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IGLESIAS Ospedale minerario Buggerru

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Scheda curata con la supervisione della prof.ssa Grazia Villani, ricercatrice, allestitrice del Museo del Minatore di Buggerru e codirettrice scientifica della “Scuola civica di Storia” della città di Iglesias.

Nell’autunno del 1867 una virulenta epidemia di colera si propagò nell’area dell’Iglesiente (Sardegna sud-occidentale), disseminata di ricchi giacimenti minerari, diffondendosi fra i lavoratori di tutto il distretto. Le autorità, non potendo più far fronte al numero di contagiati che arrivavano nella città di Iglesias dall’intero circondario, temettero per l’ordine pubblico: così, in questa emergenza, fu ordinato ai direttori delle vicine miniere di attrezzarsi in ospedali locali, per evitare di far convergere gli ammalati unicamente in città.
Le dirigenze delle Società interessate non aderirono subito alla richiesta; tuttavia, molte di loro, avendo valutato che l’esistenza di una struttura sanitaria autonoma sarebbe stata comunque conveniente per il proprio sistema produttivo, decisero ben presto di dotarsene.
Perciò, nei villaggi minerari nati ex novo o in quelli più densamente popolati che ancora non ne disponevano, fu prevista la costruzione di un ospedaletto, o perlomeno di un’infermeria, in cui fosse garantita l’assistenza agli infortunati sul lavoro. La presenza di una struttura ad uso sanitario divenne talmente frequente in questi insediamenti industriali da divenirne, assieme alla scuola, alla chiesa e alla palazzina direzionale, un elemento caratteristico.
È chiaro che l’azienda tutelava la salute degli operai perché ciò si traduceva in un vantaggio economico per le sue finanze: pertanto, in un primo tempo l’accesso alle cure fu riservato solo a chi lavorava presso la Società proprietaria delle concessioni, la quale, in effetti, ne sosteneva le spese. Infatti, gli ospedali dei villaggi minerari non sorsero tanto per principi filantropici o per provvedere alla sanità pubblica nei nuovi centri, quanto per salvaguardare ciò che costituiva il motore pulsante dell’industria estrattiva: la forza lavoro. Solo in seguito, l’utenza si allargò ai familiari dei dipendenti, finché, grazie ad accordi stipulati col Comune di pertinenza, il servizio fu spesso reso disponibile a tutta la popolazione locale.
Circa le patologie curate all’interno di questi stabilimenti, esiste una documentazione piuttosto dettagliata: fra quelle più comuni prevalevano la malaria, i disturbi gastro-intestinali, la polmonite, il tracoma. A ciò si sommavano le malattie tipiche del mestiere del minatore, a carico specialmente dell’apparato respiratorio, osseo e cardio-circolatorio, che, come rilevava il dottor Gildo Frongia, autore nel 1911 di un saggio sull’argomento, avevano “per cause predisponenti gli strapazzi sofferti durante il lavoro”.
Ma lo scopo primario degli ospedaletti consisteva nell’intervento sanitario immediato in caso di infortuni, prevalentemente causati da frane, cadute nei pozzi, scoppi di mina, cui gli operai di miniera erano costantemente esposti.
Se si leggono i resoconti redatti dalle Società circa gli incidenti, la cui colpa era sempre attribuita all’imprudenza dei lavoratori, ci si trova di fronte a un vero e proprio bollettino di guerra.  Tali verbali sono molti istruttivi per comprendere la dura condizione dei minatori che operarono nei giacimenti sardi in quel periodo.
Per giustizia storica, occorre avere memoria anche di quei medici e sanitari, i quali, agli albori del Novecento, operando eroicamente in condizioni spesso estreme, hanno dedicato la loro vita per alleviare le sofferenze dei propri simili.



Subito dopo l’emergenza del colera, uno dei primi ospedali creati nel distretto minerario iglesiente fu quello di Buggerru, inaugurato il 1° agosto 1868 per volontà della Società francese Malfidano. Ospitato in un edificio a due piani, era fornito di annessa farmacia e addirittura di sala operatoria: lo dirigeva un medico chirurgo, coadiuvato da due infermieri, cui si aggiunsero, col tempo, un altro sanitario e, per l’assistenza ai malati, le suore appartenenti all’ordine di san Vincenzo De’ Paoli. Al suo interno vi si svolgeva una chirurgia di alto livello attuata da valenti professionisti, fra i quali il dottor Ruggero Marchei. Serviva un bacino d’utenza calcolato a circa diecimila persone e disponeva di 47 posti letto.


 
Dal passato al futuro... un viaggio nel tempo dei templi della salute
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