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MOLFETTA Ospedale Civile Don Tonino Bella

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Il contenuto della scheda deriva integralmente dal testo:
“Il Monte di Pietà e l’Ospedale” carità e assistenza ospedaliera a Molfetta in età moderna e contemporanea – Gaetano del Rosso – Quaderni dell’archivio diocesano di Molfetta, Ruvo, Giovinazzo Terlizzi – 2015.


Nel 1526 Lionetto de Maiora, uno dei 18 nobili preposti nel 1519 al governo della città, asserì di possedere lo jus patronatus sull’Ospedale di Sant’Jacovo e la facoltà di eleggere il successore, cosa che puntualmente fece nella persona di suo figlio Lattanzio. Nel 1419 l’hospitale di S. Jacobo, che già sorgeva nel 1148, è ubicato nel suburbio della città.
Oltre all’ospedale di San Giacomo un’altra struttura ospedaliera risultava essere annessa a una “chiesa dell’Annunziata”: L’ospedale “di Santa Maria Maddalena” o dell’Annunciata. Non si trattava di un vero e proprio luogo di cura, ma, come avveniva in altri posti simili, era un luogo in cui venivano ospitati poveri, pellegrini, forestieri e ammalati privi di risorse economiche, né che potesse far fronte a situazioni di grave emergenza.
L’amministrazione comunale rivolse continua attenzione alle fabbriche della struttura ospedaliera per renderle sempre più funzionali, nonostante la difficile disposizione strutturale e logistica degli edifici, ottenuta dall’unificazione di precedenti immobili.
L’infermeria con otto letti in legno, disposti tre su un lato e cinque sull’altro, mentre dalla volta pendeva il candelabro per l’illuminazione notturna. Al centro della corsia era collocato l’altare con sopra l’immagine della Beata Vergine della Pietà. Su quest’altare si celebrava soltanto quando in corsia erano presenti infermi ricoverati. Dall’infermeria si accedeva ad un’altra sala, posta ad un livello superiore, riservata alle inservienti per la cura delle attrezzature mediche.
Dall’inventario dei beni riportato nella visita pastorale di Pompeo Sarnelli del 1699, si apprende anche dell’esistenza di una sala riservata all’accoglienza dei pellegrini, dotata di quattro letti in paglia.
Il personale operante era composto da un cappellano che dirigeva la struttura, uno o due inservienti che accudivano agli ammalati e il medico condotto, mentre due visitatori vigilavano, regolarmente, sul buon andamento dell’ospedale. Inoltre, secondo i criteri della cultura dell’epoca, che poneva al centro dell’interesse del malato la salvezza dell’anima, prima ancora della salute del corpo, il confessore era ritenuto più importante del medico, dando così precedenza alla cura della salute spirituale rispetto a quella fisico.  In quest’ottica non sorprende il richiamo fatto dal vescovo monsignor Giovanni Antonio Bovio, nel 1609, che ricordava «alli medici l’obbligo che hanno di avvisare gl’infermi à chiamarsi li medici dell’anime loro, et passati li tre giorni di non li curare, ne visitare più se non si saranno confessati».
La politica riformatrice murattiana, con decreto dell’11 febbraio 1809 stabilì che l’amministrazione degli Ospizi e degli Ospedali venisse affidata a un Consiglio Generale di Amministrazione, chiamato Consiglio Generale degli Ospizi, istituito in ogni capoluogo di provincia. In seguito, il decreto del 7 agosto 1809 dispose la soppressione di tutti gli Ordini religiosi possidenti e i loro beni furono trasferiti al Demanio Regio per poi esser destinati ad altri usi.
Anche Molfetta soggiacque alle leggi murattiane.
Il 18 ottobre 1811 l’Ospedale trovava migliore sistemazione logistica all’interno dell’ex convento degli Zoccolanti. Con il trasferimento della struttura ospedaliera e per effetto del decreto dell’8 maggio 1813, emanato dal Consiglio Generale degli Ospizi, la Confraternita del Monte di Pietà fu costretta a lasciare la gestione del nosocomio, che fu affidata ad una commissione eletta dal Decurionato.
Otto mesi dopo, però, con un nuovo decreto n. 3945 del 10 marzo 1837, il re riaffidava la gestione dell’Ospedale al Monte di Pietà, mentre il Comune, dietro un esborso annuo di 800 ducati a favore della struttura, conservava il diritto di controllo sulla gestione dei fondi e quello della visita periodica da parte dei membri della Commissione Comunale di Beneficenza. Il decreto obbligò il Comune a vigilare sull’operato della Confraternita e a visitare l’ospedale mensilmente, oltre che ad integrare la quota di 800 ducati qualora la somma si fosse rivelata insufficiente.
Con il trasferimento dell’Ospedale nei nuovi locali dell’ex convento degli Osservanti l’istituzione ebbe a disposizione cinquanta camere e poté disporre di quaranta posti letto di cui ventidue gratuiti per i malati indigenti e i restanti diciotto a pagamento, a carico del Comune o dei ricoverati. Tra loro vi erano molti militari e pazienti provenienti dai comuni limitrofi, per i quali era previsto il pagamento di una retta. Nel nosocomio prestavano servizio un medico ed un chirurgo effettivi, ognuno con un sostituto, oltre ad un infermiere e ad una infermiera, un inserviente, un barbiere e un “portinaro”.
Nell’Ospedale per aver maggiore cura dei reparti, per il servizio di assistenza agli ammalati e sostenere le attività caritative della confraternita del Monte di Pietà, nel 1838 fu istituita una associazione di donne benestanti sotto il titolo di “Divote della Carità”. La Pia associazione era costituita da gentildonne che avevano assunto l’impegno di aver cura degli arredi dell’Ospedale, dei letti e della biancheria. L’iniziativa ebbe vita breve e pochi anni dopo la pia associazione fu sostituita dalle suore di San Vincenzo de’ Paoli, le “Figlie della Carità” che arrivarono nel 1854.
Il nosocomio molfettese, nei primi anni del Novecento, era ancora inteso come luogo di assistenza e di cura, ai soli fini della carità e della beneficenza.
Infatti, all’art. 1 si precisava che:

«saranno accolti nello Spedale, colle formalità prescritte dall’art. 15 del Regolamento Igienico del 28 Dicembre 1872, ed approvato il 20 Dicembre 1873, tutti gl’Infermi poveri del Comune di Molfetta, che, trovandosi affetti da ferite, piaghe curabili, e malattie acute, non possono per la lor miseria e condizione finanziaria curarsi nelle proprie case. Non saranno ammessi Infermi affetti da cronicismo.

Il nuovo Statuto del 1903 prevedeva anche la modalità di somministrazione dei pasti e la cura che i medici dovevano avere nel visitare i malati. L’art. 4 prescriveva, in particolare, la dieta che i ricoverati dovevano eseguire, riportando i dati concernenti il fabbisogno giornaliero di pasti, inoltre indicava le quantità dei singoli prodotti da consumare con riferimento alle prescrizioni dei medici. Una voce specifica era riservata sia ai militari sia a chi era in grado di poter pagare la retta di ricovero. A differenza di altri ricoverati, per questi le porzioni di carne, pane e pasta erano maggiori, così come la quantità di vino, mentre non erano prescritti il formaggio e i cereali. Lo Statuto contemplava altresì il ricovero di ammalati non residenti nel Comune di Molfetta.
In questo caso era indicata la somma da versarsi per il ricovero, così come fu indicata la dieta da eseguirsi.
Lo Statuto conteneva precise indicazioni in merito al lavoro svolto dai medici e imponeva l’obbligo alla visita quotidiana e all’analisi sia della qualità dei farmaci sia del vitto somministrato ai degenti. Inoltre, un articolo a parte prescriveva gli obblighi riservati al Rettore dello Spedale, ossia il Cappellano o assistente spirituale. Su di lui ricadeva il compito di prestare le necessarie cure spirituali agli ammalati dell’Ospedale, di curare le celebrazioni nella chiesa di San Bernardino.
Lo statuto del 1929 all’art. 34 richiedeva un “corredo” da assegnarsi agli ammalati al momento dell’ingresso in ospedale.
Lo statuto del 1931 continua a precisare che il ricovero in ospedale doveva essere gratuito per gli infermi poveri, mentre per coloro che erano in grado di provvedere al pagamento di una retta si applicava quanto previsto dalla normativa statale. Gli articoli varati il 25 maggio 1931, inoltre, obbligarono al ricovero in reparti separati i bambini e i giovani inferiori ai quindici anni, così come continuano a non essere ammessi ammalati cronici.
Nel 1938 fu registrata una piena efficienza di tutti i reparti. La degenza media giornaliera salì dai 15 ammalati del 1937 ai 25 del 1938.
Il 4 maggio 1939 la struttura fu classificata di terza categoria.
Nel 1950 la struttura ospedaliera subì ristrutturazioni e rifacimenti.
Nel 1958 furono attuati alcuni lavori di manutenzione e di restauro di alcuni locali ospedalieri, mentre altri furono trasformati.
La guerra del 1915-1918 causa un progressivo peggioramento delle condizioni di vita; pur tuttavia, nonostante le difficoltà causate dalla guerra, l’Ospedale non smise mai di funzionare, anzi incrementa la propria attività facendo fronte ai numerosi interventi curativi per ferite provocate dalle esplosioni di bombe, ordigni e armi da fuoco. All’epoca presso l’Ospedale lavoravano soltanto tre medici affiancati dalle Suore di San Vincenzo.
L’Ospedale dovette fare i conti con la dura realtà postbellica. Tutta la struttura sanitaria disponeva di pochi strumenti professionali, scrupolosamente conservati e salvati dalla distruzione del conflitto. Si pensi che garze, bende, fasce e qualche attrezzo sanitario furono acquistati dai pescatori, i quali durante le battute di pesca imbarcavano le cassette sanitarie e di pronto soccorso che gli Alleati avevano lanciato dagli aerei o dalle navi. Garze e bende venivano lavate e sterilizzate accuratamente dalle Suore della Carità prima di essere adoperate.
La beneficenza dei molfettesi a favore dell’Ospedale Civile rimase un aspetto costante nel tempo.
Infatti, numerose furono le donazioni.
Il 21 marzo 1910 fu organizzata una serata di beneficenza per ricavare fondi. La serata prevedeva oltre alla presentazione del bilancio della Società di Pubblica Assistenza, anche la presentazione di una barella dotata di tutte le ultime tecnologie da adoperarsi presso il locale nosocomio.
Nel mese di settembre 1910 fu organizzata una lotteria pro-ospedale.
Innovazioni interessarono anche il trasporto degli ammalati. La vecchia barella a mano fu sostituita dalla nuova ambulanza “Austin” (riutilizzando un’ambulanza delle truppe alleate, probabilmente britanniche).
Il 25 febbraio 1953, al fine di raccogliere fondi per l’Ospedale e per finanziare l’acquisto di un Polmone d’acciaio, fu organizzata una “Pentolaccia”.
Nel gennaio 1954 il Consiglio di Amministrazione valutò l’opportunità di costruire un nuovo e moderno ospedale, essendo ormai insufficiente e carente la struttura quattrocentesca di San Bernardino; gravi le carenze degli impianti di riscaldamento, nonché l’allacciamento alla rete idrica urbana; cinquanta vani mal disposti e resi umidi dalle infiltrazioni di acque pluviali provenienti dal sottosuolo. Si rendeva quindi necessaria la creazione di un nuovo padiglione.
La posa della prima pietra per la fondazione del nuovo edificio avvenne il 18 maggio 1958.
L’Ospedale fu reso fruibile dieci anni dopo la posa della prima pietra.
La vecchia sede di San Bernardino continuò a funzionare a pieno regime con circa 60 posti-letto, e in alcuni periodi raggiunse anche picchi di 80-90 degenze.
Nel 1960 cessò di essere amministrato dall’Opera Pia e passò sotto il controllo amministrativo della Provincia. L’Opera Pia, invece, conservò la personalità di Istituzione Pubblica di Assistenza e di Beneficenza e mantenne la gestione ospedaliera.
Il 16 maggio 1966, le Figlie della Carità di San Vincenzo, per dissensi con l'Amministrazione, lasciarono sguarnite le corsie dell’Ospedale.
Per sostenere la situazione l’amministrazione dell’Opera Pia richiese alle suore Oblate dell’Opera Don Grittani di prestare l’attività assistenziale.
Alle Oblate, dal 1962 subentrarono nel servizio ospedaliero le Suore Adoratrici del Preziosissimo Sangue, le quali assolsero questo impegno fino al 1974. In seguito il servizio ospedaliero fu svolto delle Suore Salesiane dei Sacri Cuori fino al 1985.
Intanto proseguivano i lavori per completare l’edificazione di un nuovo nosocomio inaugurato il 28 aprile 1968.
Nel 1969, anno in cui entrò in vigore la legge Mariotti, che trasforma gli ospedali delle Opere Pie in Enti Pubblici Ospedalieri, cessò la gestione effettuata dall’Opera Pia Monte di Pietà.
Il 6 ottobre 1978, l’Ospedale fu consacrato al Sacro Cuore di Gesù.
La Regione Puglia, con la Legge n. 5 del 20 gennaio 1975, determinò la regionalizzazione dell’assistenza ospedaliera.
Il primo Piano Sanitario Nazionale (PSN), relativo al triennio 1994-1996, ribadì la necessità di sviluppare il sistema di aziendalizzazione e di procedere ad una riorganizzazione della rete ospedaliera.
Dal 1° gennaio 1995 scomparve la Usl Ba/6 di Molfetta-Giovinazzo e le due città furono inglobate nella nuova e più estesa Usl Ba/2.
La stessa legge finanziaria prevedeva la riorganizzazione del settore sanitario e la trasformazione degli ospedali in vere e proprie aziende, nelle quali il concetto di paziente cedeva il posto a quello di fruitore di un determinato servizio offerto con qualità e competenza.
Nel 1995 la direzione sanitaria dell’Asl deliberò l’unificazione amministrativa degli ospedali di Molfetta e Bisceglie, stabilendo altresì che unico sarebbe stato il responsabile amministrativo e sanitario.
La riforma però, non sortì i risultati sperati. Infatti, a partire dalla fine del 2001 l’Ospedale di Molfetta entrò in una cupa fase di incertezza. Sorsero nuovi dubbi e interrogativi sull’efficienza dell’ospedale e incominciarono anche a circolare voci circa una probabile chiusura dell’intero nosocomio.
L’Ospedale di Molfetta, pur avendo una struttura di buon livello, considerata la migliore presente sul territorio, non possedeva tuttavia il personale per farla funzionare adeguatamente o per garantire l’assistenza, sicché dopo numerose polemiche, fu definitivamente chiuso il reparto di Ginecologia.
Nel corso degli ultimi anni gli indici statistici attestavano una bassa affluenza presso il nosocomio molfettese perciò il rischio che sopraggiungesse la sua chiusura diventava sempre più concreto.
L’Ospedale di Molfetta riuscì a superare il periodo critico conservando 50 posti-letti in Medicina, 10 in Cardiologia, 4 nell’Unità di Terapia Intensiva per le patologie cardiache, 15 in Psichiatria – trasferiti da Bisceglie –, 20 in Neurologia e altrettanti destinati alle malattie respiratorie.
Purtroppo, nonostante i buoni propositi, le polemiche infuriarono. Non si comprendeva come mai era stato privato l’Ospedale di Molfetta di tanti servizi a vantaggio di quello biscegliese, nonostante quest’ultimo non disponesse di sale operatorie adeguate, presenti invece a Molfetta.
Nel 2003 la Regione Puglia chiuse molti reparti. Il risultato a cui si pervenne fu il pesante ridimensionamento dell’Ospedale, che giunse ad avere appena 65 posti-letto.
Dal 2007 l’Ospedale di Molfetta ha fatto registrare significativi mutamenti positivi in virtù dei finanziamenti ottenuti dalla Regione Puglia. In Ospedale furono avviati diversi lavori per l’adeguamento e per la messa a noma degli impianti e degli ascensori.
Nel 2008 l’Ospedale fu intitolato a mons. Antonio Bello. La nuova intitolazione era frutto di una petizione popolare, avviata da un comitato spontaneo di cittadini che raccolse 2.000 firme perché l’Ospedale Civile fosse intitolato al compianto Vescovo di Molfetta.




 
Dal passato al futuro... un viaggio nel tempo dei templi della salute
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