CASTELFIDARDO Ospedale civile Umberto I - Ospedali d'Italia

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CASTELFIDARDO Ospedale civile Umberto I

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Il Comune di Castelfidardo, mi ha messo in contato con Riccardo Sanpaolesi, appassionato di storia locale.
Ha quindi raccolto  i suoi appunti e documenti elaborando la scheda che integralmente vi rendo disponibile.  Ha  inviato anche delle foto che, in questo momento non sto prendendo in considerazione anche se c'è l'interesse per un prossimo futuro.



Le prime notizie su un ospedale a Castelfidardo sono del 1489 quando la struttura era gestita dalla Confraternita della Misericordia o di S. Maria della Misericordia. L’ospedale “dei poveri” o “degli infermi” doveva trovarsi nei pressi della chiesa della Misericordia.
Nel 1549 la costruzione veniva restaurata. All’epoca tra gli obblighi sociali della Confraternita della Misericordia, oltre all’assistenza del infermi “tanto poveri quanto ricchi”, vi era l’accompagnamento dei morti e il loro seppellimento.
Nel 1600 le condizioni igieniche dell’ospedale non dovevano essere delle migliori se ci si lamentava per “la nausea et puzzore” che proveniva da esso. Nel 1602 la Compagnia della Buona Morte affiancava quella della Misericordia nella cura degli infermi. Nel corso del ‘600 la Confraternita della Misericordia si fondeva con quella del S.S. Sacramento dando origine alla Compagnia di Gesù e Maria.
Nel 1745 la popolazione si lamentava con  il Podestà perché ladri e malviventi, sotto mentite spoglie, si facevano alloggiare nell’ospedale: qui infatti avrebbero goduto dell’immunità. Nel 1759 l’ospedale veniva chiuso e non si avrà più, fino al 1831, una struttura dedicata al ricovero degli ammalati che erano costretti a curarsi presso il proprio domicilio. Le sovvenzioni della Confraternita aiutavano gli infermi a procurarsi cibo e medicine.
Nei primi anni dell’Ottocento l’ospedale risultava sempre chiuso ma funzionante come Ente che elargiva in beneficenza ai poveri 3 baiocchi al giorno. Nel Catasto Gregoriano del 1818 lo stabile era indicato come di proprietà dei fratelli Bartolini.

L'ospedale castellano rinacque formalmente nel dicembre 1827 da un accordo tra il Comune di Castelfidardo e la Confraternita del S.S. Sacramento (di Gesù e Maria): l’Amministrazione si impegnava a fornire 100 scudi annui per un decennio a questa nuova istituzione che aveva lo scopo di provvedere al ricovero degli infermi poveri di entrambi i sesso domiciliati nel territorio fidardense. Sarà una Deputazione comunale a seguire l’iter per la costruzione e il mantenimento dell’ospedale.
Nel 1828 l’ospedale non era ancora funzionante. Nel 1831 la Confraternita del Sacramento metteva a disposizione per il nuovo ospedale degli infermi due case contigue alla sommità del Montebello in quella che diverrà via dell’Ospedale (oggi via Fratelli Rosselli). L’attività sanitaria poteva iniziare. Alla fine dell’anno il Comune eleggeva due nuovi deputati per il nosocomio, con carica di durata triennale: si trattava di Raffaele Tomasini e Romano Sciava.
Nel 1832 abbiamo notizia della presenza di una Congregazione (probabilmente si tratta della solita Deputazione) che reggeva l’ospedale. Questa chiedeva al Comune in dono 15 paglioni (materassi di paglia) e 12 coperte di stracci. Nel 1836 la Deputazione era composta da 4 membri.
Nel 1841, a dieci anni dalla sua inaugurazione, il Comune prorogava per un lustro il sussidio di 100 scudi annui.
Nel 1845 l’ospedale risultava ben amministrato, con un avanzo di cassa di oltre 550 scudi. Con questa somma si pensava di ridurre “il locale in buona forma” in modo che i malati avessero cameroni “ben ventilati” e “tutte le altre comodità”. In altre parole si iniziava a pensare ad una struttura più spaziosa. Venne presentato un progetto da parte di Orazio Traversi, capomastro di Recanati, ma la cifra in cassa non risultava sufficiente e quindi il Comune concesse altri 100 scudi allo scopo (mediante 4 rate annuali di 25 scudi ciascuna).
Nel 1846 l’avanzo dell’ospedale era di ben 584,66 scudi e il sussidio comunale veniva prorogato per altri 5 anni. Tutto andava a gonfie vele ma restava la necessità di rinnovare il locale del “pio stabilimento”.
Nel 1849 l’Ente ospedaliero aveva un suo Presidente il quale chiedeva al Comune la concessione di un piccolo spazio, nello “spiazzale della Mucchia”, per la costruzione di un locale più adatto alla custodia degli infermi. Con questi lavori la facciata dello stabilimento sarebbe risultata più simmetrica e l’interno più uniforme. Il prospetto di una parte dell’ospedale, sulla base del progetto del 1845, sarebbe stato portato in avanti per renderlo parallelo al restante fabbricato.
Nell’ottobre del 1852 i lavori, diretti da Michele Mordini, non erano ancora finiti e l’ospedale chiedeva un sussidio per l’ultimazione della fabbrica: il Comune concedeva 50 scudi annui per 6 anni. L’11 luglio 1853, sotto la presidenza di Don Giuseppe Cattarelli, la struttura veniva finalmente inaugurata. La facciata “con tre ordini di finestre, l’arco a tutto sesto del portone centrale, le colonne a mattoni rilevate a scopo decorativo” svettava su tutto il Montebello. All’interno però la sistemazione non era ancora definitiva. Il finanziamento municipale serviva a mantenere una decina di posti letto.
Nel 1855 arrivava a Castelfidardo il colera. Si decideva di ricoverare i colerosi nell’ospedale degli infermi perché aveva “bei cameroni molto aerati” e si trovava “nel luogo più elevato del paese”  mentre i malati normali dovevano essere trasferiti al primo piano del palazzo comunale. Nell’ospedale venivano allestiti una decina di posti letto per i contagiati assistiti dalle suore di S. Anna che si prodigarono anche  a cucire nuova biancheria per i pazienti e a rammendare quella vecchia. Oltre alle monache, all’interno dell’ospedale, i servizi “più vili” erano operati da due inservienti ed un ragazzo. Le cure venivano invece prestate dai 3 medici coadiuvati da 1 flebotomo. Nonostante gli sforzi, a Castelfidardo si avranno 313 casi di colera con 103 decessi. Sempre nel corso dell’anno veniva aggiunto un lampione a petrolio alla sommità della Mucchia, vicino al nosocomio: i sacerdoti infatti andavano all’ospedale, nelle urgenze dei malati, “all’oscuro”.
Nel 1856 i famosi 100 scudi annui venivano prorogati per un altro quinquennio. Nel 1858 l’ospedale chiedeva un prolungamento di altri sei anni per il sussidio della fabbrica che stava per compiersi (lavori interni): il Comune assegnava 50 scudi per 6 anni. I lavori erano ormai conclusi ma le casse dell’Ente si erano prosciugate e l’ospedale era indebitato.
Nel 1861 i due medici fidardensi, Francesco Pellegrini (primario) e Annibale Ghinozzi (chirurgo) domandavano al Municipio un compenso per avere curato i feriti della battaglia di Castelfidardo (18 settembre 1860) presso l’ospedale civile. A ciascuno venne accordata la cifra di 15 scudi. Sempre nel 1861 veniva concesso per altri 6 anni all’ospedale il sussidio di £ 532 annue. Inoltre l’Amministrazione  stanziava  per il 1862 £ 266 per consentire la cura dei “cronici” (con patologie croniche) che finora non potevano essere ricoverati.
Nel 1863 un certo Natale Brandoni di Castelfidardo chiedeva di essere curato all’ospedale di Osimo per oftalmia: probabilmente a livello locale non si era ancora attrezzati per le malattie degli occhi.
Nel 1865 veniva concesso ancora per 6 anni il sussidio di £ 266 annue e l’ospedale risultava indebitato per la nuova fabbrica. Il 1865 è anche l’anno di una nuova ondata di colera: il morbo asiatico colpì 125 fidardensi e i morti furono 67. Nel 1866 l’ospedale chiedeva un rimborso per le spese sostenute durante l’epidemia: il Comune versò nell’occasione £ 1070,18 e donò alla struttura 10 paia di lenzuola che aveva prestato nelle fasi più critiche del contagio.
Con R.D. 27 settembre 1868 l’amministrazione dell’ospedale veniva trasferita alla Congregazione di Carità. Sappiamo che all’epoca vi erano in servizio un medico primario e un chirurgo che avevano l’obbligo di curare i degenti secondo un capitolato redatto in accordo con il Municipio. In questo stesso anno una terribile epidemia di scarlattina colpì Castelfidardo: centinaia di fanciulli furono portati all’ospedale dove le suore della Carità somministrarono loro estratto di belladonna a scopo preventivo. L’opera dei sanitari fu coadiuvata dalla Giunta comunale impegnata a fare in modo che tutti i bambini poveri scarlattinosi avessero vitto e medicine gratuite in ospedale.
Nel 1879 Ciriaco Mordini veniva nominato cittadino benemerito di Castelfidardo per donazioni fatte all’ospedale: letti in ferro, materassi, cuscini e un buon numero di coperte. L’anno seguente l’ospedale si trovava in perdita a causa dei numerosi ricoveri dell’ultimo triennio: il Comune era costretto a sovvenzionarlo con 200 £.
Negli anni 90 dell’Ottocento alcune importanti novità tecnologiche: nel 1890 si collocava un parafulmine sul tetto dell’ospedale; nel 1892 l’Amministrazione acquistava una macchina per il ghiaccio artificiale; nel 1897 veniva invece comprato, “nell’interesse dell’igiene”, un microscopio della ditta Koristka di Milano per una spesa di £ 500.
Nel 1910 esisteva un progetto per l’ampliamento dell’ospedale, per la costruzione di “camere d’isolamento” e per “altri miglioramenti” ma non se ne fece nulla. All’epoca vi erano 18 letti e l’ospedale non versava in buone condizioni finanziarie.
Sappiamo che nel 1918 l’ospedale civile, da poco battezzato “Umberto I”, si apprestava ad affrontare la pandemia di influenza “spagnola” in una situazione di mancanza di pulizia e di igiene. Vi erano soltanto 14 posti letto ed inoltre non erano presenti locali idonei per isolare pazienti affetti da malattie infettive. Nella struttura, sovraffollata, erano stati ospitati anche profughi veneziani. L’ospedale era poi poverissimo: non c’erano fondi per acquistare ferri chirurgici e quelli in uso erano di proprietà del dott. Migliorati (nel nosocomio si facevano 20 -30 interventi all’anno); mancava anche la carne per i ricoverati. Presso l’ospedale c’era una farmacia e un ambulatorio dove, tra le altre cose, venivano praticate le vaccinazioni antivaiolose. Le inefficienze portavano a considerare l’idea di costruirne uno nuovo.
Con Regio Decreto del 26 gennaio 1928, veniva sciolto il Monte di Pietà di Castelfidardo e il suo patrimonio era trasferito all’ospedale civile. Nel 1933 il nosocomio fidardense risultava ancora terremotato dopo il disastroso sisma del 1930 che aveva colpito soprattutto Senigallia. Nel 1937 veniva soppressa la Congregazione di Carità e l’amministrazione dell’ospedale era affidata all’Ente Comunale di Assistenza. Nel 1939 l’ospedale finiva sotto l’amministrazione unica degli Istituti Riuniti di Assistenza e Beneficienza di Castelfidardo.
Nel secondo dopoguerra l’inevitabile declino. Nel 1968 gli ultimi bambini a nascere nell’ospedale che fu riconosciuto come Ente Pubblico Ospedaliero con decreto n 35 della Giunta regionale delle Marche  del 30 novembre 1971. Ma ormai la chiusura era prossima con la costruzione della nuova struttura in una zona più periferica, servita dal trasporto pubblico e dotata di parcheggio, in via XXV Aprile.
Il più moderno ospedale fidardense venne inaugurato il 28 gennaio 1973. Contava ben 163 posti letto e due sale operatorie ritenute tra le migliori della Regione come attrezzatura. In effetti però il nosocomio non fu mai messo in grado di funzionare al massimo delle sue potenzialità.
Con l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale (Legge 833 del 1978), le funzioni in materia di assistenza ospedaliera vennero trasferite alla USL n 13 (dal 1 marzo 1981) dei Comuni di Osimo, Castelfidardo e Offagna. Nella USL vi erano tre ospedali  per una popolazione complessiva di circa 43.000 abitanti: quindi il numero di posti letto per abitante risultava eccessivo. L’ospedale castellano e il “Muzio Gallo” di Osimo erano destinati alla chiusura per lasciare come unico polo sanitario l’osimano “SS. Benvenuto e Rocco”.
L’ospedale di Castelfidardo ha cessato la sua attività nel 1993, anno in cui è stato trasformato in poliambulatorio e residenza sanitaria assistita (RSA) della nascente USL n 7 di Ancona (1994).

 
Dal passato al futuro... un viaggio nel tempo dei templi della salute
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