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PESARO Ospedale San Salvatore

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Il contenuto della scheda è tratto integralmente dalla rivista “Studi pesaresi” 2/2013 - Marcello Lucchetti – Le confraternite a Pesaro dal XIII al XVII secolo. Casa Editrice: il lavoro editoriale.

Ringrazio il Direttore della Casa Editrice per la condivisione dei contenuti estrapolati dal corposo lavoro di ricerca sulle Confraternite pesaresi.

Il Quattrocento fu un secolo determinante, oltre che per la nascita delle nuove fraternite nazionali, anche per l’affermazione economica delle antiche confraternite pesaresi. Possiamo dire che esse formarono il nucleo più cospicuo dei loro patrimoni essenzialmente in questo periodo, grazie a lasciti pressoché continui da parte di confratelli o di semplici benefattori. Non v’è testamento del tempo che non menzioni tra gli eredi o i legatari una delle confraternite cittadine. Il notaio Bartolo di Giacomo Fantinozzi, nel suo testamento del 29 agosto 1462 redatto per timore della peste, lasciava molti beni anche alla confraternita del Buon Gesù, che pur non forniva assistenza ospedaliera.
Ma in occasione delle ultime pestilenze, in particolare di quelle degli anni 1462-63 dalle conseguenze drammatiche, gli ospedali delle confraternite storiche avevano mostrato tutta la loro limitatezza.
Molti cittadini erano morti in condizioni miserabili, dopo essere stati allontanati dalla città perché so-spettati di essere infetti.
La nuova pestilenza, scoppiata nel mese di ottobre del 1463, spinse i pesaresi alla realizzazione di un ospedale di emergenza per il ricovero degli infetti, fuori le mura e a una certa distanza dall’abitato.
Nel Consiglio di credenza del 6 novembre si descrivevano le condizioni degli appestati e dei semplici sospettati di contagio, che erano espulsi dalla città, senza riparo, letto e cibo e morivano desperati et tamquam bestie in magnum damnum ipsorum, vilipendium civitatis et hominum eiusdem. Il frate francescano Angelo da Mercatello, presente a quella seduta, dichiarava di aver ricevuto la somma di 125 ducati in elemosina, per edificare un ospedale per i malati. Il Consiglio decise da parte sua di aggiungere un contributo di 200 lire e deliberò che l’ospedale degli appestatati fosse realizzato in località Valmanente, presso la chiesa degli Agostiniani, a poche miglia a sud di Pesaro, nominando quattro consiglieri e un amministratore che assieme ai rappresentanti deputati uno ciascuno dalle confraternite della Annunziata, Misericordia, Sant’Antonio, Sant’Andrea e Buon Gesù, scegliessero il luogo adatto e provvedessero al progetto e alla sua realizzazione quanto prima possibile. Le confraternite si impegnarono a fornire i letti. L’ospedale venne costruito molto rapidamente in legno, e fu detto “della Pietà de fora”. Da questa prima iniziativa, passata l’emergenza, nacque al principio dell’anno successivo 1464, l’idea di riunire gli antichi quattro ospedali delle confraternite storiche, ormai giudicati inefficienti, in una struttura più funzionale, “perché la caxione de questa presente unione e del incorpo facto novamente et volontà de tutte cinque le fraternite, è stata la provisione facta del locho et spedale dela Pietà de fora…”. Furono il signore di Pesaro Alessandro Sforza e il vescovo Giovanni Benedetti i fautori di questa importantissima istituzione pubblica. Il Benedetti, particolarmente sensibile ai problemi della diocesi e del clero, era un vero e proprio riformatore del suo tempo. Durante il suo lunghissimo episcopato, durato ben cinquantun anni, dal 5 luglio 1419 al 29 marzo 1470, fornì una spinta decisamente innovativa alla vita religiosa cittadina, obbligando i canonici a risiedere e dotan-doli di una nuova canonica ove potessero vivere la vita comune.
Istituì anche il Monte di pietà per il soccorso ai più poveri, che avendo necessità di un prestito non dovevano trovarsi più costretti a ricorrere ai banchieri e a sottostare spesso a tassi di interessi usurari, tassi che per la loro ignoranza e scarso potere contrattuale non erano in grado di controllare o modificare.
Il nuovo ospedale fu intitolato al Salvatore, e grazie anche all’autorevole intervento di Alessandro Sforza, il vescovo riuscì ad ottenere che le confraternite dell’Annunziata, della Misericordia, di Sant’Antonio, di Sant’Andrea e anche del Buon Gesù, sebbene di più recente costituzione, destinasse-ro una parte dei loro beni ed introiti per l’organizzazione e la gestione di questa nuova istituzione.
L’ospedale fu allestito nell’edificio un tempo sede dell’ospedale di Santa Maria della Misericordia. L’Unione del San Salvatore determinò quindi la soppressione degli altri quattro ospedali, ovvero quelli di Sant’Andrea, della Misericordia, dell’Annunziata e di Sant’Antonio, tant’è che gli stessi capitoli della nuova istituzione affermano esplicitamente che “mò in la terra li vene ad esser uno solo spedale intitulato el Spedale del Salvadore dove prima gliene era quatro”. I Capitoli della nuova istituzione, rogati da Sepolcro di Pietro Sepolcri, notaio degli Sforza, risalgono all’anno 1464.
Come già accennato, le confraternite furono obbligate a chiudere i rispettivi ospedali e a conferire nella nuova istituzione una parte dei beni immobili e mobili di loro proprietà, pur mantenendo piena autonomia e possesso delle loro chiese ed oratori. Inoltre, all’atto della fondazione, versarono somme variabili per avviare subito l’attività del nuovo ospedale: l’Annunziata e la Misericordia conferirono dieci fiorini ciascuna, Sant’Andrea e Sant’Antonio cinque fiorini ciascuna, mentre il Buon Gesù tre fiorini. Al nuovo ospedale furono accollati tutti i debiti e i crediti di ognuna delle cinque confraternite, esistenti fino alla data dell’unione, ivi compresi i legati pii. Nei Capitoli dell’ospedale di San Salvatore, appositamente elaborati per la nuova istituzione, fu prevista la sua direzione da parte di dieci amministratori o rettori, eletti la prima volta a maggioranza nel numero di due da ciascuna delle cinque confraternite, Annunziata, Misericordia, Buon Gesù,Sant’Antonio, Sant’Andrea. Questi primi dieci rettori restarono in carica per un anno, trascorso il quale furono sostituiti da altrettanti nuovi rettori, questa volta eletti solo dal priore, dal sottopriore e dai consiglieri di ciascuna confraternita, facendo però attenzione a lasciare nel nuovo consiglio due rettori della precedente gestione, al fine di garanti-re maggiore continuità nella amministrazione. Questi ultimi erano eletti a maggioranza a cura dei cin-que priori delle confraternite. Nella prima elezione, i rettori vennero scelti all’interno di una rosa di nomi proposti dallo stesso vescovo e dal signore di Pesaro tramite il suo luogotenente. I dieci rettori dell’Ospedale eleggevano a loro volta, sempre a maggioranza, un priore e un sottopriore, entrambi in carica per soli due mesi, allo scadere dei quali dovevano rendere il conto ai rettori stessi, ai priori e ai sottopriori di ciascuna delle cinque confraternite, al vescovo e al signore di Pesaro o al suo Luogotenente. Questi ultimi, oltre a controllare l’operato degli amministratori dell’ospedale, si riservarono il potere di dirimere le controversie insorte tra i rettori o le altre cariche dell’ospedale e di decidere in loro vece in caso di disaccordo. Fino alla naturale scadenza del loro mandato, i rettori non potevano essere rimossi e sostituiti se non in caso di morte o di gravi abusi commessi nell’esercizio dei loro compiti. I rettori avevano il potere di vendere, acquistare, permutare i beni dell’ospedale e in genere di compiere rispetto ad essi tutti gli atti di straordinaria amministrazione, sempre però con la partecipazione del priore e del sottopriore dell’ospedale e con il concorso dei consigli delle cinque confraternite, in una sorta di “amministrazione allargata” che per la sua validità aveva bisogno anche del consenso preventivo del vescovo e del signore di Pesaro, a pena di nullità degli atti compiuti senza il loro assenso. Allo scadere dell’anno, il vescovo e il signore di Pesaro ricevevano, assieme ai nomi dei dieci nuovi rettori, anche il rendiconto annuale della gestione da parte dei dieci rettori uscenti, del priore e del sottopriore, nonché delle altre cariche dell’ospedale. Ogni prima domenica del mese, i dieci rettori dovevano convocare il priore e il sottopriore di ciascuna delle cinque confraternite, per tenere loro relazione sull’andamento dell’ospedale per il mese trascorso, ed illustrare le necessità e i progetti per quello futuro. Nelle altre domeniche, invece, i dieci rettori si riunivano assieme al priore, al sottopriore, al fattore e al camerlengo dell’ospedale. Il priore e il sottopriore dell’ospedale di San Salvatore avevano anche la gestione dell’ospedale della Pietà a Valmanente. L’ospedale del San Salvatore era anche dotato di un cappellano stipendiato, designato dagli stessi rettori. Il camerlengo effettuava i pagamenti solo dietro mandato sottoscritto dal priore. Il camerlengo e il fattore restavano in carica un anno e alla fine del loro incarico erano soggetti all’obbligo del rendiconto nelle mani del priore e dei rettori, nonché dei priori e dei sottopriori delle cinque confraternite, del vescovo e del signore di Pesaro. Il fattore era anche riconfermabile, qualora avesse svolto bene il suo mandato. Fattore e camerlengo dovevano coordinare la loro attività in base agli ordini impartiti dal priore dell’ospedale, il quale rilasciava di volta in volta i vari mandati di pagamento. In caso di dubbio o di disaccordo tra camerlengo e fattore, si ricorreva alla decisione dei dieci rettori dell’ospedale, nonché dei priori e dei sottopriori delle cinque confraternite.
I dieci rettori, prima di deliberare il pagamento di una somma a titolo di elemosina, si consultavano con il priore ed il fattore per verificare se la cassa dell’ospedale disponeva dell’importo. Il priore, pri-ma di affrontare qualunque spesa, doveva ottenere una delibera dei dieci rettori, dopo averne fatto richiesta ai priori e ai sottopriori delle cinque confraternite. Secondo quanto previsto dai Capitoli dell’ospedale, gli ospedali di San Salvatore e della Pietà si dotarono ben presto di una spezieria interna. Nessuna menzione appare nel testo statutario della presenza fissa di un medico. L’assistenza di un phisicus, infatti, era riservata solo ai malati più abbienti, mentre le cure somministrate dall’ospedale erano prevalentemente di tipo assistenziale o di prima necessità. Ciò non toglie che l’ospedale, in caso di emergenze, non si avvalesse dell’opera del medico a servizio del Comune, di solito assunto con condotte a cifre astronomiche ed utilizzato prevalentemente in tempo di peste. All’interno della struttura vi era una netta differenza tra i poveri e i malati: da un inventario del 19 giugno 1484 risulta che l’ospedale aveva diciannove letti assai male in arnese per i poveri e altri diciannove in migliori condizioni per gli infermi, oltre naturalmente a quelli per gli infermieri e gli assistenti. Nel 1465 l’ospedale era già pienamente in funzione e il 6 giugno supplicava Alessandro Sforza di farlo esente dalle imposizioni sui beni immobili. Il signore di Pesaro gli concedeva l’esenzione, estesa anche a quello “della Pietà de fora”, ma solo per gli immobili già posseduti e con esclusione per quelli che avrebbe acquistato in futuro.
Con la riforma di Giovanni Sforza fu aggiunta una nuova regola per le votazioni, che sarebbero dovute avvenire in segreto, utilizzando un bossolo nel quale il votante inseriva la fava di colore bianco in caso di voto positivo e nero di quello negativo. Giovanni Sforza pretese poi che da allora in avanti, annualmente, venissero imbossolati da dodici a quattordici nomi di uomini valenti e letterati, scelti da lui in persona ed estratti a sorte dai confratelli nel numero di tre alla volta, che avrebbero dovuto go-vernare per quattro mesi assieme agli altri organi della confraternita, senza tuttavia poter interferire su quanto da loro deciso. Una sorta di collegio di probi viri di elezione sforzesca, che fu eliminato con la fine della signoria degli Sforza. Secondo gli statuti riformati, il priore e gli ufficiali della confraternita avevano l’obbligo di rendiconto entro venti giorni dalla fine del loro mandato. Il priore entrante intimava la restituzione o il pagamento delle somme di cui la fraternita era ancora creditrice entro il termine di otto giorni, infliggendo ai morosi la sanzione della cancellazione. Il calendario degli obblighi della confraternita prevedeva ogni primo martedì del mese l’Officio dei Morti e ogni mese la celebrazione di dodici messe per i defunti.
Per contribuire a queste messe, i confratelli e i raccomandati dovevano versare ciascuno un bolognino al mese a pena dell’espulsione, della perdita della cappa e di ogni altro bene conferito, salvo il caso di povertà, che prevedeva la dispensa dall’imposizione. Il 10 maggio 1490 Innocenzo VIII autorizzava la confraternita di Sant’Andrea ad alcune permute di beni con l’ospedale dell’Unione di San Salvatore. Si trattava forse di operazioni finalizzate a reperire denaro per i restauri della sua chiesa e della scuola.

Altri riferimenti sono consultabili al link

https://www.medicina.univpm.it/sites/www.medicina.univpm.it/files/Lettere/2009/02.%20Lettere%20della%20Facoltà%20febbraio%202009.pdf


Presso la biblioteca di Novafeltria esiste il volume: Pesaro e il suo ospedale di Luigi Bianchini e Massimo Gumelli – a cura del Comune di Pesaro - 1995


 
Dal passato al futuro... un viaggio nel tempo dei templi della salute
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