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GALLARATE Ospedale S. Antonio Abate

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Ringrazio l'Amministrazione Ospedaliera prima per avermi donato il volume

"L’Ospedale S. Antonio Abate di Gallarate - note storiche dalle antiche origini al 1980 -Zampetti Paolo -La Goliardica Pavese - 2000   "

poi per avermi autorizzato l'uso dei contenuti

"Dell’esistenza di un ricovero per pellegrini in Gallarate abbiamo le prime sicure testimonianze in un documento del XIII secolo: si tratta del testamento del mercante milanese Paxius de Ossona , rogato il 7 giugno 1290, che stabiliva generosi lasciti per una trentina di ospedali lombardi, fra cui quello di Gallarate. Questa semplice e breve citazione documenta in modo indubitabile l’esistenza dell’ospedale nel 200. Per un lungo periodo di tempo, tra il 300 ed il 400, non troviamo altri documenti che ci informino della  vita della istituzione. Allo stato attuale delle ricerche si deve giungere al XVI secolo per trovare descrizioni precise della sua struttura e della sua organizzazione.
Tra gli scopi dell’opera Pia Sant’Antonio, da quanto si evince dalla descrizione del 1622, c’erano sia quello di dare il ricovero ed ospitalità a pellegrini e forestieri, sia quello di dispensare Assistenza ai poveri del borgo di Gallarate con medicine o elemosine, previa commendatizia del Prevosto. Non vi è alcun cenno esplicito, invece, a ricovero di ammalati o alla loro cura.
Ci offre precisa testimonianza in questo senso la relazione che Giovanni Pavia, Regio cancelliere del Seprio in Gallarate, inviò nel 1778 rispondendo ad una richiesta del conte Firmian, ministro di Maria Teresa d’Austria e governatore di Milano: in sostanza scrisse..... questi Pii luoghi hanno bensì nome di ospitali, ma realmente non hanno mai mantenuto ne mantengono alcun numero di ammalati;
Agli inizi dell’800, tra le profonde innovazioni che il Regno d’Italia portò nella vita delle istituzioni, ci fu la riforma degli enti di beneficenza. Nel rispetto di quelle nuove disposizioni, con la promulgazione di un nuovo sistema disciplinare di amministrazione, dal 1807 tutte le Cause Pie, precedentemente gestite dai deputati dell’opera Pia Ospedale Sant’Antonio, confluirono nella Congregazione di carità, eretta appositamente in Gallarate. Altri lasciti, negli anni successivi, contribuirono alla crescita delle rendite dell’opera pia Sant’Antonio.
Il testamento di Giuseppe Maria Bonomi segna una svolta decisiva nella storia dell’ospedale sia in quanto costituiva di gran lunga il lascito più cospicuo ricevuto dall’ente per dare aiuto ai poveri, sia perché grazie ad esso fu possibile fornire alle Cause Pie gallaratesi un ingente patrimonio in terreni e case con cui si poté, circa vent’anni dopo, costituire il primo embrione di ospedale propriamente detto.
Alla fine del 700 si incominciò a parlare di una istituzione ospedaliera in Gallarate che potesse ovviare a inconvenienti di vario tipo e garantire un ricovero ai malati che abbisognassero, senza costringerli ad affrontare il disagevole trasferimento a Milano. Una data importante in questo percorso storico e quella dell’11 giugno 1791. Quel giorno i deputati dell’estimo di Gallarate inoltrarono una supplica all’imperatore d’Austria per la fondazione di un ospedale in Gallarate.
Si doveva cominciare a pensare concretamente ad un edificio per l’ospedale; bisognava considerare innanzitutto che il vecchio caseggiato appartenente alla confraternita di Sant’Antonio Abate retta dei cosiddetti disciplini, non poteva certo bastare alle necessità del progetto. Si era perciò resa necessaria l’istituzione di una comunione amministrativa sancita dalla deputazione provinciale con l’ordinanza del 9 giugno 1847, in cui si stabiliva che la Causa Pia Sant’Antonio e la Causa Pia Bonomi dovessero contribuire ad istituire il nuovo ospedale. In particolare venne deciso che il difficile compito dovesse spettare alla causa Pia Bonomi, per le maggiori possibilità economiche, mentre una rappresentanza dei luoghi Pii si sarebbe occupata degli studi atti a dimostrare l’entità dei mezzi che devono essere destinati all’ospedale, la consistenza dei locali in cui erigerlo, la spesa di impianto e di esercizio tenendo presente il numero degli ammalati in base all’entità della malattia, e del personale di servizio.
Solo nel 1852 si vide il concretizzarsi del progetto per l’attuazione di un luogo di cura. In quell’anno l’amministrazione delle Congregazioni di carità di Gallarate giunse alla decisione effettiva di fondare e di attivare un ospedale in Gallarate. Si era affrontato il problema dell’allestimento di tutta la parte disponibile della casa di compendio della causa Pia Bonomi da destinarsi ad uso di un ospedale; dei necessari restauri e degli adattamenti richiesti dal bisogno; si prevedeva la cessione della parte di edificio goduto dal sacerdote Giuseppe Torriani, beneficiato dalla donazione Bonomi, per lo spazio di tre anni continui, contro un anno corrispettivo di 300 lire austriache; la cessione immediata di una stanza grande al piano superiore da parte dell’inquilino che lo occupava, la quale era necessaria per la collocazione dei letti, dei mobili, delle suppellettili e delle stoviglie. Gli amministratori elaborarono subito anche un piano organico disciplinare dell’ospedale.
Si era deciso di prendere come modello quello adottato dall’ospedale di Cuggiono nel luglio 1837, da adattare, ovviamente, alle circostanze locali.
Per il servizio medico dell’ospedale non si assunsero dei medici alle dipendenze dell’ente, ma vennero incaricati i medici condotti già operanti nel borgo; vennero invece assunti degli infermieri. Lo stipendio viene stabilito in lire 1,25 per il personale maschile e di lire 1 per quello femminile. Venne inoltre assunta un’altra persona con funzione di portinaio, cuciniere e sorvegliante . Venne poi elaborato un piano organico disciplinare dove al primo articolo si affermava che la cura medico chirurgica agli ammalati che verranno ricoverati nell’ospedale è prestata contemporaneamente dei due medici condotti in servizio dei poveri del Comune, già stipendiati a carico delle Cause Pie locali senza alcun altro corrispettivo oltre i salari in corso. Per quanto riguardava l’accettazione degli ammalati venne stabilito che il Pio stabilimento può per ora coprire il ricovero giornaliero di otto malati, salvo ad aumentarne l’accettazione a misura che si aumentassero i mezzi economici e le capacità del locale. Non saranno accettati nell’ospedale che i poveri infermi e miserabili aventi l’effettivo continuato domicilio non minore di anni 10 sotto questa parrocchia. Saranno accettati i soli ammalati di malattia così detta acuta, esclusi quelli affetti da malattia cronica, sifilitica o contagiosa. Non saranno pure accettate donne ammalate e con figli lattanti, dovendo questi essere trattenuti nelle loro case. Sarà solo permesso, ove il vero bisogno lo esiga, che i figli lattanti siano portati nello stabilimento per il solo bisogno di poppare. L’inizio dell’attività ufficiale dell’ospedale venne fissato per il giorno 10 maggio 1852. Non mancò l’intervento religioso: fu infatti stabilito che, il giorno precedente, il locale dell’ospedale doveva essere benedetto dal preposto parroco ed avere luogo una processione costituita dal clero della parrocchia.
Il giorno 8 giugno 1852 vennero discussi diversi casi tra cui; il ricovero dei soldati della guardia di finanza cui si decise momentaneamente di soprassedere; il ricovero e la cura dei tignosi dato che tale patologia era largamente presente negli abitanti del borgo; anche in questo caso non si ritenne opportuna la cura presso la struttura ospedaliera di tali ammalati, preferendo delegare il compito ai luoghi Pii a domicilio dei pazienti. Si decise invece di costruire una lavanderia e di adibire il granaio del caseggiato a sala anatomica e cameretta per il deposito dei cadaveri. La proposta di un eventuale ricostruzione di due stanze dell’edificio venne provvisoriamente accantonata.
E’  interessante fare qualche rilievo statistico.: Le patologie dei ricoverati erano essenzialmente date da febbri di vario tipo, come la febbre gastrica, la febbre intermittente e la febbre reumatica che allora venivano considerate vere proprie malattie e non sintomi, ed affezioni dell’apparato digerente. Fra questi spiccavano le gastriti, le enteriti le gastroenteriti, accompagnate a volte da dissenteria; troviamo anche due casi di ascite, in uno dei quali venne anche eseguita la paracentesi.
Nel 1854 venne redatto il piano disciplinare. Iniziò così ufficialmente l’attività del nosocomio. Dai 77 ricoverati del 1852 si era passati l’anno successivo a 99 ammalati, che promettevano di aumentare gradualmente nel corso degli anni. Fu necessario allora un ampliamento della sede ospedaliera, per cui le due stanze in cui fino in quel momento era stata esercitata l’attività clinica si rivelarono insufficienti e tutto l’edificio appartenente alla causa più Bonomi venne adibito ad ospedale.
Nel 1855 la regione fu seriamente afflitta da una nuova e devastante epidemia: a Gallarate e dintorni durò dal 6 agosto al 6 ottobre e furono colpite 114 persone con 93 morti. Parte degli ammalati vennero ricoverati in varie strutture mentre alcuni vennero ricoverati nell’ospedale Sant’Antonio Abate. A tale decisione si giunse però in modo molto sofferto; il consiglio Ospitaliero non riteneva giusto l’ammissione dei contagiati in ospedale, sia perché ciò non era contemplato nello statuto, sia perché si pensava che il personale medico ed infermieristico potesse non essere disposto a curare tali ammalati. Alla fine prevalse l’opinione di mettere a disposizione i 15 letti dell’ospedale e quindi dimettere i due degenti ricoverati per forme comuni. I primi contagiati iniziarono ad affluire già dal giorno 6 agosto; sappiamo che un’infermiera temendo il pericolo di contagio lascio il servizio e preferì dimettersi.
Si ravvisava sempre più la necessità di costruire un nuovo ospedale; era quindi necessario individuare un’area adatta. A facilitare la situazione intervenne la generosità della famiglia Ponti che nel 1870 donò un terreno di circa 10 pertiche, che sembrava poter accogliere l’edificio ospedaliero. L’amministrazione delle Cause Pie aveva affidato all’architetto Camillo Boito il compito di ideare la nuova sede.
La posa della prima pietra avvenne il 23 ottobre 1870 con una cerimonia di inaugurazione grandiosa.
I lavori di edificazione durarono più di tre anni e furono portati a termine nel 1874.
V i erano camere per un totale di 50 letti e potevano essere accolti i poveri e di paganti ad una quota di 1,50 lire al giorno. il 24 settembre 1875 avvenne la cerimonia di consacrazione della cappella annessa all’ospedale.
Le tecniche costruttive molto raffinate e dettagliate previdero l’utilizzo di materiali quali ferro, cotto, vetro, mattoni, pietra da taglio ed intonaco. Le colonne, le cornici, le bifore, i fregi, gli archivolti, le finestre con vetrate colorate conferivano all’intero edificio una impronta sicuramente originale.
Il nuovo ospedale non disponeva di una Sala operatoria, ma non possiamo dimenticare che si era appena alla vigilia delle importanti trasformazioni della chirurgia che sarebbero state possibili dopo il definitivo affermarsi degli studi sulla sepsi e sull’antisepsi iniziati nel 1865 da Lister con la applicazione dell’acido fenico come disinfettante sia sul campo operatorio sia sulle ferite. La preparazione e l’esercizio della chirurgia nei medici operanti in paesi di provincia erano ancora limitati alla cura delle fistole, degli ascessi, delle ferite, delle fratture. Si trattava di un’attività che poteva essere portata al domicilio dei malati o in sale comuni non vincolate ancora ai precetti della asetticità degli ambienti e delle attrezzature speciali che sarebbero stati indispensabili di lì a pochi anni.
Il 18 febbraio 1875 il Re Vittorio Emanuele II aveva approvato lo statuto organico che disciplinava il funzionamento dell’ospedale Sant’Antonio Abate. L’istituto apriva le sue corsie gratuitamente agli ammalati poveri aventi l’effettivo continuato domicilio da non meno di sei anni nella parrocchia di Gallarate. Potevano venire accettati anche malati che, pur risiedendo in altri comuni, dovevano però pagare il ricovero e le cure, il cui costo era stabilito a lire 1,50 al giorno. Il regolamento richiamava le norme che allora governavano i piccoli ospedali, escludendo d’ordinario le patologie mentali e quelle contagiose. Altre categorie di persone alle quali era negato l’accesso in ospedale erano le donne gravide, quelle con bambini lattanti ed i bambini di età inferiore ai sette anni. Lo statuto definiva il ruolo del personale ospedaliero: l’assistenza era affidata a due medici, uno dei quali con funzioni di direttore. Due infermieri, due infermiere, un cuoco, un portinaio, un tesoriere, un economo. E’ inoltre da ricordare che, oltre ai medici e gli infermieri assunti vi era anche l’importante contributo offerto dalle suore di carità appartenenti alla congregazione di San Vincenzo de Paoli di Vercelli; esse erano in numero di tre con funzioni sia di assistenza ai malati sia di economia dell’istituto e iniziarono a prestare la loro opera a partire dal 1874.
Nel triennio 1920/23 l’amministrazione delle cause Pie stabilì l’apertura di gabinetti specialistici. Ma tutto ciò non bastava certamente il progressivo sviluppo della medicina ospedaliera gallaratese, dato che permaneva comunque la necessità della creazione di nuovi ambienti clinici attrezzati da un punto di vista igienico e sanitario. L’edificio era stato costruito alla vigilia dei principali progressi della medicina e della chirurgia ed ora si sentiva l’angustia di quelle scelte.
Si avanzò l’idea di portarsi fuori dalla città e ad un certo punto si credette di aver individuato il perimetro per quello che avrebbe dovuto essere il policlinico di Gallarate, in località Mombello di Crenna. In base a questo progetto, nel 1921 la congregazione di carità che amministrava l’ente diede l’incarico a Luigi Devoto, direttore della clinica del lavoro di Milano, di stilare un piano per provvedere ad un moderno ordinamento della assistenza sanitaria.
Il progetto costituì uno stimolo notevole verso l’ammodernamento, ma nonostante fosse fortemente voluto da molti non ebbe seguito. Prevalse infatti l’opinione di mantenere in funzione il padiglione Boito e di costruire nuovi edifici o ristrutturare fabbricati già esistenti nel recinto nosocomiale.
Nel mese di luglio del 1924 si provvide alla ristrutturazione di uno stabile già esistente da adibire a ricovero per i malati di petto. Nell’ospedale i sofferenti del mal sottile venivano promiscuamente confusi con altri ricoverati nel reparto di medicina generale. Il nuovo padiglione, nato con lo scopo di attuare idonee misure terapeutiche, era stato un tempo adibito a ricovero di mendicità e vecchiaia. Si trovava ubicato nel recinto dei fabbricati ospedalieri, dai quali tuttavia risultava piuttosto isolato. Dopo  numerosi lavori di adattamento, fu inaugurato il 7 giugno 1925. E, poteva contare su 65 posti letto.
Nel 1924 venne decisa la costruzione di un nuovo padiglione destinato alla ginecologia e alla pediatria; grazie alla generosità di Alessandro Maino si poté procedere, il 5 ottobre 1924, alla posa della prima pietra che porterà, il 26 settembre 1926 alla inaugurazione del padiglione intitolato a Carolina Trotti Maino.
Nel 1927 si portò a termine la costruzione del nuove ambulanze polispecialistiche e nel 1928, ampliando un’ala del padiglione Colombo venne istituito un reparto per le malattie infettive ed una sezione di anatomia patologica.
Dal 6 novembre 1924 la promulgazione di un decreto-legge attuava il decentramento ospedaliero dei comuni facenti parte dell’ex Ducato di Milano che da secoli ricorrevano per le necessità di ricovero dei propri assistiti al grande Ospedale Maggiore di Milano. L’assistenza nel vastissimo territorio della provincia milanese aveva determinato gravi problemi di ordine finanziario e patrimoniale delle amministrazioni. Venne ravvisata la necessità di costituire dei presidi ospedalieri in comuni che già avevano fatto parte del territorio dell’antico Ducato milanese, togliendo all’ospedale di Milano il gravoso obbligo di corrispondere alle necessità sanitarie di un territorio tanto vasto che si estendeva dalle province di Bergamo, Como, Varese, Cremona e Pavia oltre a quella di Milano. L’articolo 2 del decreto legge numero 2086 del 6 novembre 1924 stabiliva che agli effetti dell’assistenza ospedaliera a favore degli infermi poveri, i comuni di cui all’articolo 10 dello statuto organico degli istituti ospedalieri di Milano saranno ripartiti in circoli. Per ciascuno di tali circoli sarà designato un ospedale, tra quelli già esistenti, che dovrà esercitare l’assistenza a favore degli infermi poveri appartenenti per domicilio di soccorso ai comuni compresi nel circolo.
Nel 1929 tale provvedimento poté diventare fattivo e l’11 luglio di tale anno un decreto reale stabilì il distacco dell’opera Pia Ospedale civico di Gallarate della congregazione di carità con il suo affidamento ad amministrazione autonoma; il 15 novembre un decreto prefettizio sancì la costituzione ed il funzionamento dell’ospedale di circolo. Il 30 novembre venne costituito il primo consiglio ospedaliero.
Nel 1933 il consiglio di amministrazione diede l’incarico ad Enrico Ronzani, direttore dell’Istituto di igiene dell’università di Milano, per una consulenza sulle condizioni dell’ospedale generale di Gallarate. Il giudizio generale risultò assai poco lusinghiero: Il padiglione Boito nonostante la sua bella architettura, non può più contenere tanti servizi e tantomeno con essi anche reparto chirurgico. I locali di accettazione visita dei malati sono insufficienti e deficiente è anche il reparto di diagnostica e terapia fisica. Le infermerie destinate ai malati di chirurgia, sia del piano terreno che del piano primo sono deficienti per luce ed aria e mancano di locali annessi di servizio, pure indispensabili. Esiste in ogni piano una latrina per 25 malati. Il riparto operatorio è incuneato nel passaggio del reparto paganti; la Sala operatoria è una camera qualsiasi adattata, male orientata; il locale di toilette dei chirurghi è ricavato da un piccolo corridoio, deficiente e il locale di sterilizzazione ed il locale dell’armamentario, che per la insufficienza di spazio è diventato necessariamente il deposito anche di altro materiale. Manca un locale di preparazione dell’operando, un piccolo laboratorio per indagini urgenti, e quant’altro è ancora richiesto in un moderno reparto chirurgico. Anche il padiglione di medicina ed il reparto isolamento venivano analogamente giudicati insufficienti; il primo perché presenta, per non essere stato lo scopo costruito, ma adattato in vecchi locali, gravi deficienze. Anzitutto l’orientazione delle infermerie, specialmente per quelle rivolte a nord, è controindicata. Le finestre sono piccole e mancanti di qualsiasi sistema di ventilazione sussidiaria. I locali annessi di servizio sono deficientissimi; manca per ogni piano un locale di visita, una cucinetta, un piccolo laboratorio di indagini cliniche, sono deficienti per numero i gabinetti ed i bagni. Sono scarsi i lavabi per i malati per cui se tale riparto può presentarsi ancora per ricovero di malati cronici, non è affatto adatto per i malati di medicina acuti. In quanto al reparto isolamento esso non risponde assolutamente agli scopi. Dovrebbe infatti essere collocato in un luogo più appartato e non con ingresso verso il centro dell’ospedale, e sopra il reparto mortuario e necroscopico non dovrebbero mai esistere locali di degenza dei malati.
Le conclusioni del Ronzani, pertanto, furono negative consigliando l’abbandono dei padiglioni fino ad ora utilizzati per  la riedificazione di essi in località più idonea alle esigenze di un complesso ospedaliero con requisiti moderni.
Nel 1936 iniziarono le trattative per l’acquisto di alcuni terreni e nel 1937 venne ipotizzata la creazione di un nuovo reparto di chirurgia ma senza arrivare a nessuna conclusione. Il 23 gennaio 1939 con decreto del prefetto di Varese numero 1665, venne stabilito che l’ospedale di Gallarate fosse di terza categoria e con la promulgazione del decreto ministeriale del 20 luglio 1939 sulle costruzioni ospedaliere l’amministrazione si trovo’ ancora una volta davanti a problematiche complesse.
L’articolo 10 del decreto, ad esempio, prevedeva che per ogni camera dovessero esserci dai tre ai sei letti mentre nell’ospedale di Gallarate si arrivava fino a 13; ancora, i servizi igienici erano cinque ogni 70 posti mentre il decreto ne prevedeva 10; E che dire dei lavabi che erano 2 per 25 malati contro i cinque previsti. A tali difficili questioni non si fece tempo provvedere per l’incalzare degli eventi bellici della seconda guerra mondiale
Nel 1953 venne progettato un nuovo padiglione chirurgico. I lavori di edificazione iniziarono nello stesso anno. Il vecchio padiglione Boito venne sistemato in tutte le sue camerate. Anche negli altri padiglioni vennero effettuate modifiche.
Nel 1957 venne stabilito il passaggio dell’ospedale da terza a seconda categoria.
Alla fine degli anni 60 l’ospedale si avviava a proporsi come centro qualificato per le maggiori specialità mediche e chirurgiche; l’ampliamento strutturale con la costruzione di padiglioni o reparti rispondenti a criteri architettonici ed igienici all’avanguardia fecero sì che nel 1968 si rese possibile il passaggio da seconda a prima categoria, con la classificazione di ospedale generale provinciale.
Il 18 ottobre 1968, con decreto numero 1419, l’ospedale Sant’Antonio abate veniva dichiarato Ente Ospedaliero. Nel 1973 si terminò l’edificazione del padiglione di pediatria.
Dopo tanti secoli di vita autonoma l’ospedale Sant’Antonio Abate cessò di essere Ente con la costituzione della unità socio sanitaria locale. Veniva pertanto istituita l’associazione dei comuni compresi nell’ambito territoriale numero 6 con relativo trasferimento delle funzioni sanitarie a decorrere dal 1 gennaio 1981.
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Dal passato al futuro... un viaggio nel tempo dei templi della salute
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