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RACCONIGI Ospedale Psichiatrico

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Questa scheda proviene dal sito "carte da legare " http://www.cartedalegare.san.beniculturali.it/ ; è un progetto della Direzione generale archivi del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo nato per proporre una visione organica di tutela del patrimonio archivistico di queste istituzioni. Partito nel 1999 con un primo programma di finanziamento per i complessi archivistici degli ospedali Santa Maria della Pietà di Roma e Leonardo Bianchi di Napoli. Il portale mette a disposizione della comunità i risultati . Essi possono essere utilizzati per scopi di studio e ricerca da parte degli addetti ai lavori e per la semplice conoscenza del fenomeno manicomiale da parte di un pubblico più vasto.
Sono liberamente consultabili i dati del censimento degli archivi, alcuni strumenti di ricerca e le statistiche dei dati socio-sanitari ricavati dalle cartelle cliniche. La consultazione dei dati specifici delle singole cartelle cliniche avviene, invece, dietro autorizzazione, nel rispetto della normativa sulla privacy.
Carte da legare costituisce anche un percorso tematico specifico del SIUSA (Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche).


http://www.cartedalegare.san.beniculturali.it/fileadmin/redazione/inventari/Racconigi_OspedaleNeuropsichiatrico.pdf


Nel corso dell’autunno del 1868 si iniziò a parlare della possibilità di adattare ad uso di manicomio provinciale l’imponente edificio dell’ex Collegio Militare di Racconigi, nato come Ricovero di mendicità capace di ospitare fino a mille persone, ma rivelatosi fin dall’inizio troppo ampio rispetto alla sua funzione.
Con questa imponente struttura, la Deputazione riteneva soddisfatta, almeno inizialmente, l’esigenza di un ricovero per “maniaci poveri”.
Il 4 luglio 1870 fu  approvato il progetto presentato dalla Commissione e, nell’estate, iniziarono i primi lavori di ristrutturazione.
L’importo necessario per l’istituzione manicomiale era risultato di 168.305 lire, derivante dalla somma delle spese per le opere di adattamento, per la sistemazione dell’arredamento ospedaliero e dei mobili per gli uffici; andavano inoltre aggiunti gli stipendi annuali di un medico, un economo, un segretario, un direttore spirituale, un cuoco, un portinaio e 24 infermieri.
Il 1° settembre 1871 avvenne il ricovero dei primi due “mentecatti”.
Durante l’adunanza del Consiglio provinciale di Cuneo del 28 settembre 1886 venne deliberato lo “Statuto Organico” .
Tale documento fornisce precise indicazioni sulla gestione dell’istituzione manicomiale, a partire dai cosiddetti “Maniaci” (capo I), il cui ricovero, previa autorizzazione del Prefetto della provincia di Cuneo, doveva essere valutato tramite un decreto della Deputazione, cui spettava di accertare le “condizioni di fortuna e di malattia” del malato; era previsto un periodo di “prova” di trenta giorni, passati i quali si poteva procedere all’accettazione definitiva, dietro parere del medico direttore alla Deputazione.
Seguono disposizioni sull’Amministrazione in genere (capo II); essa spettava alla Deputazione provinciale - compresi il personale e i servizi del manicomio - e consisteva soprattutto nel controllo del complesso sistema contabile, che comportava da parte del Direttore la contemporanea presentazione al Consiglio provinciale di tre relazioni: una sull’andamento economico-amministrativo del manicomio, una sul bilancio e l’ultima  sulla parte sanitaria. La Deputazione gestiva la revisione dei bilanci da presentare al Consiglio provinciale, fissava le rette mensili per i malati a pagamento, nominava il personale fissandone i salari, provvedeva al servizio religioso, approvava i capitolati dei contratti per le provviste, compilava i regolamenti disciplinari e di amministrazione interna, deliberava sulle azioni giudiziarie; per gli affari di ordinaria amministrazione la Deputazione provinciale veniva coadiuvata da una Commissione amministrativa con sede a Racconigi.
La Commissione amministrativa (capo III) risultava composta da sei membri nominati dalla Deputazione provinciale, tre dei quali scelti nell’ambito della Deputazione stessa, tra i quali anche il Presidente, mentre gli altri tre venivano eletti fra i residenti abituali di Racconigi; tutti restavano in carica quattro anni ed erano sempre rieleggibili.
Venivano inoltre nominati dalla Commissione due Commissari supplenti. Le funzioni di Presidente e di membro della Commissione di vigilanza non erano retribuite, ad eccezione dei rimborsi per chi non risiedeva a Racconigi.
Il capo IV dello Statuto riguarda la Direzione e il Personale in genere:
La gerarchia tra i Medici era regolata dal capo V: il direttore dipendeva direttamente dalla Deputazione provinciale e in particolar modo dal presidente della Commissione amministrativa: ne adempiva e faceva adempire gli ordini e le deliberazioni, si occupava della direzione e della vigilanza su tutto il personale del manicomio e risiedeva nello stabilimento. Il direttore manteneva poi la corrispondenza d’ufficio con la Deputazione e col presidente della Commissione, sovrintendeva a tutti i settori del servizio interno, provvedeva al servizio religioso e aveva cura che il segretario preparasse  il bilancio di previsione e il conto per poterli presentare alla Commissione amministrativa e poi alla Deputazione, che li sottoponeva infine all’approvazione del Consiglio Provinciale. Inoltre il direttore doveva proporre alla Commissione amministrativa la norma dietetica e ogni giorno consegnava all’economo il bollettino dietetico e quello farmaceutico, indicando nel primo il numero complessivo dei ricoverati e nel secondo quello dei degenti nelle infermerie. Il direttore regolava anche tutte le spese in conformità al preventivo e ai bisogni dello stabilimento.
Oltre ai registri scientifici ed ai libri occorrenti per le annotazioni del “movimento degli alienati” e per il protocollo della corrispondenza, il direttore teneva appositi registri dei bollettini dietetici quotidiani e dei buoni per autorizzare l’economo a fare le spese ordinarie e straordinarie; inoltre presentava un rapporto mensile sul movimento dei ricoverati e sulle relative malattie proponendo la dimissione di coloro che per legge non potevano essere trattenuti. Nel mese di giugno il direttore presentava un altro rapporto annuale sulle “condizioni morali, scientifiche ed igieniche dello stabilimento”. Ancora, il direttore stilava gli inventari della biblioteca, della farmacia e della strumentazione chirurgica, assegnava il posto ai ricoverati, redigeva annotazioni sulle manifestazioni delle malattie, faceva eseguire le necroscopie, dava immediata comunicazione dei decessi all’Ufficio di Stato Civile, al presidente della Commissione amministrativa, ai parenti. Il direttore poteva infine infliggere agli infermieri e agli inservienti pene disciplinari determinate dal regolamento interno.
I medici assistenti assumevano la cura dei “mentecatti” nelle sezioni loro affidate dal direttore e lo aiutavano nelle sue mansioni; tali medici non potevano accettare altri incarichi retribuiti permanenti e dovevano rinunciarvi se già ne erano stati investiti. Il medico assistente interno, che alloggiava nel manicomio, aveva l’obbligo di pernottamento e non poteva assentarsi se non nelle ore permesse dal direttore; l’altro medico doveva pernottarvi in caso di circostanze specifiche ordinate dal direttore.
La disciplina degli Impiegati era regolata dal capo VI: un segretario dell’Amministrazione provinciale doveva passare al manicomio per compiervi le funzioni di segretario, il quale dipendeva direttamente dal presidente della Commissione stessa, dai commissari di turno e contabilità e dal medico direttore.
Il segretario inoltre assisteva alle verifiche di cassa del tesoriere firmandone il verbale.
Presso l’ospedale era presente anche un economo con le funzioni di tesoriere;
L’applicato di segreteria compiva sotto la direzione del segretario i lavori di ufficio affidatigli dal segretario stesso e dal direttore; collaborava inoltre con l’economo-tesoriere per la compilazione della documentazione.
L’”amanuense” era addetto all’ufficio della direzione; poteva anche essere utilizzato per le “copiature” di segreteria e dell’ufficio dell’economo-tesoriere.
L’”addetto all’economia ed ai lavori” aiutava l’economo nelle sue mansioni; come assistente dipendeva dal funzionario tecnico cui era affidata la direzione dei lavori di costruzione e di riparazione che si compivano nel manicomio.
Dall’apertura fino ai primi due decenni del Novecento, quando nell’Italia giolittiana avvenne la prima organica riforma dell’assistenza psichiatrica, l’antico ricovero di Racconigi, diventato manicomio, visse quella che si può definire la fase del “grande internamento”.
A un anno dalla sua apertura, l’ospedale ospitava 234 pazienti, che portarono ben presto la struttura alle soglie della saturazione: questa fu raggiunta quando il numero delle presenze mensili si stabilizzò oltre le 250 unità (1874), diventate 400 negli anni ’80 del XIX secolo, e che superarono le 800 unità alla vigilia del primo conflitto mondiale.
In tutta Italia, per il periodo intercorso dall’unificazione ai primi del Novecento, si era potuta registrare una quadruplicazione degli internamenti, dovuta a una serie di motivi, tra cui sia una maggiore sensibilità sociale che favorì il ricovero di infermi, prima assistiti dalle famiglie, sia minori pregiudizi verso gli ospedali - che erano diventati luoghi di cura e non più di segregazione -, sia infine l’accresciuto numero dei posti letto e un più facile trasporto dei ricoverati; in effetti non era aumentata la diffusione della malattia mentale, ma solo il ricorso ai ricoveri.
Fino all’inizio del XIX secolo, un quinto dei ricoverati psichiatrici era affetto da pellagra.
Con il nuovo secolo lo scorbuto alpino iniziò la sua parabola discendente: nel 1909 i pellagrosi erano meno dell’1%. Tuttavia, l’incremento dei ricoveri proseguì imperterrito il suo corso, in quanto il raggio di azione del manicomio si andava estendendo.
Nel manicomio era ospitata una gamma illimitata di pazienti, dagli anziani dementi ai pazzi pericolosi.
Queste tare vennero spesso considerate di origine genetica, per fronteggiare le quali si ricorse a metodi come  interventi chirurgici per allargare lo spazio disponibile per il cervello,  docce e bagni freddi, uso dell’atropina e degli arsenicati. Non venne impiegato invece l’ipnotismo.
Nel 1904, dopo decenni di tentativi infruttuosi, l’Italia si dotò di una legge sui manicomi (n. 36 del 14 febbraio) che separava con chiarezza le competenze dei comuni – assistenza dei poveri dementi – da quelle della Provincia (ricovero dei pazzi pericolosi).
La crescita della popolazione ricoverata fece ben presto saltare le strutture edilizie dell’ospedale di Racconigi: il corpo centrale dell’ex Collegio Militare, già integrato del 1897 con le due casermette Umberto e Govean, ribattezzate Tardieu e Connolly, non era in grado di accogliere decorosamente 600 ospiti. Di questi, 337 erano depressi per la maggior parte cronici, 146 dei quali vivevano nel manicomio da oltre dieci anni; per tale motivo si pensò dapprima di dimettere un centinaio di malati “innocui”, ma poi, temendo che potessero finire nei vari ricoveri di mendicità - che avrebbero richiesto un contributo economico della Provincia , si decise di ampliare le strutture edilizie.
Venne elaborato un nuovo progetto di ampliamento in base al quale furono acquistate due case adiacenti all’Ospedale.
L’11 ottobre 1909 il Consiglio provinciale deliberò di mantenere il Manicomio di Racconigi come ricovero dei maniaci incurabili in numero di 600, di costruire una sezione di manicomio per maniaci curabili di ambo i sessi, capace di circa 400 letti in un’altra area libera, suscettibile di ulteriori ingrandimenti ed in una località preferibilmente prossima al manicomio attuale”.
Alla vigilia della Grande Guerra, la Provincia si ritrovò senza disponibilità finanziarie: i lavori del manicomio furono di conseguenza ridimensionati, limitandosi all’edificazione di uno solo degli otto padiglioni previsti e alleggerendo piuttosto la popolazione ospedaliera mediante le convenzioni per soggiorni di dementi cronici stipulati fin dal 1911 con la Congregazione di Carità e con l’ospedale Cottolengo di Cuneo.
Andava consolidandosi sempre più lo stretto legame tra l’abitato di Racconigi e il manicomio, grazie soprattutto ai giovamenti economici che il bilancio dell’ospedale psichiatrico apportava al bilancio comunale, in una cittadina dove, tranne l’industria serica non vi erano attività economiche importanti.
Nell’ospedale psichiatrico trovavano occupazione una trentina di infermieri, che diedero origine alla prima organizzazione sindacale nel pubblico impiego in provincia di Cuneo.
Con la legge n. 36 del 14 febbraio 1904 varata dal governo Giolitti, e il successivo regolamento del 1909 (Regio Decreto n. 615 del 16 agosto), iniziò il cammino che regolamentò l’istituzione dell’ospedale psichiatrico con le modalità di assistenza e cura per i soggetti affetti da disturbo psichico.
Lo statuto del 1886 venne modificato lievemente dal Regolamento Speciale del Manicomio Provinciale di Racconigi approvato dalla Deputazione Provinciale il 13 luglio 1925, in base all’art. 4 della legge n. 36 del 1904. Tale regolamento constava di 130 articoli suddivisi nei capitoli relativi al Servizio sanitario, Servizio di assistenza immediata e Materiale scientifico, con una particolare attenzione alla pianta organica.
Ben presto si superarono i mille ricoverati e le esigenze di ampliamento e di ammodernamento ottennero una risposta completa solo negli anni tra le due guerre. Tale periodo fu caratterizzato dalla “grande fase scientifica” di Racconigi, durante la quale l’ospedale attirò l’attenzione di medici e di scienziati provenienti da diverse regioni italiane e da molti stati europei, tra cui la Russia.
Nel frattempo, per poter rientrare almeno in parte delle enormi spese che comportava la gestione dell’Ospedale, con deliberazione del Rettorato provinciale di Cuneo del 30 agosto 1934 (approvata dalla Giunta provinciale amministrativa il 3 novembre 1934), venne istituito il reparto neurologico “a porte aperte”. Tale sezione, dotata di trenta posti, poteva accogliere a spese del ricoverato (e non più della Provincia) i malati neurologici o affetti da “malattie mentali compatibili con la coscienza di malattia”, che risultavano fuori dalle prescrizioni della legge n. 36 del 1904 e del relativo regolamento n. 615 del 16 agosto 1909. Si trattava in sostanza delle stesse disposizioni contemplate successivamente nell’articolo 4 della legge n. 431 del 18 marzo 1968 – la cosiddetta Legge Mariotti - che offriva la possibilità di assistenza, diagnosi e cura a tutti i cittadini aventi diritto con carico della retta alla Mutua.
Una decisa riorganizzazione dell’Ospedale fu attuata tra il 1945 e il 1949. Benché la guerra non avesse danneggiato in modo consistente l’ospedale, il perfezionamento dell’organizzazione terapeutica ed assistenziale dei malati aveva subito un colpo di arresto, soprattutto a causa del dissesto economico che gravava sul bilancio pubblico. Tuttavia, grazie a consistenti finanziamenti, furono rimodernati diversi impianti e corpi di fabbrica tra cui la vecchia e la nuova lavanderia, la centrale termica, le alberate e i giardini, il reparto neurologico femminile “Villa Tanzi”, la casa delle suore, la sala radiologica e di terapia fisica, la biblioteca.
Non vi furono grandi innovazioni amministrative e legislative fino al 1958, anno in cui gli ospedali psichiatrici, dalle competenze del Ministero di Grazia e Giustizia, passarono al Ministero della Sanità. Nella seconda metà degli anni ’60, l’ospedale psichiatrico  ospitava circa 1500 pazienti, la maggior parte dei quali (ricoverati soprattutto per alcolismo) provenivano dal circondario saluzzese, seguito da Cuneo, Mondovì ed Alba. Il personale ammontava a 315 dipendenti, tra cui 7 medici, 52 infermiere (più 62 suore) e 121 infermieri, i quali erano in realtà  uomini  forzuti che avevano seguito un corso da infermiere.
Nel fabbricato che ospitava l’ospedale psichiatrico esistevano due reparti “Chiarugi”, uno per gli uomini e l’altro per le donne; a questi si aggiunsero i nuovi padiglioni “Marro” (uomini “tranquilli”), “Tamburini” (donne “tranquille”), “Morselli” (uomini e donne “acuti”, con celle di contenzione), per un totale di cinque padiglioni e otto reparti, quattro maschili e quattro femminili. I pazienti potevano passeggiare negli appositi corridoi, ma dovevano seguire rigide regole di comportamento ed erano in gran parte relegati alle “libertà” manicomiali. Fontane e giardini erano riservati ai dottori e pressoché vietati ai pazienti.
L’ospedale era dotato inoltre di un reparto operatorio, un reparto radiologico, uno per le cure di terapia fisica, un laboratorio di analisi e di ricerche e una farmacia; la struttura forniva infine servizi di odontoiatria ed elettroencefalogrammetria. Il complesso occupava 50.000 metri quadrati nei quali, oltre ai reparti, trovava posto anche un’azienda agricola.
La struttura ospedaliera era inoltre provvista di un acquedotto con serbatoio pensile, di un padiglione annonario con le cucine, la panetteria, la macelleria, la salumeria, i magazzini e l’officina per la manutenzione; e ancora la centrale termica, il laboratorio di biancheria e vestiario, la calzoleria.
La costruzione del padiglione annonario, dove venivano accentrati tutti i servizi, aveva liberato alcuni spazi: il primo locale ad essere riutilizzato fu quello dell’ex cucina, riconvertita in bar, ovviamente senza alcolici, ma con un biliardo e alcuni tavoli per il gioco delle carte, dove i pazienti potevano liberamente recarsi, considerato che alcuni reparti non erano più chiusi a chiave come un tempo.
Contestualmente si cercò di migliorare le condizioni dei ricoverati, restituendo loro, nei limiti del possibile, maggiore dignità. Si pensò infatti di far lavorare chi ne era in grado, anche al di fuori dell’azienda agricola: vennero distribuiti ai malati dei lotti di terreno per la coltivazione orticola, con conigli, galline e la possibilità di andare al mercato a vendere i prodotti. Per quanto riguarda le donne invece, vennero consegnati capi di biancheria intima e furono confezionati degli abiti con stoffe differenti, in luogo dell’anonimo camicione uguale per tutte. Fu chiamato anche un parrucchiere perché acconciasse i capelli in modo diverso da una paziente all’altra; infine, i lunghi banchi del refettorio furono sostituiti da tavoli per quattro persone con fiori al centro.
Benché non si parlasse ancora di strutture alternative esterne, si tentò di fare della struttura interna altrettante strutture libere: furono organizzati balli promiscui, e al sabato veniva chiamata un’orchestra, perché suonasse in uno spiazzo nei pressi del reparto Tamburini. In seguito, sull’esempio di Cogoleto, con l’aiuto di un’assistente sociale si adibì una palazzina ad uso sartoria, in modo che le malate che ritenevano di poter fare le sarte potessero imparare una professione.
Furono inoltre ridimensionati i metodi “curativi” che derivavano dalla legge del 1904, ovvero la doccia fredda, le contenzioni, la malario-terapia (iniezione di malaria per provocare una febbre altissima che spossava il paziente soggetto a crisi nervose), l’elettroshock; tale cambiamento di indirizzo fu operato anche grazie all’uso sempre più diffuso degli psicofarmaci, che risolvevano le crisi acute.
La legge n. 431 del 18 marzo 1968 - Legge Mariotti - introdusse sia il ricovero volontario sia altre innovazioni che connotarono l’evoluzione della psichiatria in senso sempre più sanitario, rispetto alle caratteristiche di custodia e di tutela evidenti nella legge del 1904.
La Legge Mariotti prevedeva l’introduzione del ricovero “volontario” in ospedale psichiatrico: ben presto si fece strada la possibilità che l’uscita potesse essere volontaria allo stesso modo dell’ingresso. Come era prevedibile, tale disposizione portò alla crisi il reparto neurologico “a porte aperte”  (istituito nel 1934), i cui ospiti in pochi anni si dimezzarono; se ne propose la chiusura.
La legge n. 431/1968 fu un decisivo ponte culturale ed operativo fra la vecchia legislazione del 1904-1909 e quella del 1978, vale a dire le leggi n. 180  conglobata poi, nel dicembre dello stesso anno, nella legge n. 833 di riorganizzazione del sistema sanitario nazionale: essa comportò tra il 1981 e il 1991 la dimissione di 300 persone.
La Regione Piemonte con la legge n. 61 del 1989 stabilì quale doveva essere l’organizzazione territoriale dei servizi psichiatrici e con il D.G.R. 356-1370 del 28 gennaio 1997 indicò i parametri strutturali e di personale minimi per i servizi psichiatrici.
Il vero processo di superamento cominciò nel 1995 con la dimissione di 26 donne, che comportò la chiusura del reparto Tamburini.
Già a partire dal 1990, con l’apertura della prima comunità alloggio seguita da altre tre nel 1992 e 1996, si era cominciato a lavorare con il superamento dell’istituzione.
La Legge Finanziaria del 1992 indicava il 31 dicembre 1996 come termine di chiusura degli ospedali psichiatrici, lasciando un biennio di transizione utile a completare il programma di superamento, per cui tutti i pazienti dovevano essere dimessi ed inseriti nelle strutture sanitarie territoriali, individuate dalle commissioni di valutazione che avevano operato nel corso del 1996.
Il 1° gennaio 1996 erano presenti 170 pazienti (66% maschi, 34% femmine); di questi, il 26% erano disabili psicofisici e anziani non autosufficienti, il 33% erano soggetti anziani con necessità di consulenza psichiatrica, il rimanente 41% erano soggetti di competenza psichiatrica. Di questi ultimi, oltre la metà poteva essere inserito in comunità alloggio o in strutture a parziale protezione, ma solo una trentina di soggetti su 170 vennero inseriti in strutture psichiatriche territoriali a totale protezione nell’arco delle 24 ore.
Nel 1998 esistevano quattro comunità interne all’ex manicomio: due per portatori di handicap e due per malati psichici; fu aperta inoltre una zona residenziale per sole donne, dentro le mura, con dieci posti letto. Il 1° gennaio 1998 l’ospedale aveva ancora 60 pazienti, tutti dimessi nel giro di un mese.
Il 9 febbraio 2004 l’ultima ex degente, dimessa nel 1997, insieme con altre utenti del Dipartimento di Salute Mentale trasferì la propria abitazione fuori dalla cinta dell’ex ospedale psichiatrico, per vivere in un appartamento in centro.
Il processo di abbattimento delle mura sembra essersi verificato per gradi, sotto gli occhi della popolazione, con cui i malati meno gravi condividono ormai la quotidianità racconigese andando a fare la spesa, ritirando la pensione, frequentando i locali pubblici.

Altra fonte:  Giuseppe Castelli, Gli ospedali d'Italia, Milano : Medici Domus, 1941  pag 129



 
Dal passato al futuro... un viaggio nel tempo dei templi della salute
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