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PORTO POTENZA Ospedale Bonaccorsi

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Il contenuto della scheda è tratto integralmente da:   L’Ospedale Bonaccorsi di Monte Santo Isabella Torresi - STUDI MACERATESI, 50 - Celebrazione dei 50 anni di attività - Le Marche centro-meridionali. Nuovi studi e ricerche - Atti del L Convegno di Studi Maceratesi - Abbadia di Fiastra – Tolentino, 15-16 novembre 2014), Macerata 2016

Con il testamento del 29 settembre 1729 il Bonaccorsi stabilì di destinare cinquanta luoghi di monte «camerali, non vacabili» per l'istituzione di un ospedale, nel quale si doveva provvedere alla salute dei «poveri infermi tanto del luogo che contadini del territorio».  Il 24 maggio 1735, integrò le risorse finanziarie necessarie alla realizzazione del suo progetto caritatevole con altri dieci luoghi di monte. Anche «dieci legati» appartenuti a suo fratello dovevano confluire nel patrimonio dell'ospedale. Nel suo testamento, il Bonaccorsi assegnò l'onere di amministrarla e di controllarla all'arcivescovo di Fermo. Com'era doverosa consuetudine per tutti i benefattori del tempo, dovette predisporre delle misure volte a tutelare anche la salute spirituale dei ricoverati. Suggerì pertanto di affidare ai religiosi della locale Compagnia di Gesù o a dei preti secolari il compito di confortare i malati e di aiutarli nel recuperare con «la sanità del corpo anche quella dell'anima». Bonaccorsi procedette alla ricerca dell'immobile da utilizzare come sede dell'ospedale. L'occasione si presentò il monastero di Santa Caterina messo in vendita dalle Suore non più in grado di mantenerlo. L'apertura dell'ospedale risalirebbe al 1735. Probabilmente i poveri infermi poterono usufruire dell'opera pia ancor prima della sua data ufficiale d'istituzione, il 3 agosto 1734.
La documentazione settecentesca di questo ente assistenziale, conservata presso l'archivio storico di Potenza Picena, è costituita prevalentemente da una serie  d'inventari. Per gli ammalati si elencava la biancheria usata o nuova che comprendeva tra l'altro camicie da uomo e da donna, lenzuoli, coperte di cui alcune «rosse di mezzalana per cavare il sangue», asciugamani, fazzoletti, «pagliacci, stramazzi», guanciali. Uno «zinale di tela rossa» era riservato al chirurgo. L'arredamento era costituito da tavole per il letto, trespoli, comodini, credenze, sedie di cui una con «stanghe per trasportare gli infermi» che potevano avere a disposizione anche delle stampelle. La cucina disponeva di piatti, coltelli, posate, pentole, graticole, calderoni, scaldaletti, recipienti per misurare il vino che si somministrava ai malati. Nella stanza del ministro c'erano un letto, delle sedie, due bilancini per pesare gli zecchini e l'archivio dove si conservavano tra l'altro la bolla della prima erezione, le patenti dei luoghi di monte, l'inventario, i libri riguardanti l'entrata e l'esito, i registri degli ammalati, dello speziale e i medicinali.  Al ministro, come si evince dalle varie missive.  Per quanto riguarda invece l'Ottocento e il Novecento, la documentazione conservata presso l'archivio storico di Potenza Picena è piuttosto vasta e consente di risalire con precisione ai momenti più significativi della storia dell'ospedale prima della sua estinzione.   Nel 1808 era generalmente in grado di «ricevere almeno venti infermi».  Il personale impiegato nell'opera pia  era costituito da uno «<spedaliere», che assisteva i malati e nei casi d'emergenza era aiutato dalla moglie. I «professori di medicina e di chirurgia dovevano presentarsi a visitare gli infermi con particolare disciplina per obbligo imposto dal comune». In seguito alle difficoltà economiche l'ospedale aveva dovuto rinunciare al cappellano fisso.   Le finanze dell'ente assistenziale in realtà esigevano costanti iniezioni di denaro per fronteggiare la crescente richiesta di aiuto da parte della popolazione. Fortunatamente il 2 febbraio 1869, la vedova Pierandrei, Albina Gezzi nominò erede universale di tutto il suo patrimonio l'ospedale Bonaccorsi affinché si «restaurasse purgandolo di ogni sudiciume, rendendolo nel miglior modo salubre, decente, fornendolo di letti, tende, biancheria, suppellettili e arnesi tutti necessari al pio stabilimento e reclamati dalla progressiva civilizzazione». Per sua volontà, inoltre, la gestione interna dell'opera pia fu affidata alle Suore della Carità.  Il 27 febbraio 1872, la Congregazione di carità approvò lo statuto organico e il regolamento interno dell'ospedale. Si ribadiva, nel rispetto della volontà del fondatore, che l'opera pia aveva come scopo quello di ricoverare, di curare, e di alimentare i poveri infermi privi dei mezzi di sussistenza e che fossero affetti da <<malattie acute e non croniche o infettive». Si accoglievano a pagamento anche persone malate che erano di passaggio a Potenza Picena o che vi dimoravano provvisoriamente. Il numero degli infermi da accogliere era stabilito nei bilanci preventivi.   Il 16 maggio 1909, il testo di questo statuto fu modificato in alcuni punti. Per chi soffriva di malattie contagiose, il ricovero avveniva solo quando si poteva garantire «un isolamento riconosciuto consono dalle autorità sanitarie». Se era possibile, la degenza dei fanciulli  d'età inferiore ai quindici anni avveniva in locali separati. Nel caso di ricoveri eccedenti il numero dei letti disponibili per la cura gratuita, la precedenza era accordata agli infermi che a giudizio del dottore avevano un bisogno più urgente di soccorso.  Un'altra novità fu introdotta all'articolo dieci dove fu sancito che «nessuna pratica di culto poteva essere imposta ai ricoverati. Essi potevano farsi assistere dai ministri del culto al quale appartenevano».  Al primo piano c'erano la camerata per gli uomini, la cucina, il refettorio, la dispensa, la cappella, la sagrestia, il guardaroba e la sala per la ricezione dei malati. Al secondo piano si trovavano il locale dove erano ricoverate le donne, il dormitorio per le Figlie della Carità e due stanze, una per il cappellano e l'altra per il bidello.  In ogni camerone i letti dovevano stare distanti l'uno dall'altro almeno un metro ed erano contrassegnati da un numero progressivo con un'etichetta indicante le generalità dell'infermo e la diagnosi della malattia.  Al mattino, dopo le pulizie, i malati erano visitati dai dottori, il cui arrivo era annunciato dal bidello mediante il suono di un campanello. Alle ore undici iniziava la somministrazione delle vivande.  Nel primo pomeriggio i dottori ritornavano a controllare i pazienti.  La sezione dedicata ai «doveri degli infermi» comprendeva delle regole piuttosto ferree. Appena arrivato ogni malato doveva consegnare i suoi effetti personali alla direttrice che li avrebbe conservati nel guardaroba. Era vietato parlare, leggere ad alta voce, fumare, passeggiare per l'ospedale e «rigorosamente qualunque relazione degli uomini colle donne».  Non si potevano pronunciare in pubblico «<lagnanze sul condimento o sulla qualità e quantità del vitto o sulla cura dell'infermiera o per qualunque altro motivo».  Qualora l'infermo avesse avuto delle rimostranze da fare doveva rivolgersi alla direttrice o al deputato della congregazione di carità. Non erano tollerati gli «irrequieti, i turbolenti, chi bestemmiava, chi turbava l'ordine pubblico».   Il silenzio doveva regnare sovrano in quel luogo. Era proibito qualsiasi gioco in particolare quello delle carte. Mettere da parte per i parenti il cibo che si riceveva era un atto considerato alla stregua del furto. I malati che trasgredivano rischiavano tra l'altro l'espulsione che comunque poteva essere inflitta dalle autorità solo dopo aver consultato il dottore.  Per una sola ora del mattino e del pomeriggio di ogni martedì, venerdì e domenica  i malati potevano incontrare i parenti.  Il deputato vigilava sull'andamento dell'ospedale, che doveva visitare due volte la settimana, per controllare i documenti.  L'infermiera oltre a svolgere le sue mansioni canoniche doveva controllare affinché non si commettessero delle frodi a danno degli infermi e che questi non facessero mercimonio con i cibi».  Il bidello era nominato dalla congregazione di carità per concorso e doveva essere una persona dotata di buone qualità morali e civili. Era o obbligo «fare la spesa giornaliera, recarsi all'ufficio postale per ricevere e spedire lettere appartenenti alle suore o ai ricoverati, aprire e chiudere nelle ore prestabilite il portone dell'edificio».   Egli somministrava anche i medicinali su richiesta dell'infermiera.  Durante il periodo fascista con la soppressione delle congregazioni di carità, avvenuta nel 1937, l'amministrazione dell'ospedale passò all'ECA, che nell'assemblea del 18 gennaio 1938 deliberò la stipulazione di una convenzione tra l'ospedale civile di Potenza Picena e l'Ufficio Provinciale Fascista di collegamento e gestione delle casse mutue di malattia dell'industria. Verso la fine del 1944 il fabbricato dell'ospedale fu riattato di nuovo e ripulito convenientemente.   Negli anni Cinquanta, i cambiamenti che si verificarono sul piano economico, sociale e politico determinarono l'avvio di un processo di riconversione dell'opera pia. Dal primo gennaio 1953 era cessata la convenzione con l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro le malattie (I.N.A.M.) determinata dalla mancanza di un'adeguata attrezzatura ospedaliera.  L'ospedale continuò comunque a fornire i suoi servizi come pronto soccorso e per le attività ambulatoriali.  Il 31 maggio 1960 i militari lasciarono i locali dell'ospedale  che avevano occupato negli anni precedenti.  L'istituzione in base alla legge n. 132 del 12/2/1968, non aveva i requisiti per essere qualificata come ospedale. Il 14 dicembre 1973, pertanto l'ECA approvò la devoluzione del patrimonio dell'opera pia Bonaccorsi alla casa di riposo di Potenza Picena, determinando così la sua estinzione.  Successivamente la struttura dell'ex ospedale fu adibita sempre a vari usi: studio del medico condotto, laboratorio di confezioni nel 1972 (93), poliambulatorio, sede di associazioni ricreative per anziani e per giovani. Il 4 ottobre 2013, è stato dichiarato dalla Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici delle Marche oggetto d'interesse storico e architettonico. Un atto doveroso per non far cadere nell'oblio l'istituzione.


 
Dal passato al futuro... un viaggio nel tempo dei templi della salute
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