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VENZONE Ospedale Santa Maria

Ospedali Nord est > Regione Friuli Venezia Giulia > Provincia di Udine

La scheda riportata deriva da due saggi scritti dal Dott. Enrico Miniati, scaricabili dall'OPAC e da un testo, sempre del Miniati: Una vita per Venzone: tutti scritti in memoria di Guido Clonfero.
Non è stato semplice rintracciare il Dott. Miniati ma la perseveranza premia. Contattato si è reso prontamente disponibile nel concedermi l’autorizzazione ad utilizzare le parti di mio interesse. E’ sempre difficile però il dover riassumere in poche righe un lavoro minuzioso, ricco di riferimenti e annotazioni bibliografiche,  frutto di un lungo lavoro di ricerca. Mi sono limitato, come per tutte  le altre schede, nel riportare i punti più salienti (a mio parere) ma se chi mi legge volesse saperne di più sappia che i suoi lavori sono facilmente consultabili


Intorno all'ospedale di Santa Maria di Venzone gravitava, a partire dal Basso Medioevo, un ambiente segnato dall'indigenza e dal bisogno. Fin dai suoi primi anni di attività l'ospedale venzonese, si segnalò alla popolazione  per la centralità del suo ruolo, caratterizzandosi, come quasi tutti gli ospedali medioevali, per un'offerta assistenziale che aveva delle caratteristiche diversificate e di ampio respiro. I servizi offerti non privilegiavano l'aspetto esclusivamente sanitario ma venivano incontro a bisogni di carattere prevalentemente sociale. Le larghe coordinate entro le quali l'attività assistenziale trovava delle soluzioni posero l'istituto, a partire dal secolo XIV, come punto di riferimento per un'area che comprendeva, oltre alla giurisdizione venzonese, anche gran parte del Canal del Ferro.
Secondo la tradizione l'ospedale di Santa Maria di Venzone conosciuto successivamente come Pio Istituto Elemosiniere fu fondato nel 1261 , grazie al cospicuo lascito testamentario di Albertone Dal Colle. L'amministrazione comunale venzonese, soggetta a quel tempo alla famiglia Mels, venne chiamata a dare piena esecuzione alle volontà del defunto: fu acquistata una casa con alcuni terreni ed organizzata la struttura amministrativa interna dell'ente.   Dal 1261 al 1306, il nascente ospedale venne gestito direttamente dalle istituzioni comunali della cittadina, successivamente dopo la fondazione della confraternita della Beata Vergine Maria, l'amministrazione fu demandata a quest'ultimo organismo.
Il percorso che portò alla fondazione e al consolidamento dell'ospedale venzonese, procedette però con dinamiche inusuali rispetto alla consuetudine friulana. Di norma le confraternite, che erano forme di aggregazione spontanea di laicato cattolico, le quali si svilupparono in tutto il Friuli a partire dalla seconda metà del secolo XIII, una volta assunta una propria fisionomia, si avviavano ad assolvere funzioni assistenziali attraverso la spontanea fondazione di un ospedale. Il caso di Venzone è all'opposto scandito dall'autorità comunale, che incanalando le risorse provenienti dalla pubblica beneficienza, promosse l'erezione dell'ente, coordinando ed incoraggiando il suo sviluppo. Solo successivamente, quando l'istituzione assunse una certa stabilità ed una relativa solidità economica il Comune abbandonò in maniera progressiva il controllo della gestione affidando la struttura alla neocostituita confraternita. All'opposto quindi di altre fondazioni, come ad esempio quella dell'ospedale di Santa Maria della Misericordia di Udine, il comune di Venzone esercitò un ruolo centrale nella nascita della struttura assistenziale.
Nel 129() furono istituiti al vertice dell'ospedale due Priori ed un Rasonato, i quali dovevano operare sempre sotto la supervisione dell'autorità comunale. Nel 1306 il diritto ad amministrare l'ente passò direttamente alla confraternita senza più nessuna forma di controllo da parte dell'autorità comunale venzonese. Alla fraterna della Beata Vergine Maria, modellata  e fortemente influenzata dall'esperienza dei Battuti, venne demandata la facoltà di eleggere gli organi istituzionali operanti all'interno dell'ospedale. Fu inoltre concesso, compatibilmente con la disponibilità delle risorse economiche a disposizione, di avvalersi di tutto il personale necessario alla gestione dell'istituto.
Il movimento dei Battuti rappresentava, a partire dalla seconda metà del Duecento, un elemento particolarmente vitale nel quadro della vita religiosa regionale. La pratica della flagellazione e le manifestazioni di passione devota avevano dato vita a forme di solidarietà e di aggregazione spontanea tra le persone che avvertivano il bisogno della sofferenza come forma concreta di espiazione dei peccati. L'evoluzione di questo fenomeno fu la nascita in regione di varie confraternite di carattere locale, diverse tra loro per vocazione, denominazione e tipologia, le quali tra le varie attività, spesso dedicavano energie alla cura delle persone bisognose. A Venzone l'esperienza si concretizzò nella fondazione della confraternita della Beata Vergine Maria.
Questo movimento aveva radici profonde ed incisive nella società venzonese, coinvolgendo gran parte dei più eminenti abitanti del distretto. Di solito le più alte cariche dell'ospedale (Priore, Camerario) e le figure che detenevano compiti di soprintendenza generale erano ricoperte da membri di famiglie del notabilato venzonese. La confraternita della Beata Vergine Maria conosciuta anche come confraternita del Gonfalone amministrò l'ospedale fino al 1667, quando con una delibera del 27 dicembre il consiglio amministrativo dell'ente decise di affidare la gestione ed i beni mobili ed immobili al monastero venzonese di Santa Chiara.
L'ospedale di Venzone entra a far parte a pieno titolo di una fitta rete di piccoli ospedali che sorsero in regione tra la fine del secolo XIII e l'inizio del XIV. Alcuni di questi, come quello di Santa Maria, divennero a partire dal secolo XVI dei veri e propri ospedali in senso moderno cioè luoghi destinati principalmente alle cure sanitarie degli ammalati, altri invece rimasero enti dove veniva dispensata una semplice e generica assistenza. Questi ultimi tendenzialmente scomparvero sul  finire dell’era moderna. Gli istituti sorgevano di solito sulle principali arterie di comunicazione, alle volte anche a breve distanza uno dall’altro. L’ospedale di Santo Spirito di Ospedaletto operava, ad esempio, a meno di dieci chilometri a sud di Venzone, inoltre nei pressi del centro abitato di Gemona era attivo anche l'ospedale di San Michele. La frequenza e la moltiplicazione di queste piccole strutture garantiva a pellegrini e viaggiatori luoghi di assistenza quasi ad ogni giornata di viaggio.
Venzone era infatti una tappa importante sull’asse stradale che collegava il nord-est italiano con le terre tedesche. Superata la cittadina, l'itinerario che in epoca romana era conosciuto come via Julia Augusta, si biforcava, per inerpicarsi attraverso l'arco alpino. Provenendo da nord l'ospedale di Venzone era la prima struttura assistenziale di un certo spessore che si incontrava superati i rilievi. I Camerari che annualmente si alternavano nella gestione economico-finanziaria dell’istituzione, procedendo alla compilazione dei quaderni contabili dell'ospedale, annotavano con sistematica continuità tutte le spese legate agli interventi di assistenza messi in atto.
Spesso ad usufruire dei servizi offerti dall'ente erano proprio mercanti o forestieri che percorrevano l'asse stradale che collegava le terre tedesche all'Italia. I servizi offerti dall'ospedale di Santa Maria se da un lato erano rivolti a qualsiasi indigente, straniero o locale che fosse, dall'altro erano però inevitabilmente condizionati dalle risorse a disposizione, legate ad una assistenza rivolta principalmente agli abitanti del territorio "di competenza". L'ente aveva un carattere polifunzionale che, oltre a fornire cure ed ospitalità a pellegrini ed infermi, accoglieva, cresceva e creava un avvenire a bambini  abbandonati, elargiva elemosine, distribuiva cibo e pasti e forniva un generico aiuto anche di natura economica. Una delibera del consiglio direttivo dell’ospedale, datata 20 novembre 1402 inquadra le funzioni e gli scopi della struttura: "Che le entrate dell'ospedale non possano spendersi che a tener in acconcio la Casa del 'Ospitale e beni, ed allimentare i poveri vecchi, orfani e putti da latte, a somministrare elemosine e medicine alli poveri, a pagar provisionati, a maritare le vergini  povere, a comprar libri e carta per scrivere ed in tulle le cose utili e giudicate necessarie". Traspare alle volte, sempre dall'interno dei quaderni dell'amministrazione, l'insofferenza dei Camerari i quali, dopo aver provveduto alle spese per le cure mediche, erano costretti a dispensare ulteriori denari per allontanare alcuni indigenti che, una volta guariti, usufruivano ancora delle risorse dell'ospedale. L'ente era in alcuni casi sfruttato per soggiorni tutt'altro che temporanei, non presentandosi come una soluzione provvisoria e provvidenziale alle proprie disgrazie, bensì trasformandosi in una residenza stabile. Il 7 febbraio 1476 Michel de Pieri, eletto camerario per quell'anno, annota: "Per un paio de scarpe date a un povero aciò che andasse via ", il 22 giugno dello stesso anno: "Per mandar una cargnella fora della casa " e ancora il 23 ottobre "Per un paio de scarpe ad un povero che era sta amalado e vada via' .
Il Camerario, rivestendo le funzioni di tesoriere, finiva per essere una delle figure centrali non solo dell'apparato amministrativo ma anche di tutto l'ospedale. Era di fatto, assieme ai Priori, il responsabile dell'andamento dell'ente e doveva rendere conto alla fine del suo mandato, della situazione economica e finanziaria dell'istituto.
L'ospedale era composto da un’unica costruzione, probabilmente di forma rettangolare, orientata sui lati maggiori da est ad ovest. All'interno, l'edificio era diviso in tre o forse quattro ambienti. Il principale era formato da un grande stanzone destinato agli indigenti. La descrizione dei beni contenuti, datata 26 dicembre del 1475, elenca come prima voce: "Leti dogni sorta co li plumazi numero XXII ".  Oltre a questi giacigli destinati esclusivamente agli ammalati e ai bisognosi ce n'erano altri tre (descritti separatamente) riservati probabilmente a persone che soggiornavano o lavoravano abitualmente all’interno della struttura.  L'ospedale era inoltre fornito di quarantatre lenzuoli e svariate coperte di tela. E’ tipico riscontrare, fino alla metà del secolo XVIII, poveri e degenti di entrambi i sessi alloggiati in  un unico stanzone il quale era di solito ubicato e collegato con un edificio sacro che fungeva da chiesa dell’ospedale.
Adiacente a questa sala di degenza c'era la cucina, con annesso un magazzino, chiamato nell’inventario Sala delle biave. Doveva trattarsi di un ambiente di dimensioni abbastanza ampie, considerando che conteneva oltre a quattro calderoni de rame e a una caldera grande de tignuda de octo sechie (circa 112 litri) svariati pentoloni e numerosi altri arnesi adatti  alla preparazione dei pasti.
All'interno del magazzino collegato  alla cucina erano custodite le scorte alimentari dell’ente. Il Camerario spesso interveniva sul mercato per acquistare il cibo necessario ai pasti ma è presumibile che una discreta scorta di alimenti, soprattutto cereali, fosse conservata in questo ambiente. Il patrimonio dell’ospedale era composto da svariati appezzamenti di terreno dati in affitto, le cui rendite permettevano di soddisfare in parte le esigenze alimentari dell'ente.
I censi pagati dai massari (affittuari) erano di solito evasi in natura ed erano composti da diverse quantità di cereali, da conzi di vino e da animali da cortile.  Queste rendite soddisfacevano in parte i bisogni alimentari dell'ospedale.
All'interno del registri dei camerari in una sezione specifica chiamata "Denari reçeudi per mi *** camerario dela fradagla per ogni altro modo oltra li fitti e le offerte" o in altri casi più semplicemente "Recepta de biava venduta" confluivano una serie di entrate a titolo vario, fra le quali tuttavia assumeva uno spazio preponderante il ricavato di una offerta cerealicola rivolta per lo più al mercato locale.
Nel Medioevo, che vedeva nel cibo la prima medicina, costituiva una parte essenziale della letteratura medica. Un valore terapeutico era assegnato a certi cibi ritenuti particolarmente energetici: perciò adatti al recupero della salute. Ad esempio dopo la flebotomia o il salasso cura abitualmente praticata nell'ospedale venzonese  si consigliava l'ingestione di uova, vino e carne, ritenuti uno dei principali rimedi alla debolezza del corpo malato.  Grazie all'abbondanza d'acqua determinata dallo scioglimento delle nevi, ingenti quantità di legname potevano quindi essere fluitati in fondovalle anche su rivi che, come il torrente Venzonassa, hanno una portata durante il corso dell'anno modesta e discontinua. L'ospedale, come presumibilmente gran parte dell’abitato venzonese, si riforniva per il fabbisogno annuale di legna nei mesi primaverili, quando la disponibilità era abbondante e quando anche il costo di conseguenza era più contenuto.
L'ospedale nel Quattrocento poteva ospitare al massimo una ventina di degenti, collocandosi quindi come un ente dalle piccole dimensioni. Nonostante questo profilo modesto impiegava a vario titolo per le proprie esigenze numerose persone. Ad esclusione però di alcune figure centrali, le quali lavoravano quotidianamente nella struttura (Camerario, alcuni inservienti), la maggior parte del personale che ruotava attorno all’ente, era perlopiù impiegato in lavori saltuari, che di norma non implicavano una presenza costante. I Camerari di solito annotavano nei registri i lavori eseguiti, corrispondendo poi un salario a fronte della prestazione. Le voci di spesa segnalano l'esecuzione di svariate attività, legate non solo all'assistenza sanitaria o nella gestione del patrimonio fondiario dell'ente ma anche riferite a lavori di manutenzione dell'edificio ospedaliero oppure per porre rimedio a situazioni di emergenza e soccorso.
I pazienti che presentavano particolari patologie potevano poi venir trasferiti in altre strutture, ritenute forse più idonee per il loro male. Per il trasporto gli indigenti erano affidati ad un accompagnatore, che di norma richiedeva un compenso per le spese di viaggio.
Il reclutamento del personale avveniva di solito tra i membri più disponibili della confraternita, i quali oltre a soddisfare queste episodiche esigenze dell'ente, offrivano alle volte anche delle giornate di lavoro, annotate dal Camerario in una particolare sezione dei registri. Il manifestare un interesse per la situazione dell'ospedale ed il garantire un 'abbondante disponibilità lavorativa permetteva ad un confratello non solo di guadagnare qualcosa, in aggiunta al lavoro abituale, ma anche di farsi benevolmente notare all’interno della fraterna, favorendo eventualmente per il futuro una sua candidatura in qualche organo direttivo dell’ente.
La maggior voce di spesa per il personale era comunque quella riferita al salario del medico e dei religiosi. Di solito la loro retribuzione non avveniva al momento dell'esecuzione della prestazione ma c'era la tendenza a pagare una cifra forfettaria ogni 2-3 o 4 mesi. ln alcuni rari casi veniva però annotata la spesa per l'intervento del medico in una data precisa, segno che questo rappresentava un caso eccezionale. Poteva ad esempio trattarsi di una richiesta urgente o di una prestazione complessa, ma molto spesso significava semplicemente il pagamento di una parcella aggiuntiva per far una visita a domicilio del paziente.
Il medico ed i religiosi non operavano in maniera esclusiva per l'ospedale anche se la loro presenza nella struttura era quasi quotidiana. I religiosi che servivano l'ente erano di solito i cappellani o i sacerdoti delle maggiori chiese cittadine.
Il patrimonio dell’ente era costituito soprattutto da immobili pervenuti attraverso lasciti e legati testamentari. Dagli affitti che i privati pagavano su case c terreni di proprietà della fraterna avevano origine buona parte delle risorse dell'ospedale. Un'altra rilevante fonte di entrate era costituita da una serie cospicua di rendite in denaro, di solito dal carattere perpetuo, giunte anch'esse all'ente per via testamentaria. Le cifre erano generalmente modeste ma la totalità delle somme ricevute permetteva di incassare un importo rilevante. Oltre a questo c' erano risorse che provenivano da donazioni occasionali, come quelle dei degenti, che erano una costante di lungo periodo e che si integravano con lasciti in denaro ricevuti attraverso le elemosine raccolte in chiesa.
I testatori erano per la maggior parte venzonesi ma in alcuni casi si trattava anche di residenti  in varie località del Friuli.
Alcuni lasciti provenivano poi da persone originarie delle terre tedesche.
Il nucleo centrale del patrimonio dell'ospedale si formò alla fine del secolo XIII — inizio XIV, e rimase pressocchè costante fino al primo Quattrocento. Se confrontate con altri enti le risorse a disposizione, per gestire una struttura di questo tipo, erano modeste: qualche manso e poco più di un centinaio di rendite di vario tipo, alcune in denaro su beni immobili, soprattutto case e terreni.
Il Quattrocento, fu interessato da continui episodi epidemici che si propagarono certamente anche  negli abitati vicini.  
Da evento isolato e sporadico le epidemie diventarono una presenza costante che imponeva l'adozione di specifiche contromisure.
Oltre a questo, i primi decenni del Quattrocento furono caratterizzati da una instabilità politica e da conseguenti guerre che ebbero una particolare intensità.
Questo insieme di fattori impose una maggior efficienza della struttura ospedaliera venzonese, evidentemente incapace ed inadeguata ad affrontare le conseguenze degli eventi. La coscienza popolare fu presumibilmente toccata e il numero di lasciti e donazioni crebbe in maniera consistente. L'operato degli organi direttivi dell'ospedale si dimostrò inoltre particolarmente attento cd abile nella gestione, incrementando il patrimonio dalla struttura anche con acquisti di terreni e mansi.
Questa situazione mutò poi nuovamente a partire dalla seconda metà del secolo XV. Se in regione I ' assetto politico si era stabilizzato da tempo, è presumibile ritenere che anche l’andamento demografico, segnale di una più stabile condizione anche sotto l'aspetto economico e sociale, fosse nuovamente in aumento. Probabilmente non ci fu un rallentamento delle crisi epidemiche quanto piuttosto si raggiunse un livello sanitario tale che consenti di limitare l'incidenza della mortalità. L'assistenza e le cure dispensate erano migliori e le conoscenze sull'andamento della malattia erano tali da affrontare con più serenità eventuali crisi epidemiche.
Probabilmente come conseguenza dei buoni risultati raggiunti il patrimonio dell’ente continuò ad essere incrementato, anche se non in misura così massiccia come nel cinquantennio precedente. L'ente dovrà però affrontare nuovi problemi, che già si intravedono verso la fine del secolo XV, e che erano legati ad una prolungata insolvenza dei canoni d'affitto ed al riassetto delle entrate patrimoniali.





 
Dal passato al futuro... un viaggio nel tempo dei templi della salute
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