ASTI Ospedale degli infermi abbandonati o Santa Maria Scala Coeli - Ospedali d'Italia

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ASTI Ospedale degli infermi abbandonati o Santa Maria Scala Coeli

Ospedali Nord Ovest > Regione Piemonte > Asti e provincia

Il contenuto della scheda deriva integralmente dal testo: Dalla carità al Credito – ricchezza e povertà ad Asti dal Medioevo all’800 – a cura di Renato Bordone – edito dalla Cassa di Risparmio di Asti – 2005.
Ringrazio la Direzione della Banca d’Asti per l'autorizzazione  e condivisione all'uso dei contenuti.
Naturalmente ho dovuto riportare e condensare  in poche righe un lavoro, ben più ampio ed articolato, contenuto in un volume di sicuro pregio, e credo anche di difficile reperibilità,  che invito a leggere in quanto in esso ho trovato diversi passaggi che ricalcano, nel 700, molte situazioni di attualità.


Uno dei problemi principali che Vittorio Amedeo II si trova ad affrontare è sicuramente quello del pauperismo diffuso che coinvolgeva vastissime masse della società piemontese. Per questo motivo, a partire dal 1716, vengono attuate una serie di riforme in campo assistenziale che porteranno la monarchia ad assumersi i compiti fino a quel momento tradizionalmente affidati alla munificenza di pochi e ricchi e cittadini o agli enti ecclesiastici e religiosi presenti sul territorio. Per ordine del sovrano il 23 giugno del 1716 viene nominata una commissione con il compito di censire le opere Pie presenti sul territorio e stilare un bilancio dei dati raccolti dagli intendenti e dai Prefetti provinciali. Il fine è quello della riforma dell'intero sistema.
Prodotto di questa indagine cognitiva fu l'editto promulgato il 19 maggio del 1717 con cui si prevedeva l'istituzione presso tutti i principali centri piemontesi di un ospizio o di una congregazione di carità alla quale avrebbero dovuto essere affidati l'amministrazione dei fondi destinati all'assistenza e la ricerca e la gestione dei contributi elargiti dai privati. In questo contesto, già sul finire del secolo XVII, e precisamente nel 1681, il vicario perpetuo della Collegiata di San Secondo, Don Pietro Bocca, preso atto delle miserevoli condizioni degli infermi costretti a vagare per le strade della città con grave danno per l'intera comunità, aveva fondato, grazie alle numerose elargizioni di alcuni facoltosi cittadini, un nuovo ricovero, l'ospedale degli Infermi abbandonati sotto il titolo di Santa Maria Scala Coeli. Si trattava quasi di una rifondazione del vecchio ospedale unificato, in quanto il nuovo ente aveva sede presso l’attiguo ospedale di Santa Marta di cui inizialmente occupava una stanza e una sala e venne riservato agli infermi civili ad esclusione di coloro che risultavano affetti da malattie croniche e contagiose, agli incurabili e in ultimo agli infermi militari. Fin dai primi anni il nuovo ospedale si rivelò però inadeguato nelle strutture e, ancor più nel personale in servizio, a ricevere e ad assistere gli ammalati. Ma quel che colpisce maggiormente esaminando i documenti amministrativi, le relazioni sullo stato dell'ospedale e ancor più i registri contabili, è che questi primi anni di vita del nuovo ospedale furono comunque e nonostante la presenza di infermi, anni di sperimentazione giuridico-amministrativa con carenze igieniche e sanitarie di funzionamento davvero preoccupanti. I primi anni di vita del nuovo ospedale furono infatti caratterizzati da cronici problemi di bilancio e da una ricerca costante di un assetto amministrativo stabile, ovviamente a discapito dell'assistenza medica che avrebbe dovuto essere offerta agli assistiti. Nel giro di pochi anni la situazione economica dell'ospedale dovette comunque migliorare notevolmente se, nel 1688, grazie ad importanti lasciti e donazioni, l'ospedale potè acquistare due piccole case di proprietà della Bussola dei poveri, pagandole attraverso un versamento mensile di 15 lire. Le due case servirono per la costruzione a sud del nucleo originale della nuova ala su due piani, il primo dei quali destinato ad ospitare i locali per il ricovero dei poveri, il secondo lascito prudentemente a disposizione per future necessità di servizio.
Nei nuovi locali si prevedevano 14 posti letto di cui 8 riservati agli uomini e sei alle donne; il servizio reso alla cittadinanza fu rilevante, le donazioni e lasciti aumentarono sensibilmente e nel 1710 l’ospedale si estese anche verso est con la costruzione di una seconda nuova ala, ancora di due piani, collegati tra loro da un ampio scalone in pietra. Al primo piano vennero ricavate tre stanze (guardaroba, abitazione della governante, cucina), al secondo 4, di cui due attrezzate con tre letti ciascuna. Gli anni successivi, quelli della Riforma di sistema assistenziale di Vittorio Amedeo non sono caratterizzati da ulteriori ampliamenti, ma furono certamente anni che videro l'ospedale migliorare le proprie strutture al fine di rendere più efficiente l'assistenza medica. Tra il 1741 e il 1742, in un contesto storico che vedeva il Piemonte migliorare notevolmente la sua situazione economica, ad Asti vengono creati due reparti per l'assistenza dei cosiddetti incurabili, malati contagiosi e cronici fino a quel momento esclusi da ogni forma di assistenza ospedaliera, l'uno al piano superiore dell’ala costruita nel 1688, e un reparto distaccato, per i malati meno gravi, in una casa nei pressi della chiesa di Santa Maria Nuova acquistata ad hoc. In essa vennero approntate, grazie alle donazioni di benefattori privati, quattro stanze, ciascuna di 6 letti, per i loro ricovero.
In questi anni l'amministrazione dell'ospedale non è normata da regolamenti  scritti, ma affidata al buon operare di singoli individui e questo si ripercuote sulla programmazione tecnica e sanitaria dell'ospedale stesso. Il 27 settembre del 1771 l'ospedale di Asti ha il suo primo regolamento nel quale si riconosce che lo scopo precipuo dell'ente è quello di provvedere alla cura gratuita degli Infermi, poveri e affetti da malattie acute. In esso vengono inoltre delineati i compiti e gli obblighi  del rettore, del personale in servizio sanitario e anche degli ammalati. All'economo compete annotare giornalmente gli infermi ricoverati e i pasti somministrati, tenere conto del personale in servizio e provvedere agli acquisti alimentari adeguati alle esigenze dell'ospedale verificando che non ci siano ammanchi né tanto meno sprechi. E’ di pertinenza dell'economo una minuziosa annotazione delle spese e l'amministrazione dei beni e delle proprietà dell'ospedale. Data l'importanza della carica svolta l'economo è soggetto a frequenti controlli da parte del consiglio dell'ospedale e in caso di  irregolarità, come avvenne nel 1777, le pene pecuniarie sono piuttosto severe.
La carica principale all'interno dell'ospedale è quella del Priore rettore, di provenienza ecclesiastica e meta ambita da molti nobili: è evidente che l'influenza ecclesiastica sul controllo dell'assistenza sanitaria è ancora molto forte. Al rettore spetta il compito religioso della celebrazione quotidiana della messa e della recitazione delle preghiere, ma anche il compito amministrativo di gestione e vigilanza del personale in servizio. Il rettore ha inoltre l'incarico di verificare denari, scritture, gioie, obblighi dell'infermo accolto nell’ospedale e che gli dovranno essere restituiti al momento delle dimissioni. Il tesoriere ha invece il compito di effettuare i pagamenti degli acquisti operati dall'economo e di richiedere il saldo dei debiti insoluti, dimostrando con fatture e quietanze la correttezza del suo operato. Il tesoriere è responsabile degli eventuali ammanchi nelle casse dell'ospedale essendo l'unica persona autorizzata a maneggiare denaro. L'organigramma del personale sanitario in servizio presso l'ospedale nel 1771 comprende due medici primari, due aiutanti medici, un chirurgo e 7 infermieri. Ai medici spetta accertare la malattia del ricoverato, una visita giornaliera completa agli ammalati, la verifica del ricovero e della cura dei soldati. L’ammissione in ospedale di ricoverati a pagamento, quali militari, per regolamento poteva avere luogo solo in circostanze speciali, previa verifica dell'amministrazione in rapporto a disponibilità di posti letto e comunque mai a discapito dei poveri infermi. Il ricovero e la cura dei soldati, pertanto, potevano avvenire solo a patto che i militari rinunciassero alla loro paga giornaliera a vantaggio dell'ospedale e alla loro razione quotidiana di pane. In virtù di questa prassi, le dimissioni dei soldati dall'ospedale, non appena cessato lo stato di infermità grave, dovevano essere tempestive. Ai medici spettava anche il compito di vigilare sulle condizioni igieniche e sulle necessità sanitarie dell'ospedale; il 4 marzo 1778, rispondendo ad una precisa richiesta del personale medico, il consiglio dell'ospedale provvede alla nomina di uno Speziale interno alla struttura stessa che completa così lo staff medico.
Circa gli infermieri, il regolamento del 1771 ne indica un numero preciso, 7 ma  contempla compiti molto ampi. Essi devono assistere gli ammalati con dovuta pazienza e carità, avvertendo il rettore in caso di peggioramenti repentini, non possono abbandonare le infermerie, devono comunicare al rettore l'arrivo dei medici in ospedale, somministrare i medicinali prescritti ai malati, tenere in ordine le infermerie e le camere, preparare e distribuire i pasti. Non possono, invece, ricevere alcuna ricompensa per il servizio prestato ed avere un comportamento rispettoso nei confronti delle donne ricoverate presso l'ospedale. Nel regolamento del 1771 sono anche rigorosamente indicati i quantitativi giornalieri di carne e pane da distribuire agli ammalati in rapporto alla loro infermità. Considerati i pochi  rimedi farmaceutici esistenti e la scarsa pratica di interventi chirurgici, a fine 700 una dieta equilibrata era ancora la cura migliore per risolvere, ad esempio, fratture o infezioni quali il tetano.
A partire dagli anni settanta del Settecento, però, la situazione cambia. L'arretratezza della struttura nel confronto con altri ospedali piemontesi è ormai palesemente evidente: nel 1776 il riscaldamento è ancora affidato a singole stufe e l'acqua viene portata con secchi e recipienti ai piani superiori. Le condizioni igieniche sono scarse e le cosiddette sale operatorie sono spesso causa di gravissime infezioni per i pazienti che vengono sottoposti ad interventi chirurgici. In questa crisi di fine 700 anche l'ospedale di Asti non solo non potè uscire dalla sua arretratezza, ma dovette fronteggiare periodi di passivo piuttosto marcato. Dal 1771 al 1797 i bilanci dell'ospedale sono quasi costantemente in passivo. Per porre rimedio a questa situazione vengono fissati gli stipendi del personale prima soggetti a variazioni in base alle prestazioni fornite, vengono ridotti gli acquisti di cibo. L'ospedale è addirittura obbligato a vendere parte delle sue proprietà. L'esame dei documenti contabili evidenzia che non è l'aumento delle spese a gravare sui bilanci dell'ospedale, ma la notevole riduzione delle entrate, sia per totale assenza di sovvenzioni pubbliche sia per il venir meno delle generose donazioni dei decenni precedenti. Le difficoltà dello Stato di Vittorio Amedeo III si ripercuotono anche su Asti e l'assistenza ospedaliera ne paga le conseguenze. L'ospedale però era ormai riuscito a inserirsi pienamente nella vita cittadina e a suscitare l'interesse della città: la Curia Vescovile, le famiglie cittadine, il Comune stesso si adoperano per il salvataggio dell'Istituto.
Durante il periodo Napoleonico, l'ulteriore riduzione delle entrate da elargizioni di privati, infatti, pose un limite ancora maggiore alle spese dell'ospedale con danni che si ripercossero su amministratori,medici e anche ammalati. Dal punto di vista dello sviluppo medico amministrativo la riforma Napoleonica può senza dubbio essere giudicata positivamente. Tutte le strutture sanitarie dell'impero vennero dotate di uguale ordinamento, le amministrazioni locali furono collegate ad un Ministero centrale e le proprietà degli enti sottoposte al controllo di una commissione di vigilanza. Ma è altrettanto vero che tale riforma  genera una serie di problemi infiniti per le strutture che vi si dovettero adeguare. La prima conseguenza di questa gestione statalizzata della sanità è che gli ospedali non sono più riservati solo ai residenti della provincia in cui ha sede l'ospedale stesso, ma sono tenuti al ricovero di tutti gli infermi. Questo obbligo grava pesantemente sul bilancio dell'ospedale di Asti che deve adempiere al ricovero di tutti gli ammalati e di conseguenza vede aumentare i costi di gestione. La situazione è resa ancora più difficile dal fatto che l'ospedale non può disporre liberamente delle proprietà che detiene. A fare le spese di questa situazione sono ancora una volta gli ammalati. Il numero dei letti costante, l'incremento dei ricoveri portano di fatto ad una diminuzione dei giorni di degenza e ad una riduzione, tra il 1771 e il 1801 di circa il 60% della spesa che l'ospedale affronta per ciascuna malato. La serie dei bilanci presenta una lacuna per questo periodo, ma i dati di quelli superstiti riferiti al 1812-1813 evidenziano un passivo che si assesta intorno a circa un terzo delle entrate.
Nel 1810, nel corso di questi anni di crisi, l'ospedale viene trasferito dalla sede di Corso Alfieri ai locali di Santa Maria Nuova dove fino al 1798 i canonici Lateranensi avevano retto l'ospedale annesso alla chiesa. I nuovi locali erano inadeguati alla cura e al ricovero degli ammalati, in pessimo stato di conservazione dopo più di dieci anni di abbandono, ma la sede offriva possibilità di ampliamento impensabili in Corso Alfieri dove l'ospedale era circondato di edifici.

All'inizio del secolo XIX le stanze del nuovo Ospedale degli Infermi risultano essere 9 disposte su due piani, collegati da due scale. Due grandi corridoi occupano gran parte della superficie dell'ospedale: nel corridoio grande sono ricoverati gli ammalati, in totale 25 letti; in quello più piccolo sono ricoverati i degenti reduci da intervento chirurgico e trovano spazio anche gli studi medici. Delle restanti 9 stanze, due sono adibite a magazzino, una a cucina, una a ripostiglio per la biancheria, una a infermeria, due sono riservate agli infermieri, una al portinaio,  una è adibita a dispensa. La divisione Uomini e Donne viene creata attraverso una tramezza. Fino al 1814 le scarse risorse finanziarie dell'ospedale non consentono interventi di ristrutturazione profondi e tra il 1810 e il 1814 l'unico lavoro compiuto è quello relativo alla trasformazione in sala operatoria di una delle stanze riservate agli infermieri. Con l'editto del 21 maggio 1814 il Piemonte  ritorna alla situazione antecedente all'avvento di Napoleone. Si cancellano tutte le leggi  promulgate da Napoleone senza tener conto anche di quanto di positivo questi aveva fatto. La carestia del 1816-1817 aggrava una situazione già di per sé molto seria e rende ancora più evidenti i problemi creati dalla politica restauratrice di Vittorio Emanuele I. L'avvento di Cavour al governo Sabaudo dà avvio a benefiche riforme dello Stato in senso moderno. In questo contesto, l'ospedale di Santa Maria Scala Coeli (come è tornato a chiamarsi) conosce una nuova storia. Il 23 novembre del 1814, in esecuzione all'editto di marzo, si definiscono le nuove nomine a economo, tesoriere e Speziale. Il numero del personale sanitario comprende due soli medici e 5 infermieri. l’accresciuta ricettività dell'ospedale mostra fin da subito l'inadeguatezza del personale alla struttura che, nel frattempo, grazie ad una razionale ristrutturazione e distribuzione degli spazi interni, arriva nel 1816 ad ospitare circa il doppio dei pazienti del 1810. Per questo nel 1817 viene assunto un medico sostituto che possa coadiuvare l'opera dei primi due e nel 1818 si stabilisce che i medici in servizio diurno e notturno siano sempre due, un primario e un sostituto. Per far fronte a questa nuova necessità i medici ordinari diventano tre. L'amministrazione dell'ospedale inoltre assume a parcella i medici di diverse specializzazioni a seconda della necessità. Anche il numero degli infermieri viene adattato alle nuove esigenze e tra il 1829 e il 1844 ne vengono assunti altri tre portando il numero di quelli in servizio da 7 a 10. In questi anni viene consolidato il patrimonio dell'ospedale e il lavoro di due economi lungimiranti conduce l'ospedale verso una situazione economica stabile. I bilanci  tra il 1822 e il 1831  presentano pochi passivi  facilmente ripianabili con gli attivi  degli anni precedenti. Intanto si acuisce di nuovo l'interesse della popolazione più abbiente nei confronti dell'ospedale e aumentano considerevolmente le donazioni. Tra i benefattori più munifici di questa prima metà di inizio secolo ci fu il Conte Federico Cotti de Ceres, la cui generosità è ricordata da un busto in marmo tuttora sito in piazza Santa Maria Nuova. Nel 1825 il consolidamento economico consente l'avvio di importanti lavori di ristrutturazione: il rifacimento del tetto dello stabile, la sostituzione del pavimento del reparto femminile, il restauro dell'alloggio del rettore, la sostituzione delle stufe con più moderni impianti di riscaldamento. Nel 1830 l'ospedale viene dotato di un proprio acquedotto e di impianto fognario. Nel 1835 la cura dell'ospedale e dei pazienti viene affidata alle suore della piccola casa della Provvidenza alle quali dal 1839 viene concesso un alloggio all'interno dell'ospedale stesso. Nel dicembre del 1840 un nuovo regolamento dell'ospedale emanda quello del 1771. Il regolamento, manoscritto, viene recepito ufficialmente solo nell’agosto del 1841.
Alle suore viene  affidato il compito della gestione della dispensa e della biancheria dell'ospedale, nonché la vigilanza sugli inservienti e sui ricoverati e la cura della pulizia dei locali. Le loro funzioni saranno quelle di raccordo tra il personale medico e quello amministrativo: un ruolo di tutto rilievo all'interno della gerarchia dell'ospedale. Il nuovo regolamento introduce poi le figure di tre consiglieri con funzioni specifiche: il direttore della casa sovraintende agli ammalati, il direttore dei conti alla contabilità e il conservatore del patrimonio è preposto alla custodia dei beni e delle rendite. Restano confermati i compiti dei medici e dei chirurghi, con la sola aggiunta per i sostituti di “sostituirsi” appunto ai medici e ai chirurghi in caso di loro assenza. Dal punto di vista amministrativo gli anni tra il 1832 e il 1861 sono anni in cui si consolida una tendenza economica positiva che consente l'ospedale di programmare una modernizzazione delle sue strutture. L'architettura dell'ospedale, però, cambia nettamente solo nel 1852 con la creazione di una nuova infermeria in luogo delle abitazioni del chirurgo e dell'economo a cui in cambio dell' alloggio è corrisposto un indennizzo in denaro. Tra il 1860 e il 1861 vengono installate le prime tubature del gas e costituita una ghiacciaia e si dà avvio ad un nuovo consistente ampliamento verso Ovest. Nella nuova ala trovano spazio una sala chirurgica e un reparto di medicina destinato alle donne. E’ in questi anni che nasce anche il reparto destinato alle persone con disturbi psichici: tre letti in ferro e due pagliericci in tutto. In totale l'ospedale possiede 202 letti in ferro e 249 pagliericci e, quindi, è in grado di rispondere alle esigenze della città.

Dopo la restaurazione l'ospedale degli Infermi si rivelò ben presto inadeguato all’aumento considerevole dei ricoverati. L'amministrazione civica si dedicò dapprima  a ristabilirne le finanze, in seguito alla modernizzazione: negli anni 80 era ormai riconosciuto come un luogo di cura anziché di abbandono e morte come all'inizio del secolo. Sebbene la spesa per l'alimentazione dei pazienti testimoni il miglioramento della dieta era ancora la terapia migliore per molti pazienti, debilitati da carenze alimentari, la sistemazione degli spazi permise una riqualificazione igienica e sanitaria adeguata ai progressi scientifici e tecnologici del positivismo: a fine secolo la ricezione si era consolidata sulle 1000 presenze all'anno, con l'indice di mortalità più basso dell’intero Piemonte.
Il miglioramento del servizio fu dovuto anche all'investimento nel personale medico, con un aumento di organico che portò in carica le nuove leve della scuola igienista di Torino di Luigi Pagliani. Ma all'inizio del 900 mancavano ancora in reparti per infettivi e bambini e per varie specialità: così come alcune forme di invalidità, anche malattie e interventi particolarmente impegnativi dovevano essere convogliati verso gli ospedali e gli istituti di Torino o di Alessandria. Nel 1914 l'amministrazione Municipale segnalò carenze e alcune irregolarità: la crescente medicalizzazione del contesto sociale imponeva una maggiore sorveglianza per affrontare gli inconvenienti che si riversavano sulla cittadinanza. Fu aperta la Guardia Medica notturna e riformato il servizio farmaceutico per i poveri; infine quelle critiche contribuirono all'apertura di una camera di isolamento per i tubercolotici. Prima solo i bambini scrofolosi e rachitici avevano fruito dell'ospizio Marino piemontese: già nel 1886 il dottor Grassi potè dichiarare che la cura Marina aveva sottratto alla tubercolosi diverse decine di bambini poveri, malati per minore resistenza alle cause morbose. Nel 1900 vi fu la prima donazione per un sanatorio, tuttavia nel 1916 il dottor Boffa capo dell'ufficio di igiene, lamentava ancora l'apatia delle classi dirigenti di Asti mentre altre patologie, l'alcolismo e l'industrializzazione, causa grave della miseria fisiologica moderna, contribuivano a diffondere la malattia. Benché la propaganda igienica fosse avviata, egli riteneva urgente il ricovero separato dei tubercolotici e la profilassi una funzione di Stato: ma il governo si fece parte attiva nella lotta contro quella patologia solo con la recrudescenza della mortalità causata dalla guerra. Nel 1919 il sanatorio era ancora allo stato progettuale però almeno l'ospedale disponeva di un tubercolosario e soprattutto il dispensario gratuito era diventato un punto di riferimento: anche per i malati abbienti e i comuni minori del circondario.


 
Dal passato al futuro... un viaggio nel tempo dei templi della salute
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