricco di informazioni, tabelle, foto, statuti e regolamenti.
Ringrazio l’Amministrazione per la donazione del pregevole volume “Marianna Vespolati Volenteri e l’Ospedale della Provvidenza di Ghemme, Enzio Calzone e Sergio Monferrini, curato dalla stessa Fondazione e stampato nel 1999, da cui ho estrapolato integralmente il contenuto della scheda.

Al suo quinto ed ultimo testamento Marianna Vespolati, il 4 settembre 1849, nomina Erede Universale l'Ospedale che intende fondare a Ghemme.

I Capitoli di fondazione dello “Spedale della Provvidenza"
1°- Istituisco mio Erede Universale lo stabilimento che intendo di fondare col presente atto ed all'uopo incarico il mio Esecutore Testamentario di fondare e stabilire a mio nome uno Spedale per i poveri infermi della Parrocchia e Comunità di Ghemme sotto il titolo della Provvidenza.
2º - Questo Spedale che io fondo e stabilisco in Ghemme sotto il titolo della Provvidenza, nella speranza che altri benefattori si aggiungeranno all'Opera incominciata, sarà aperto nella mia Casa in esso Comune di Ghemme.
Esso avrà una propria Amministrazione composta come segue: Due Direttori e quattro Amministratori, fra i quali vi sarà un Tesoriere.
Vi sarà anche una Direttrice, la quale non farà parte del Corpo Amministrativo ed avrà l'ispezione particolare intorno all'economia intera della casa, intorno alla cura ed assistenza agli ammalati ed avrà la custodia e la cura di tutta la lingeria.
3º - Pongo tale stabilimento sotto la speciale Protezione del Vescovo della Diocesi, supplicandolo a degnarsi di dare quegli ordini e quelle direzioni che crederà più opportune al miglior andamento, dichiarando io che tali ordini e direzioni s'intenderanno sempre dati anche in forza del vincolo a cui allego questa fondazione senzaché né il Corpo Amministrativo od altri possano mai opporvisi e tra-sgredirli sotto qualsivoglia ragione o pretesto.
4° - I sei Amministratori predetti si eleggeranno un Segretario il quale potrà anche essere uno di loro. I due Direttori avranno la più vicina sorveglianza e direzione della Casa dello Spedale, e daranno quegli ordini che l'urgenza potrà richiedere pel più regolato regime di essa Casa, e specialmente per la più sicura e buona assistenza e cura agli ammalati. In tutte le altre circostanze le deliberazioni intorno ad oggetti riguardanti lo Stabilimento si prenderanno in Corpo di Amministrazione a pluralità di voti. In caso d'assenza o d'impedimento di uno dei Direttori l'altro solo basterà.
Dichiaro poi particolarmente che intendo debbano i poveri approfittare dello Spedale non solo pen-dente malattia, ma ben anche pendente la convalescenza od almeno una parte di essa, affinché il beneficio del ricovero sia compiuto.
L'esecutore, dopo aver stabilito l'ammontare e lo stato dell'eredità, rivolse una petizione a Vittorio Emanuele II perché si degnasse di concedere l'autorizzazione all'erezione dell'Ospedale.
Il 25 ottobre 1854, esattamente un anno dopo la morte di Marianna Vespolati, fu emanato il Reale decreto di erezione dell'Ospedale. Vittorio Emanuele II aveva apposto la sua firma in calce al docu-mento che decretava: È approvata l'erezione nel Comune di Ghemme (Novara) di uno Spedale sotto il titolo della provvidenza a beneficio dei Poveri infermi dello stesso luogo.
L'impegno degli amministratori fu innanzi tutto quello di provvedere alla vendita dei mobili e degli oggetti appartenuti alla Vespolati per poterne ricavare il più possibile in vista delle spese da affrontare per adattare la casa ad ospedale ed iniziare cosi l'attività.
La vendita dei mobili e degli oggetti della casa Vespolati consentì di raccogliere oltre 9000 lire a cui si aggiunsero circa 1700 lire di interessi permettendo così di iniziare i lavori di ristrutturazione. L'entrata del 1855 superò le 10.000 lire e ben 9400 furono impiegate nell'acquisto di cedole del Debito Pubblico che garantivano un buon interesse annuo, mentre il 5 ottobre fu concesso un mutuo di 2500 lire.
Alcuni dei mobili dell'eredità non furono messi all'asta in quanto ritenuti necessari per l'apertura dell'Ospedale, per arredare l'infermeria e le camere dei degenti, nonché la sala del consiglio di ammi-nistrazione.
Si trattò di scranni, tavoli e letti, un armadio (necessario per formare l'Archivio onde chiudere le carte), oggetti per la cucina.
Il 4 agosto 1854 il Consiglio Comunale, onde provvedere ad ogni sgraziato evento per il diffondersi del colera istituì un Ospedale pei Colerosi nella casa Vespolati, nominò un Comitato di soccorso, ed ordinò di provvedere a tutto il necessario per attrezzare l'ospedale.
Purtroppo l'epidemia si diffuse ed il 10 agosto si ebbe il primo caso: ben 60 furono i colpiti e 34 i deceduti. Per far fronte all'emergenza l'Amministrazione Comunale si fece carico delle spese per i medicinali degli ammalati, di far disinfettare le stanze dove abitavano, di pagare gli infermieri, di attrezzare l'Ospedale con i necessari utensili, di acquistare una macchina a vapore per riscaldare i letti e così via.
Per ottemperare a quanto ordinato dal Decreto d'erezione del 1854, che prevedeva l'obbligo di for-mare un regolamento interno entro quattro mesi, il Consiglio stabilì il primo gennaio 1856 le regole per il suo buon funzionamento in 50 articoli.
Prevedendo molte variazioni che nell'esercizio possono occorrere fu deciso di non stampare il regolamento ma mantenerlo manoscritto.
Questo primo Regolamento purtroppo non si è conservato.
L'Ospedale iniziò a funzionare nel 1856 e la prima persona curata fu una contadina, affetta da anasarca, che entrò in Ospedale il 13 maggio.
Per provvedere alla cura degli ammalati fu stipulata una convenzione col medico comunale, che si assunse l'onere per una retribuzione di 40 lire annue. Il buon funzionamento dell'ospedale era invece affidato a due infermieri, marito e moglie, e l'8 giugno fu stipulato loro il contratto.
Il regolamento prescriveva che gli infermieri saranno tenuti a curare e assistere tutti gli ammalati che verranno ricoverati in questo Spedale sia di giorno che di notte con quella dolcezza e interessamento che si richiede, scopare, fare i letti ed ogni altre cose di pulizia attorno sia agli infermi che alle camere, compresa l’assistenza al bucato.
Dovranno eseguire con tutta puntualità gli ordini che verranno dati dall'Economo, provvedere a quanto si richiede per gli alimenti, farli cuocere e servirli con ogni pulitezza, congiunta col prudente risparmio, e darne esatto conto allo stesso Economo.
Richiedere il Medico chirurgo curante, ove occorresse sia di giorno che di notte, assistere il medesimo nelle operazioni di chirurgia, e nulla tralasciare al buon andamento dello spedale.
Scopare le scale d'ascesa sia alle camere degli ammalati sia a quella delle congreghe dell'amministrazione.
Saranno tenuti di eseguire fedelmente gl'incarichi dati dal Direttore.
Non lasceranno entrare nei locali dello Spedale persone estranee senza il permesso del Direttore.
Gli sarà accordata reciprocamente la gratificazione di centesimi sessanta cadun giorno, compresa anche la notte per uno o due malati e centesimi settantacinque se saranno di più sino a quattro da pagarsi mensilmente.
Nel primo anno la loro retribuzione fu di circa 130 lire mentre il mantenimento dei ricoverati costò 87 lire circa.
Gli infermieri avevano in affitto una piccola camera sopra il pollaio e porcili, una stalla piccola con cassero ed una scala esterna.
Ogni mattina dovevano rifare i letti, ed anche durante il giorno se necessario, cambiare le lenzuola, le coperte dei letti e la camicia dell'ammalato sempre quando la nettezza e la loro salute lo richiedono. Erano tenuti ad avvisare il medico nel caso un ammalato necessitasse di soccorso ed ove si rende estinto gli coprono il viso col lenzuolo, comunicandolo al sanitario e al direttore. A loro era affidata la cura della lingeria ed utensili, di cui rispondevano personalmente.
Naturalmente era vietato loro di ricevere dagli infermi ricoverati, o da chi per loro, alcuna rimunerazione sia in denaro sia in oggetti.
Gli infermieri si occupavano anche del bucato della biancheria dell'Ospedale e della fornitura di sale.
Gli ammalati curati nel 1856 furono 30 per un totale di 264 giornate di degenza (media nove giornate per ricoverato).
Ogni anno l'Ospedale si dotava di qualche mobile ritenuto indispensabile, in considerazione dello scarso arredamento di cui era in possesso: nel 1858 un ciufone, tre porta orinari, tre porta bottiglie e tre porta piedi, un pappagallo di vetro ad uso petale, uno spruzino di latta, due scodelle ed un petale di terra, due cucchiai di peltro, due sputacchiere.
Nel 1857 si acquistarono 16 braccia di tela di rista, si fecero confezionare quattro camicie, due da uomo e due da donna; nel 1859 si sistemarono sei materassi; l’anno seguente l’acquisto di quattro coperte ed altra biancheria.
In cucina l'unico mobile era un tavolo di noce con due cassetti  e gli oggetti erano presumibilmente appesi alle pareti: tre caffettiere, due da tre tazze ed una da otto, due pentole di bronzo, una per fare la minestra della tenuta di due litri ed una da un litro scarso, un caldajo di rame, un secchio di rame e due di ferro, un mortaio di marmo, un tagliente a mezza luna, una gratuggia, una schiumarola, due scaldaletti di rame, un adacquatore di latta, una vanga per il giardino, e pochi altri oggetti.
La saletta attigua era di servizio alla cucina: aveva un tavolo, una caponaia di pioppo, un guardaroba, qualche oggetto di cucina.
Nella legnaia erano tenuti il cavalletto per segare la legna, dieci fascine di bosco, legname di ciliegio, vasi vinari. Alcune travi di legno erano nel cortile cosi come alcune scale, due porta concime, una carretta, un cebro per il bucato, un tagliente per la carne.
Nella camera sopra la cucina, per gli uomini, vi erano un tavolo, un tavolino, un portacatino con cati-no ed asciugamano, una bassacamera, quattro quadri, quattro scranni, due acqua santini di cristallo, una trapunta di fustagno alla porta per riparare dall'aria, due porta petali con due orinarj di maiolica, due lettiere di ferro con i letti completi (pagliericcio, materassi, coperte, sopra coperte, copripiedi, guanciali e lenzuoli).
Nella camera delle donne vi erano: una trapunta alla porta d'ingresso, una poltrona, due scranni, due quadri e tre quadretti alle pareti, due porta petali con due orinarj di terra ordinaria, una corda per il bucato, un pappagallo di vetro, due lettiere con letti completi.
Nei sottotetti vi erano oggetti vari: dai cavalletti di legno per l'altare del Corpus Domini a quelli da muratore, dalla padella di peltro per uso di cesso e due sputini.
La biancheria era quasi tutta nel guardaroba che serviva anche da magazzino perché vi erano custoditi anche cinque quadri, bottiglie di vetro, mortai, cavalletti per letto, caffettiere, una cassettina di pioppo che conteneva vasi di fiori per l'altare, nove lumi di latta, pezzetti di sapone, la predella dell'altare. Nell'armadio di noce trovavano posto lenzuola, asciugamani, fodere e tovaglie, le tende ed il necessario per l'altare di colore rosso, bianco, giallo e verde, due vestiti di mussola con ghirlanda di fiori per uso di vestire due bimbi da angioli.
Nella camera mortuaria vi erano solo un tavolaccio, altri due tavoli, bottiglie e poco altro.
Il testo riporta l'inventario del 1895
I dipendenti dell'Ospedale erano cinque: un segretario, un tesoriere, un medico e due infermieri oltre alla direttrice per l'ispezione particolare attorno all'economia interna della casa, alla cura ed assistenza agli ammalati, e specialmente avrà la custodia e la cura di tutta la lingeria
La direttrice inoltre aveva il compito di vigilare sulla condotta degli infermieri, sulla cucina, esaminando gli alimenti se condizionati a dovere, come pure il pane, il vino ed ogni altro commestibile se di buona qualità e giusto peso.
Il medico era tenuto a visitare gli ammalati due volte il giorno, anche di notte nel caso di malattie gravi, doveva sorvegliare la distribuzione e qualità dei farmaci e degli alimenti, la pulizia, ventilazione e salubrità delle infermerie. Nel caso di malattie contagiose doveva avvisare prontamente la direzione e provvedere immediatamente alla segregazione del malato infetto, dando le disposizioni necessarie per prevenire il diffondersi delle stesse fra gli altri pazienti. Poteva farsi coadiuvare nelle operazioni, se necessario, da un altro sanitario provvisto dalla direzione, e così pure richiedere consulto se si presentasse qualche malattia rara o di difficile diagnosi.
Nella prescrizione dei medicinali dovrà attenersi ad una giudiziosa economia, astenendosi dal prescrivere bevande ordinarie e solite a farsi dagli infermieri in via economica colle erbe di produzione dell'annesso giardino, e colle radici ed erbe comuni.
Ogni anno era suo compito compilare uno “Stato nosologico” o “Tavola nosologica" o "Prospetto di tutti gli ammalati” con l'indicazione del nome e cognome, l'età, la provenienza, la professione, il giorno d'entrata e quello d'uscita, la malattia, il numero di giorni di cura, qualche breve commento in alcuni casi.
Il medico faceva gran uso di olio di fegato di merluzzo, olio di ricino, solfato e solfato iperacido di chinina, olio di mandorle dolci ed amare, farina di linosa, rabarbaro, tamarindo.
Fra i composti chimici ricordiamo: sale amaro, sale anglicano, cremortartaro, acido tartarico, nitrato d'argento fuso, mercurio precipitato rosso, tintura eterea alcolica di percloruro di ferro, clorato e ioduro di potassa, nitro puro, magnesia calcinata, magistero di bismuto, ecc.
Le sanguisughe o sanguette erano prescritte frequentemente e conteggiate per loro conto in quanto venivano pagate 30 centesimi l'una all'inizio del funzionamento dell'Ospedale ed in seguito 50 centesimi.
Nel 1895 fu sottoscritta la convenzione con la Congregazione delle Suore di San Giuseppe di Torino per affidare a due suore la cura degli ammalati e la somministrazione dei pasti;
un uomo sarebbe stato addetto alle necessità delle suore, a lavori pesanti, ecc.
Dovevano preparare i cibi, dispensarli, somministrare le medicine, attendere alla pulizia della casa, aver cura della biancheria, assistere gli infermi, e provvedere con tutta carità ai molteplici bisogni.
Non saranno obbligate all'assistenza notturna degli infermi allorquando il loro stato richiedesse di vegliarli oltre quattro notti; nel qual caso provvederà l'Amministrazione.
L'Amministrazione provvederà che le Suore siano esonerate da certe fatiche troppo gravi e da certi servigi vietati dalla decenza.
Alle Suore è assicurato alloggio mobiliato, biancheria da letto, da tavola, da cucina e grembiuloni per l'assistenza degli infermi, combustibili, bucato, medico e medicinali.
In caso di decesso di qualche Suora saranno a carico dell'Amministrazione le spese di conveniente sepoltura, con una Messa da Requiem cantata.
La Superiora sarà libera nel cambiamento del personale, previo accordo con l'Amministrazione.
Per specifica disposizione testamentaria della Vespolati nell'Ospedale potevano essere accolti soltanto i poveri. Per questo all'inizio dell'anno era compilata una nota di tutte le famiglie povere di Ghemme i cui membri avevano diritto al ricovero gratuito.
L'Ospedale accoglieva anche i poveri che, trovandosi di passaggio a Ghemme, necessitavano di cure mediche.
Nel 1884 fu deciso di inviare all'Ospedale Maggiore di Novara coloro che non si potevano curare con i mezzi disponibili a Ghemme pagando la retta giornaliera.
Le degenze potevano durare pochi giorni od arrivare anche ad oltre un anno a seconda delle malattie e della risposta alle cure.
All'acquisto dei generi alimentari per gli ammalati provvedeva l'economo.
I negozi erano essenzialmente tre: quello del macellaio, dove veniva acquistata la carne fina di vitello; quello del pizzicagnolo, più tardi chiamato salsamentario o venditore di generi coloniali, che forniva olio, pasta, burro, ecc.; ed infine quello del prestinaio o panettiere per il pane di frumento.
Le entrate dell'Ospedale erano costituite essenzialmente dagli affitti di parte della casa, del giardino dei terreni, dagli interessi dei mutui, dalla rendita delle cedole del Debito Pubblico e da eventuali lasciti, donazioni e offerte
Nel regolamento del 1875 si prevedeva che potessero essere ammessi nell'Ospedale i poveri di Ghemme ed anche quelli di altri Comuni semprechè abbiano ottenuto in Ghemme una residenza fissa non minore di anni cinque e provvisoriamente i non residenti di passaggio, salvo il rimborso delle spese; non potevano essere accettati i minori di anni sette, i cronici incurabili, le donne prossime al parto, gli affetti da mali epidemici contagiosi e sifilitici;
Col passare degli anni l'Ospedale continuò il rinnovo dei mobili e delle attrezzature per migliorare la funzionalità: nel 1873 ad esempio furono acquistate due lettiere di ferro, che erano estremamente più pratiche, ed un cinto di pelle per gli erniosi, nel 1881 ogni letto fu dotato di un cassettone per riporre gli abiti dei malati, una lettiga chiusa per il trasporto degli infermi dalla loro casa all'Ospedale.
Nel 1870 fu aggiunto un quinto letto, per permettere ad un maggior numero di ammalati la cura nell'Ospedale.
Il 1887 vide realizzare una serie di lavori di ristrutturazione al fabbricato.
Nel 1891 il Consiglio decise una riforma del regolamento interno modificando alcuni articoli: le visite agli ammalati furono fissate tra le 10.00 e le 12.00, si vietò l'uso del caffè salvo prescrizione medica mentre le cure dietetiche sarebbero state stabilite dal sanitario; ogni sala fu dotata di una lampada veilleuse da accendere tutte le sere e per tutta la notte; ogni letto ebbe in dotazione una sputacchiera per le relative constatazioni mediche; si decise l'acquisto di una cassetta di zinco per conservare le bende, il cotone fenicato, ecc.;
il tavolo di legno dell'infermeria fu sostituito da uno più robusto coperto di lamiera zincata; per depo-sitare i cadaveri si stabilì di adattare la stalla e scuderia, non più usate.
Per stare al passo coi tempi nel 1893 si dotarono le infermerie di campanelli elettrici allo scopo di rendere più solerte il servizio agli infermi.
Con la riforma del 1895 si decise l'acquisto di una stufa "La Brianzola", che funzionava ad antracite, per diminuire la spesa per la legna ritenuta troppo onerosa. Il risparmio della legna fu così consistente che si acquistarono altre 2 stufe.
Si chiese al medico la prescrizione di medicinali più economici e comunque approvati ed inseriti nella tariffa governativa.
I risultati si fecero sentire subito con una diminuzione netta delle spese così che si poterono aggiungere altri due letti, in un primo tempo a titolo di esperimento per il solo 1897, ma che poi salirono a otto.
Nel 1884 fu deciso di ammettere, se vi era posto, alcuni infermi non poveri, tenuti però a pagare la diaria giornaliera. Si rivelò purtroppo difficile ottenerne il pagamento ed allora il 4 agosto 1908 il Consiglio stabilì l'obbligo di un deposito cauzionale.
La carica di amministratore era solitamente concessa a persone che, vuoi per la posizione nel borgo vuoi per il censo, offrivano garanzie di oculatezza e morigeratezza, oltre ad una disponibilità finanziaria che poteva tornare vantaggiosa all'Istituto, in considerazione del fatto che quasi tutti coloro che avevano occupato un posto nel consiglio avevano lasciato, alla propria morte, un segno tangibile all'Ente.
L'ing. Modesto Crespi, per festeggiare le sue nozze avvenute nel 1904, decise di donare all'Ospedale una sala chirurgica completa ed attrezzata (riportata minuziosamente nel testo). Pose solo alcune clausole, con lo scopo di renderla utilizzabile da tutti gli abitanti di Ghemme:
che i ferri chirurgici possano essere adoperati dai Signori medici anche fuori dell'Ospedale, previo il permesso del presidente, nei casi ordinari, e senza questo nei casi d'urgenza, ma coll'obbligo ai medici di restituirli all'Ospedale nello spazio di 24 ore, e di dare contemporaneo avviso al Presidente sia dell'uso fattone, e sia della restituzione eseguita che chiunque, anche non avente diritto al ricovero, possa farsi trasportare nella sala operatoria per esservi operato, mediante rimborso delle spese di medicazione, di assistenza, di letto, di personale, ecc. in quelle forme che l'Amministrazione avrà cura di stabilire
Nonostante la guerra tra il 1915 ed il 1918, la vita nell'Ospedale continuò a trascorrere abbastanza tranquilla.
Per la segreteria nel 1918 fu acquistata una macchina per scrivere, ormai divenuta indispensabile.
In quegli anni furono compiuti diversi acquisti: nel 1917 due auto bollitori, uno con pentola, ventiquattro berette e si sostituirono i campanelli elettrici;
nel 1921 si fecero arrivare dall'Istituto Rota tre metri di tessuto gommato inglese, una siringa Record da gr. 2, sei aghi rinforzati, dodici termometri prismatici con astuccio di cartone.
In quegli anni si acquistarono anche alcuni strumenti per le cure mediche: nel 1950 una barella completa con tubi d'acciaio, nel 1931 un saccarometro ed un idrosaccarometro, nel 1959 invece fu imposto l'acquisto di dodici maschere antigas per l'antiaerea.
Il 1938 fu un anno importantissimo nella storia dell'Ospedale poiché un Regio Decreto del 30 settembre lo qualificò infermeria civile.
Si trattò di una vera e propria rivoluzione per l'Ente perché le suore furono autorizzate ad aprire una infermeria a disposizione dei cittadini di Ghemme ed anche dei paesi vicini, che qui potevano trovare le cure necessarie per i piccoli problemi, per gli incidenti o le cadute, ecc. L'infermeria fu dotata anche di un letto in caso fosse necessario ricoverare per qualche giorno gli infortunati.
Allo scopo di migliorare l'efficienza dell'Ospedale e fornire nuovi servizi necessari nel 1943 iniziò a funzionare il Reparto Maternità affidato alle cure del medico, delle ostetriche del paese e con la supervisione delle suore.
Le giovani mamme rimanevano nel reparto di solito per dieci o undici giorni.
Le visite erano fissate fra le 14.00 e le 16.00 e, fuori dell'orario solo ai famigliari stretti; le pazienti dovevano seguire scrupolosamente le disposizioni dell'ostetrica curante; la biancheria era lavata a spese delle degenti ed era consigliato di provvedere personalmente a tutto il resto; il neonato doveva essere battezzato prima di uscire dall'Ospedale. Le assistenti notturne si trovavano al proprio posto entro le ore 21.00 in modo tale che alle 21,30 regni il più rigoroso silenzio nelle camere per il buon ordine e il bene delle ammalate stesse.
Nel 1945 l'Ospedale si modernizzò con l'installazione del telefono, ormai divenuto indispensabile per il servizio medico.
Nel 1954 fu operata una ristrutturazione tecnica essendo l'Ospedale qualificato infermeria civile. Si aumentarono i letti: al reparto donne andarono le due infermerie del primo piano, al reparto uomini le tre stanze a piano terreno, già adattate dall'Aeronautica, rimase intatta la maternità.
Si passò così ad un totale di 37 posti letto.
Il 14 febbraio 1962 fu rilasciata la concessione d'utenza d'acqua potabile.
La necessità di un luogo ove gli anziani poveri potessero trascorrere serenamente la loro vecchiaia era sentita dalla popolazione di Ghemme fino dagli anni Venti-Trenta, al punto che si pensò di trasformare l'Ospedale in Ricovero.
La classificazione dell'Ospedale in infermeria civile fece venir meno l'intenzione di trasformarlo in Ricovero ma il problema rimase ben vivo nei Ghemmesi.
Nel 1947, Modesto Crespi, scrisse una lettera all’ospedale al fine di risolvere il problema e si offrì di costruire il fabbricato per il ricovero dei vecchi poveri.
Così scrisse: avrei scelto come luogo più adatto sia per la costruzione, sia per il successivo funzionamento dell'Istituto l'angolo Nord-Ovest della proprietà di codesto ospedale;
Non appena sarà costituito il nuovo ente intitolato al RICOVERO VECCHIO POVERI destinerò ad esso terreno e costruzione a titolo assolutamente gratuito intendendo che ogni mia prestazione in proposito sia a scopo benefico.
Considerato che, nel 1946 su 1554 giornate di degenza ben 942 furono per i poveri vecchi il consigliò accettò la proposta.
La cerimonia d'inaugurazione ebbe luogo il 4 novembre 1949 alla presenza del Vescovo di Novara.
Contemporaneamente l’ECA chiese al Presidente della Repubblica di erigere il Ricovero in Ente morale oltre all'approvazione dello Statuto  che prevedeva all'istituzione lo scopo di provvedere gratuitamente secondo i propri mezzi al ricovero, al mantenimento e all'assistenza dei vecchi poveri d'ambo i sessi, inabili al lavoro proficuo... Potevano essere ammessi gli uomini al di sopra dei 65 anni e le don-ne sopra i 60 anni, salvo casi particolari, con almeno dieci anni di domicilio a Ghemme, non affetti da malattie, e con una particolare preferenza per gli ex dipendenti dell'Industria Crespi.
Il 20 giugno 1967 il medico provinciale fece un sopralluogo all'Ospedale per valutarne la rispondenza alle norme igienico-sanitarie.
La situazione rilevata era assai deludente ed erano necessari consistenti interventi.
Il 12 febbraio 1968 fu emanata una nuova legge ospedaliera che sostituì all'iniziativa caritatevole l'organizzazione statale, con le sue leggi, finanziamenti e programmazione,
Il Consiglio fu dunque impegnato nel trovare una soluzione pensando di progettare un nuovo fabbricato, da costruire nel giardino dell'Ospedale, dove avrebbero potuto trovare posto 20-25 ammalati. Nel frattempo si valutò la possibilità di fusione fra l'Ospedale e la Casa di riposo elevando i posti letto a 40-45.
Mentre erano in fase di definizione i progetti per la fusione e la costruzione del nuovo edificio il 7 ot-tobre 1970 il Presidente della Repubblica decretò l'infermeria "Ospedale della Provvidenza" in ente ospedaliero.
Nel frattempo però il Consiglio aveva chiesto il declassamento dell'Ente per facilitarne la fusione, domanda che ottenne l'approvazione della Regione che il 16 febbraio 1973 decise la revoca del decreto del Presidente della Repubblica e declassò l'Ospedale.
Nel 1975 si approvò in nuovo statuto dell’ISTITUTO DELLA PROVVIDENZA - CASA PER ANZIANI, la nuova denominazione dell’Ente che poteva ospitare, mantenere e assistere gli anziani di ambo i sessi.
Non potevano esservi ammesse persone con malattie tali da richiedere una continua ed assidua assistenza sanitaria; nell'ammissione avevano la precedenza gli anziani a carico dell'Amministrazione pubblica ed in particolare i residenti di Ghemme.
A questo punto termina la mia ricerca perché inizia una nuova storia sicuramente diversa ma sempre rivolta ai “bisognosi”.





 
Dal passato al futuro... un viaggio nel tempo dei templi della salute
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