ODERZO Ospedale Pompeo Tomitano - Ospedali d'Italia

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ODERZO Ospedale Pompeo Tomitano

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Il contenuto della scheda deriva in larga misura dal libro del giornalista Giuseppe Migotto, che voglio ringraziare per il supporto datomi nell’elaborazione  dei contenuti sotto riportati, intitolato: L’ospitale di Oderzo e l’assistenza sul territorio, dalle confraternite medievali alla comunità multietnica – Antiga Edizioni – 2012.

Non è stato facile riassumere in poche righe un tale lavoro pregno di storia e frutto di una ricerca bibliografica approfondita. Il messaggio che voglio trasmettere è che il testo descrive situazioni e anticipa problemi con i quali ci misuriamo ancora oggi.

Le pratiche per colmare la carenza di una struttura di assistenza sanitaria, resa più grave da ricorrenti epidemie, erano iniziate nel 1880. Ma già nel 1858 era partita, per iniziativa del Nobile dottor Francesco Pigozzi, una raccolta di fondi per costruire il nuovo complesso. l'ingegner Giovanni Brasi  e il dottor Giuseppe Malandrini, anche sotto la spinta dall'avvio dal primo gennaio 1881 a Motta di Livenza di un ospedale comunale, si erano recati in visita a vari nosocomi per studiare la fondazione di un ospedale Distrettuale. Un tempo l'ospedale sorgeva in Borgo Maddalena, di fronte alla chiesa omonima, accanto al Convento delle Monache Domenicane, retto fino alla prima metà del ‘500 dai Frati Eremiti.
Nel 1872 dilaga  il vaiolo. in Borgo delle Grazie, è allestito un ospedale per contenere il contagio. I posti letto sono quattro. E poiché le disgrazie non arrivano mai sole, il dottor Namias viene chiamato dai medici e sindaci del distretto a visitare sul posto i casi di colera a Cessalto. Vi era stata colpita una famiglia in 12 dei suoi 17 membri, con alta mortalità. Il morbo si era propagato anche agli infermieri chiamati ad assistere i malati e alla donna che ne avevano lavato i panni. Il medico ritenne che la malattia fosse stata portata dagli zingari o dal vicino Livenza sulle rive del quale approdavano barche provenienti dall'Istria. Tuttavia si provvide all'apertura del Lazzaretto affidato alla custodia notturna del “canicida” Francesco Catto incaricato anche di sorvegliare sull'isolamento degli infermieri. A causa della pestilenza venne ordinato lo spostamento fuori dell'abitato del mercato bovino. Con successiva ordinanza sia le fiere della Maddalena che il mercato settimanale furono sospesi. Nel 1873, il territorio dovette fare i conti con il colera. Il sindaco di Oderzo scrive in data 19 luglio al parroco di Faè  motivando le misure e i provvedimenti per impedire la diffusione del male. Con riferimento a due casi manifestatisi giorni prima, così si esprime: l'opera del Municipio non raggiungerebbe certamente lo scopo se coadiuvasse quella pure dei privati, i quali con un regime di vita regolata, con la maggior nettezza così delle persone come della casa possono allontanare da sé e dagli altri il temuto morbo. Bisogna poi che al primo comparire di qualche sintomo di male si persuadano tutti di ricorrere immediatamente al medico, la cui assistenza, nella massima parte dei casi, riesce ad arrestare nei suoi primordi il corso del morbo. La lettera si chiude con un invito a raccomandare alla popolazione intera fiducia nei medici e nelle autorità e a non temere i sequestri quando li detti l'assoluta necessità di impedire la propagazione del male e di risparmiare dalle conseguenze le famiglie e le popolazioni.
Nel registro delle deliberazioni dell’Opera Pia Pompeo Tomitano si legge che, per costruire il nuovo edificio, il Consiglio di amministrazione, in data 15 aprile 1901, autorizza il Presidente della Congregazione di Carità a trattare in via definitiva per l'acquisto, in concorso con la locale Pia Casa di Ricovero, del terreno e stabile dei minori Da Re, mediante il quale acquisto si potrebbero raggiungere due scopi: quello di offrire  modo, alla Casa di Ricovero, di sciogliere la questione di un più comodo e conveniente collocamento della stessa, l'altro di porre l'Ospitale in condizione di erigere il proprio edificio senza troppo suo sacrificio. Nello stesso anno viene istituita una condotta medico-chirurgica in consorzio con il Comune di Oderzo e le Opere Pie Ospitale Civile Pompeo Tomitano, Casa di Ricovero e Lippomano Querini Stampalia. Intanto il fabbricato  del possesso Da Re potrebbe essere adibito ad uso ospitale, con la capacità di 10 o 12 letti, almeno per i casi più gravi ed urgenti, senza che il paese debba assistere, quasi giornalmente, al pietoso trasporto di tanti infelici presso altri ospedali con grave disagio e pericolo. Si fa avanti la locale Congregazione di Carità per alloggiare alcune famiglie indigenti che sarebbero altrimenti lasciate sul lastrico, spettacolo ben triste e disdicevole ad un paese che ha tradizione di civiltà tra le più progredite, e di nobiltà di sentimenti.
Nell'estate del 1902, la Congregazione di Carità provvede all'acquisto di strumenti necessari per l'arredamento di una sala operatoria da istituirsi presso la Casa di Ricovero, nella quale si conta di riattivare provvisoriamente l’antica sezione ospitale. L'ingegnere Emilio Speroni, capo ufficio tecnico dell'Ospedale Maggiore di Milano, progetta la costruzione sia della casa di ricovero che dell'ospitale civile. Il costo di quest'ultima opera è preventivato in lire 102 mila. Si rinvia la costruzione dei locali per l’isolamento dal momento che esistono due camere per ora ritenute sufficienti agli eventuali bisogni. Poiché la giunta provinciale esprime riserve per la grandezza della spesa si decide di realizzare solo il corpo principale e l'ala destra. Andate a vuoto le due aste per l'assunzione dei lavori (la prima per l’insufficiente ribasso, la seconda per mancanza di concorrenti) si affidano, al mastro Francesco Biasotto le opere murarie da ultimare entro il primo novembre 1904. Intanto il servizio è assicurato con 20 letti della sezione ospedaliera, numero che si è dimostrato comunque insufficiente.
Nel 1904 essendo avanzati i lavori di costruzione del nuovo ospedale si rende urgente la costruzione della cella mortuaria, con camera per le autopsie. Per il regolare funzionamento dei vari servizi di cura medica e chirurgica, si acquistano un asciugatoio ad aria calda, capace di trattare almeno 150 kg di biancheria al giorno, e due docce automatiche. Completano l'arredo mobili, utensili, biancheria e strumenti chirurgici acquistati dalla Casa di Cura Dalfiol e Rossi di Venezia; sull'opportunità dell'acquisto di seconda mano non si manca di sentire il parere del Direttore Sanitario e della Suora superiora i quali dopo un sopralluogo, lo diedero pienamente favorevole avendo constatato le ottime condizioni e ritenuto che anche sotto l'aspetto economico l'affare si poteva presentare convenientissimo. Una lunga discussione del consiglio di amministrazione si sofferma sul sistema di riscaldamento, considerato che anche allora i consumi comportavano una voce importante della spesa. Prevale l'idea di dotare la struttura di impianto centralizzato, rispetto alla soluzione di adottare delle stufe a legna. Per imprescindibili impegni presi con la Deputazione Provinciale di Treviso e per rispondere agli standard fissati vengono ordinati una cucina economica con caldaia termosifone, e 20 letti in ferro, con rete metallica. L'organico della sezione conta quattro Suore della Congregazione delle Suore Terziarie Elisabettine di Padova, un infermiere per gli uomini, un'infermiera per le donne e un custode. La paga attribuita all'infermiere è di 30 lire mensili, all'infermiera di lire 20. L'inserviente custode percepisce lire 25. Le corsie vengono dotate di campanelli elettrici. L'attività ospedaliera aumenta e passa da una media giornaliera di 12-15 ammalati a 20-25; si assume perciò una quinta suora, un secondo infermiere ed una seconda infermiera.
In ospedale, sostituisce la fiammella a petrolio l'illuminazione elettrica, particolarmente utile in sala operatoria nella quale occorre una luce ferma, forte e chiara. In seguito all’istituzione in città del servizio telefonico, si avviano i contatti per la spesa complessiva di lire 140  acquistando il diritto di parlare gratuitamente non solo con gli abbonati e le cabine della rete urbana ma anche con tutti gli utenti degli altri paesi allacciati nel perimetro di 20 km. Si acquista un motore elettrico dalla forza di mezzo cavallo per portare l'acqua ai vari locali risparmiando in questo modo molto sciupio di tempo dell'operaio addetto a tale servizio, che potrà essere impiegato più utilmente in altro modo. Riaffiora un nodo irrisolto di rapporti tra enti confinanti: l'uso della chiesa e della cella mortuaria che dovrebbe essere limitato al periodo tra il levare del sole e il tramonto. Per evitare ritardi che potrebbero causare mali inevitabili e deplorevoli si decide di acquistare una bicicletta per gli spostamenti urgenti in città del personale inserviente; la spesa si aggira sulle 200 lire. I parenti dei malati ricoverati, contravvenendo al divieto di visite fuori dalle feste comandate e dalle giornate di mercato porgono ad essi dolci, frutta, cibarie ed altro interferendo con le indicazioni dietologiche e compromettendo i risultati. Si decide, drasticamente di sostituire la rete perimetrale con un muro invalicabile a mo' di caserma. Bisogna dire che le regole e la disciplina non si  discostavano molto dal regime militare, ma erano compensate da cibo buono e pane bianco, una delizia per chi era abituato a pasti che chiamare frugali sarebbe un eufemismo. L'urgenza di evitare sgradite intrusioni nell'area si ripresenta qualche tempo dopo, tanto che si ravvisa la necessità di migliorare la difesa dei cancelli accanto alla palazzina annessa all'Ospedale, allo scopo di impedire che estranei entrino clandestinamente mediante la scalata dei medesimi. Uno sport, purtroppo ancora in voga e che le buone maniere, la continua vigilanza e le telecamere di sicurezza non bastano a contrastare nemmeno oggi. Gli abitanti del borgo Cavour, preoccupati per il rischio di infezione, presentano una petizione perché cessi l'immissione nel fiume Navisego delle acque provenienti dalla lavanderia dell'ospedale e si abbandoni l'abitudine di gettare nei canali i cotoni ed altri oggetti usati per la medicazione degli operati.
L'Ospedale, intitolato a Pompeo Tomitano e nato 5 anni prima, gode di ottima fama in tutto il mandamento. I consumi del nuovo impianto di riscaldamento a termosifone preoccupano non poco. Nel triennio 1906-1909 era bastato un quintale al giorno di carbone, per il 1910 si teme un consumo 3 volte superiore. Vengono invitati i fornai della città a presentare in via privata la loro offerta per la somministrazione giornaliera del pane bianco di prima qualità e viene accettata per qualità e prezzo un'offerta di lire 35,75 al chilo. Viene acquistato dalla Società Italiana Elettrica Siemens un apparecchio per radioscopia e radiologia ad un prezzo di lire 5000 con pagamento dilazionato.
Per esigenze sanitarie vengono chiamati in servizio infermieri solo in caso di bisogno.
Alcuni comuni limitrofi, malgrado ripetuti richiami, sono in debito di spedalità che urge riscuotere, pena pesanti riflessi sul versante economico. Prima di adire la via giudiziaria, si preferisce fare un ultimo tentativo amichevole, anche per evitare che i Comuni si rivolgono in futuro ad altri Ospedali.
A distanza di oltre un secolo la struttura, inserita in una vera e propria “cittadella della salute”, fa parte dell’Azienda Ulss n. 2 Marca Trevigiana e convive armoniosamente, in un perimetro ristretto, con altre istituzioni socio-sanitarie opitergine dedite alla cura della persona (Residenza per Anziani di Oderzo, Casa di Soggiorno “Simonetti”, Centro di Riabilitazione “La Nostra Famiglia”. Una “piccola città” chiamata a colloquiare con la “città diffusa” costituita dal bacino di riferimento, in un’unica trama di tessuto sociale.
Nessuno aveva fatto i conti con una pandemia di enormi proporzioni tale da mettere in discussione criteri organizzativi e modelli di vita. Ma questa è un’altra storia.




 
Dal passato al futuro... un viaggio nel tempo dei templi della salute
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