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GEMONA Ospedale S. Spirito

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Nel mio lavoro di ricerca ho trovato il PDF della Tesi  di dottorato di ricerca “Storia di Gemona nel Basso medioevo” del Dott. Enrico Miniati Anno accademico 2012-13.
Non è stato semplice rintracciare il Dott. Miniati ma la perseveranza premia. Contattato si è reso pron-tamente disponibile nel concedermi l’autorizzazione ad utilizzare le parti di mio interesse. E’ sempre difficile però il dover riassumere in poche righe un lavoro minuzioso, ricco di riferimenti e annotazioni bibliografiche,  frutto di un lungo lavoro di ricerca. Mi sono limitato, come per tutte  le altre schede, nel riportare i punti più salienti (a mio parere) ma se chi mi legge volesse saperne di più può trovare il tutto nel volume da lui pubblicato: Gemona nel Basso medioevo - Società Filologica Friulana - Collana: Genti e luoghi del Friuli , Nr. 3 - 2020

Fu edificato all’inizio del Duecento per volontà del vescovo Marzutto, membro della famiglia dei signori di Gemona, i quali,  saranno poi conosciuti come Di Prampero. Secondo la tradizione nel 1213 Marzutto ed altri suoi parenti (dominus Enrico, dominus Busuto o Vasoto e dominus Mattia) dopo aver deciso la fondazione di un ospedale donarono a questo istituto numerosi beni immobili situati sia in regione che in Carinzia, promuovendo così lo sviluppo dell’ente. L’ospedale, che era indicato nei documenti come S. Spirito solo a partire dal Trecento, mentre in origine era chiamato di S. Maria dei Colli, venne costruito qualche chilometro a nord di Gemona. Il luogo in cui si decise di edificare la struttura era infatti strategico, in quanto oltre ad essere una zona dove di solito i viandanti potevano aver bisogno di aiuto e di assistenza, permetteva anche di esercitare un controllo quasi totale sul transito delle persone e delle mercanzie che provenivano da nord. Il nosocomio era inoltre anche una delle prime fondazioni assistenziali di un certo rilievo nate nell’area pedemontana:
Nel primo periodo di attività l’ospedale di S. Spirito era amministrato da alcuni religiosi, forse coadiuvati da persone aderenti ad una confraternita, la quale operava sempre sotto la protezione e la supervisione dell’importante famiglia nobiliare che promosse la fondazione dell’ente. Verso la fine del secolo XIII l’istituto, per ragioni ancora da capire, venne però aggregato all’Ordine di S. Spirito in Sassia, al quale in questo periodo si affiliavano numerosi enti assistenziali in tutta Europa. Da questo momento in poi, al fianco della famiglia Di Prampero, l’istituto ospedaliero sarà fino alla metà del Quattrocento direttamente soggetto ad un precettore generale con sede a Roma. Lo sviluppo e la crescita dell’ospedale di S. Spirito continuò  senza sosta fino alla fine del secolo XIV. A partire dal tardo Duecento attorno agli edifici dell’ospedale vennero  edificate altre costruzioni, probabilmente connesse con i servizi offerti ai pellegrini ed ai mercanti o collegate al personale che lavorava presso l’istituto. Nacque così un piccolo borgo che circondava la struttura assistenziale e la chiesa, il quale prese il nome di villa di Hospitale. Nel corso dei secoli XIII e XIV l’ospedale fu inoltre continuamente oggetto di cospicue donazioni. Nel 1233, ad esempio, tale domina Riccarda del fu dominus Enrico lasciò in eredità all’ospedale un manso, mentre vari radicamenti fondiari (braide e baiarzi) sparsi per il distretto gemonese e per la regione, entrarono a far parte del patrimonio dell’istituto. Appare abbastanza evidente che grazie ai cospicui lasciti accumulati tra la prima metà del Duecento ed il secolo successivo il patrimonio dell’ente era nel Trecento molto consistente, tanto da poter offrire ai bisognosi un buon livello di assistenza. Le pergamene in nostro possesso, sopravvissute forse perché documenti non di uso corrente, come potevano essere all’opposto i registri contabili o l’inventario dei beni, confermano, anche se in maniera impressionistica, la flessione delle entrate e delle donazioni nel corso del Quattrocento. Sembra che proprio nel momento in cui la realtà sociale gemonese aveva più bisogno di strutture ospedaliere, si aprisse per S. Spirito un periodo torbido e di relativa crisi. È probabile che le modalità di gestione dell’ente, la dipendenza da Roma, e il conseguente drenaggio di risorse da parte della sede centrale, rendessero avulso l’ospedale da quella che era la realtà gemonese, dirottando parte delle forme di beneficenza verso altre strutture. All’inizio del 1500 l’assetto organizzativo dell’ospedale di S. Spirito si presenta infatti fragile ed incerto, evidenziando uno stato di sofferenza che si era alimentato per l’appunto a partire dal Quattrocento. Nel 1503 il precettore generale dell’Ordine di S. Spirito in Sassia scriveva da Roma una lettera diretta al Consiglio Comunale di Gemona lamentandosi tra le varie cose anche dell’avvenuta scomparsa del libro dell’inventario delle possessioni.  Già nel pieno Trecento la documentazione superstite rivela un crescente numero di provvedimenti esecutori concessi dal capitano di Gemona contro i debitori dell’ospedale, segno di una difficoltà a riscuotere gli affitti e le rendite nei tempi stabiliti. Nella seconda metà del secolo ben sette furono le richieste fatte dal priore al capitano della città per procedere con escomi e altri provvedimenti drastici contro gli affittuari insolventi. In linea generale la litigiosità dell’ospedale verso la fine del Trecento aumenta ancora, coinvolgendo addirittura la curia pontificia.
Nel 1397 con un Breve indirizzato all’istituto, papa Bonifacio IX delegava un giudice per ricomporre una lite che vedeva contrapposta al direttivo dell’ospedale l’abbazia benedettina di Moggio. Nel corso del Trecento la parabola di sviluppo dell’ente assistenziale dovette inoltre fare più volte i conti con distruzioni provocate da cause esterne. Nel 1307 i soldati del conte di Gorizia impegnati nella difesa di Venzone devastarono  il borgo di Hospitale. Nel 1360, durante le fasi di un conflitto che vedeva contrapposte Venzone e Gemona, l’ospedale subì seri danni  e ancora nel 1397 la chiesa e gli edifici contermini furono soggetti ad un incendio. Le continue e ripetute alienazioni di porzioni di patrimonio utilizzate per riparare i danni minarono dunque il lineare sviluppo dell’istituto assistenziale, il quale pagava la sua posizione assolutamente centrale nell’itinerario commerciale e la sua conseguente scarsa difendibilità. Nel corso del Quattrocento, nonostante la fondamentale attività di assistenza dispensata, lo stato di crisi era ormai cronico. Attorno alla metà del secolo intervennero attivamente per controllare e porre sotto la loro diretta amministrazione l’istituzione assistenziale. Sembra tuttavia che le istituzioni pubbliche non siano riuscite, nonostante alcune gestioni particolarmente rigorose, a modificare radicalmente la situazione di crisi. Nel 1503 il Precettore generale dell’ordine da Roma, nella stessa lettera già citata in precedenza, scriveva infatti alla Comunità di Gemona che nell’ospedale da molti anni non si fanno più le dette beneficienze, le fabbriche minacciano rovina, non si esigono le rendite, per le quali cose non si possono sovvenire i poveri concorrenti all’ospedale e i bambini ivi esistenti.  In epoca moderna l’ospedale continuò comunque la sua attività che si concluse nell’agosto del 1785 con la chiusura della struttura per volontà del Consiglio Comunale di Gemona.


 
Dal passato al futuro... un viaggio nel tempo dei templi della salute
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